Se a scuola manda la scienza

Educazione scientifica come educazione alla razionalità

  • In Articoli
  • 27-12-2000
  • di Giunio Luzzatto

Nonostante l'enorme sviluppo delle tecnologie, nel mondo contemporaneo atteggiamenti arazionali non solo permangono, ma si diffondono. Tale diffusione ha una pluralità di cause, che tutte vanno indagate: la comunicazione veloce, mentre la riflessione richiede tempi talora lunghi, e comunque mai frettolosi; la prevalenza dell'immagine rispetto alla sostanza; l'appiattimento sulle mode culturali o pseudo-culturali, che di per sé costituisce l'opposto di un atteggiamento critico; il fatto stesso che la grande visibilità delle applicazioni tecnologiche delle scoperte scientifiche spesso ne mette in ombra il valore conoscitivo.
Il presente intervento si limita a considerare, nella realtà italiana, una causa specifica che da noi ha indubbiamente un particolare rilievo: l'inadeguatezza cioè della educazione scientifica nel nostro sistema formativo. Inadeguatezza, vogliamo precisare subito, qualitativa oltre che quantitativa: troppo spesso, nell'intervenire su questo tema, i docenti dell'area scientifica - a livello sia accademico sia scolastico - deplorano la seconda ma ignorano la prima.
Va affermato invece, senza reticenze, che l'attribuzione all'insegnamento scientifico di spazi più ampi nell'organizzazione scolastica è necessaria ma non è sufficiente affinché esso formi i giovani alla razionalità e consolidi le loro capacità critiche: questi spazi servirebbero a poco se tale insegnamento continuasse a svolgersi con caratteristiche poco adatte a renderlo pienamente produttivo nella direzione indicata.

Educazione scientifica: i limiti "dall'esterno"

La valorizzazione, nel sistema scolastico italiano, della formazione scientifica si scontra indubbiamente con una tradizione diversamente orientata. Pesa ancora la derivazione di esso, in secoli non troppo lontani, dall'educazione ecclesiastica nella quale la Verità non poteva essere altra se non quella trascendente; pesa la più recente caratterizzazione dell'intero impianto istituzionale secondo la gentiliana impostazione idealistica, nella quale la Filosofia non poteva non rappresentare il livello superiore della conoscenza; pesa l'esaltazione degli studi classici non solo in quanto esame di una tra le grandissime culture - il che ovviamente trova tutti consenzienti! - ma in quanto elemento necessariamente dominante e pervasivo perché considerato l'unico patrimonio specifico della nostra civiltà.
Citiamo, a proposito dell'ultimo tra i punti citati, due esempi emblematici. Quando, fino allo scorso anno, l'esame di maturità comportava la scelta da parte del Ministero della Pubblica Istruzione delle materie per le prove orali, nel liceo scientifico solo una su quattro era scientifica, mentre tre erano linguistiche o storiche o filosofiche o artistiche; quando i "programmi Brocca" vollero anticipare sperimentalmente una riforma della secondaria, fu inventato un indirizzo scientifico-tecnologico accanto a quello scientifico perché in quest'ultimo si volle mantenere come disciplina caratterizzante il latino.
Ovviamente, pressioni per correggere questa situazione vengono esercitate, talora anche autorevolmente; ma le resistenze al cambiamento sono fortissime per ragioni sia culturali sia pratiche.
Dal punto di vista culturale, si sconta quell'apprezzamento della preparazione scientifica in termini esclusivamente tecnologici cui abbiamo fatto cenno all'inizio. Nell'istruzione tecnica e professionale (vocational, direbbero gli anglosassoni), il sistema scolastico ha dato qualche spazio a nuovi indirizzi caratterizzati su tematiche applicative anche piuttosto aggiornate, indirizzi - tra l'altro - talora positivamente dinamici nel rinnovarsi di frequente per tener conto dell'evoluzione della realtà esterna; nell'istruzione liceale (general), quella rivolta alla "formazione delle classi dirigenti", le scienze, e in particolare le tematiche scientifiche moderne, stentano invece a penetrare proprio per la diffusa sottovalutazione del loro valore in termini di allargamento degli orizzonti culturali, di rottura di schemi mentali superati, di stimolo alle capacità critiche. Cioè, in sintesi, della loro qualità formativa.
Dal punto di vista pratico, le resistenze sono brutalmente corporative, ma proprio per questo non meno pesanti. Poiché il complesso delle attività scolastiche, e in particolare i programmi di insegnamento e gli orari delle corrispondenti discipline, non possono dilatarsi indefinitamente, ogni ampliamento di un settore e ogni nuova presenza vengono vissuti come sottrazione di spazi (e perciò di "cattedre") ad altri settori: il che è vero (anche se, come vedremo, solo in parte), ma non può essere accettato come motivo di rifiuto se si ha presente il fatto, ovvio ma spesso trascurato, che l'organizzazione scolastica dovrebbe essere costruita a misura delle esigenze formative degli allievi e non della immutabilità dei ruoli degli insegnanti.

