Valerio Evangelisti

Intervista al re della fantascienza italiana

  • In Articoli
  • 22-12-2000
  • di Emiliano Farinella

Valerio Evangelisti è nato a Bologna nel 1952. Laureato in scienze politiche si è interessato di storia collaborando con le Università di Bologna e Ferrara a vari corsi di storia contemporanea e storia dell'America Latina. Dal 1981 al 1991 ha pubblicato quattro saggi storici. Nel 1993 Evangelisti vince il premio Urania e inizia la sua folgorante carriera fantascientifica. Pubblica diversi romanzi, tra cui la serie con protagonista il terribile inquisitore Nicolas Eymerich, e cura antologie in Italia e all'estero e diventa l'autore di punta della fantascienza italiana. Dirige la rivista Carmilla.

Secondo lei perché l'"alternativo" riscuote tanto successo e fiducia tra i non addetti ai lavori?
L'irrazionalità è il prodotto normale del crollo dei grandi sistemi di pensiero, che ha caratterizzato questa fine secolo. Non ritengo, comunque, che interpretazioni "alternative" del reale siano di per sé dannose: pensarlo, significherebbe difendere un dogma che non dovrebbe esistere. Il pericolo nasce quando il pensiero alternativo si pone esso stesso come dogma, e aspira all'ufficialità.

Hanno gran seguito interpretazioni della natura che forniscono risposte semplici, magari condiscendenti verso i sogni individuali, che siano subito comprensibili senza richiedere sforzi. Secondo lei come mai è tanto diffusa la tendenza a prestar fede a teorie solo apparentemente vere, come può in casi limite diventare nulla la richiesta di aderenza al reale o la possibilità di riscontro? Fino a che punto vale invece la pena di sforzarsi a cercare di capire a fondo, cosa ci fa guadagnare e cosa ci fa perdere questa scelta?
Prima di condannare le teorie troppo semplici e consolatorie, la ricerca scientifica mainstream dovrebbe chiedersi, a mio parere, se si sia sempre mantenuta immune dal positivismo, dall'arroganza culturale, dalla commistione con gli interessi industriali, dalle tentazioni antidemocratiche, dalla disumanità. Per spiegarmi meglio dirò che, tra i presunti scienziati della psichiatria che propongono la reintroduzione dell'elettroshock e i mezzi dementi che propagandano i fiori di Bach, preferisco i secondi: almeno non torturano i pazienti.

Sente il bisogno di una maggiore cultura scientifica e razionale nel mondo moderno? E la letteratura, magari fantascientifica, può avere secondo lei una componente non nulla in questa direzione?
Vorrei che la cultura scientifica dominante fosse maggiormente aperta al dubbio e alla verifica sperimentale, e cioè proprio alla razionalità. Ciò la renderebbe senz'altro più popolare. Quanto alla narrativa fantascientifica, si tratta di un genere ampio e dai contorni poco definiti. Di solito, si pone nei confronti del reale allo stesso modo in cui vi si pongono i sogni. È ingenuo scambiarla per una forma di divulgazione scientifica, anche se talora può anche esserlo.

Non è detto che il sapere porti felicità, poiché genera dubbi e toglie certezze. E d'altronde la verità di per sé non cambia nulla. Alla fine che bilancio se ne può trarre? Cosa divide e cosa accomuna uomini che tengono atteggiamenti diametralmente opposti in questo contesto?
Non credo che la verità non cambi nulla; propendo a credere il contrario. Non riesco nemmeno a scorgere l'esistenza di due campi, quello degli irrazionalisti felici e quello dei razionalisti infelici. La palma dell'equilibrio appartiene probabilmente a chi cerca di avvicinarsi alla verità, ma annuncia di possederla solo dopo averla verificata con cura. Si dirà che questo è l'atteggiamento proprio di ogni scienziato. Mica vero. Sono tantissime le teorie (dal Big Bang alla connessione Aids-Hiv, ecc. ecc.) che fanno a pugni con i dati sperimentali. Finché la scienza resterà dogmatica, ci sarà sempre il cretino in contatto con gli Ufo, o quello che crede che Nostradamus abbia previsto la morte del suo gatto.

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