Educazione scientifica: i limiti "dall'interno"

Tra i limiti allo sviluppo di una valida educazione scientifica che provengono dall'interno dello stesso mondo scientifico, uno dei più gravi è quello che deriva dalla settorializzazione di tale mondo. Raramente viene proposta dall'insieme delle diverse aree disciplinari l'esigenza di una maggiore presenza, a livello didattico, del complesso delle tematiche connesse alle scienze: ogni area battaglia per sé stessa, spesso in conflitto col vicino.
Anche a questo proposito è tipico l'esempio della elaborazione dei programmi Brocca. Negli appositi gruppi di lavoro chimici, biologi, fisici, geologi si sgomitavano, e talora si sgambettavano, a vicenda, con l'effetto che poi si poté vedere osservando il risultato: assolutamente insufficiente (per tutti; la lotta risultò essere stata quella tra i polli di Renzo ne I promessi sposi) sul piano della quantità, piuttosto deludente sul piano della qualità innovativa.
Il settorialismo è emrso quasi inevitabile, peraltro, dall'impostazione che viene data alla didattica delle singole discipline. I meri fatti, le nozioni prevalgono quasi sempre rispetto alla costruzione di impianti concettuali; l'attività di laboratorio, quand'anche si svolge, non assume un ruolo determinante e caratterizzante per l'insegnamento globalmente considerato; analisi epistemologiche sulla disciplina e riflessioni più generali sul "metodo scientifico" o mancano, o sono isolate in qualche pagina iniziale o finale; la presentazione è abitualmente decontestualizzata, astorica.
L'assenza di riferimenti all'evoluzione storica delle diverse scienze è particolarmente negativa, per almeno due ragioni. Da un lato, in conseguenza di tale assenza le problematiche scientifiche rimangono estranee rispetto al filone fondamentale degli studi; esso - soprattutto nei Licei - segue un percorso cronologico, all'interno del quale la letteratura nazionale, la storia civile, la storia dell'arte, la filosofia - ma, appunto, non le scienze - si sviluppano simultaneamente, o quasi. D'altro lato, una trattazione tutta concentrata sul presente porta quasi inevitabilmente a considerare le teorie e i modelli attuali come certezze, sicché lo studente vive spesso l'insegnamento scientifico non come stimolo al pensiero critico bensì come l'imposizione quasi dogmatica di concezioni non soggette a discussione.
L'assenza di riflessioni a carattere epistemologico, o comunque il confinamento di queste in qualche paragrafo emarginato rispetto all'andamento complessivo della trattazione, incrementa anch'essa il rischio del dogmatismo. Né costituisce un efficace antidoto il fatto che considerazioni relative allo sviluppo del pensiero scientifico siano presenti, più o meno ampiamente nell'insegnamento della filosofia (mi riferisco, ancora, ai Licei); anzi, l'estrema difformità nella presentazione, da parte dello scienziato o da parte del filosofo, di tematiche analoghe può indurre il giovane a considerare misterioso l'intero quadro conoscitivo, togliendogli ogni desiderio di approfondire le tematiche stesse.
Un ulteriore ostacolo a una valida educazione scientifica è costituito dalla scarsa, o nulla, interazione tra ricerca e insegnamento, rilevabile sotto due aspetti. Anzitutto, si tratta di un distacco istituzionale tra l'università, sede di ricerca, e le istituzioni scolastiche, sedi di insegnamento; solo occasionalmente si è cercato talora di porre rimedio a tale distacco, tramite iniziative che - anche quando positive - hanno avuto peraltro carattere individuale o al più settoriale (penso ad alcune buone esperienze di gruppi università-scuola di ricerca didattica). In secondo luogo, si tratta di uno sdoppiamento di posizioni da parte dello stesso ricercatore, se egli diviene autore di manuali: al rigore metodologico che è connaturato all'indagine scientifica e che comporta, quando si redige un lavoro di ricerca, un atteggiamento permanentemente problematico, attento a tutte le possibili alternative interpretative, vengono spesso sostituiti, nella redazione di un testo scolastico, l'apoditticità delle affermazioni e l'inesistenza di dubbi.
Se questo è il quadro, che fare se si vuole far sì che le nuove generazioni abbiano un diverso approccio alla scienza, traendone una educazione alla razionalità? Per dare una risposta occorre partire dall'insegnante, dalla figura cioè che costituisce professionalmente il mediatore tra la cultura, nel nostro caso la cultura scientifica, e l'allievo: l'intervento sugli insegnanti è necessario, e forse addirittura sufficiente, per attuare l'intervento sugli studenti.

Qualche proposta per una priorità: l'educazione degli insegnanti

Rilevanti modifiche sono in corso per ciò che concerne, in termini generali, la formazione dei docenti della scuola italiana. Sono finalmente iniziati i corsi universitari destinati alla formazione iniziale degli insegnanti futuri: Scuola di Specializzazione post-lauream per la scuola secondaria. Corso di Laurea ad hoc per la scuola primaria. E vi sono, per gli insegnanti in servizio, le innovazioni apportate dal recente contratto nazionale, che valorizza elementi di qualificazione e incrementi di professionalità. Tutto ciò determina un ambiente potenzialmente favorevole allo studio e all'attuazione di iniziative miranti ad affrontare il tema qui esaminato. A titolo esemplificativo, indichiamo tre tipi di possibili interventi:

1) Un'organica presentazione di questioni relative alla storia del pensiero scientifico e/o alla metodologia della scienza. È auspicabile che nel curricolo di formazione iniziale tali presentazioni assumano il carattere di un vero e proprio corso, parte integrante del progetto didattico almeno per tutti gli indirizzi delle aree scientifico-tecnologiche; nel quadro della formazione in servizio le forme possono essere diverse (cicli di seminari, attività a distanza con supporti tecnologici), purché non ridotte a episodiche conferenze.
Abbiamo usato il singolare (pensiero scientifico, scienza) perché per consolidare atteggiamenti globalmente razionali ci sembra indispensabile fornire anzitutto gli elementi di natura metadisciplinare che danno unità alle procedure concettuali poste alla base di una qualunque disciplina scientifica. Non vogliamo certo escludere che, a valle di una trattazione più comprensiva, si possa poi giungere anche all'approfondimento di epistemologie specifiche; ma è prioritaria l'esigenza dell'intervento a monte, poiché oggi la carenza maggiore, e più generalizzata, riguarda la cultura scientifica trasversalmente intesa e pericò l'acquisizione di una corrispondente mentalità. L'assenza di orizzonti più ampi favorisce la riduzione della disciplina a tecnicismo.

2) Un'analisi critica dei materiali didattici, sia tradizionali (manuali e altri testi) sia multimediali, presenti sul mercato. In tutti i corsi di formazione, iniziale o in servizio, tale analisi rappresenta una tipica attività di Laboratorio didattico, particolarmente significativa perché coinvolge i corsisti in un impegno diretto.
Per ciò che concerne la tematica che stiamo qui discutendo, lo studio critico degli strumenti didattici esistenti dovrebbe prendere in esame precise questioni, tra le quali ci sembra di poter suggerire, in particolare, le seguenti:
a) nello studio relativo a materiali provenienti da aree scientifiche, va individuta la presenza di impostazioni in tutto o in parte dogmatiche, così come l'assenza di attenzione per le problematiche metodologiche e storiche nonché di aperture verso aspetti di contesto e verso settori contigui;
b) nello studio di materiali a carattere filosofico, o comunque provenienti da aree "umanistiche", vanno evidenziati gli elementi che facciano riferimento a tematiche scientifiche in termini deformati, o imprecisi, o più in generale inadeguati a coglierne il significato culturale oltre che tecnico.

3) Una sollecitazione a sviluppare in classe esperienze didattiche esemplari, attraverso materiali opportunamente studiati. Tali esperienze possono consistere nella creazione, o comunque nella utilizzazione, di unità didattiche particolarmente adatte a far riflettere sulla genesi e sui limiti di una teoria scientifica, o sul ruolo delle prove sperimentali, o su altre questioni metodologiche. Le esperienze possono consistere altresì nell'analisi "scettica", non aprioristicamente negatrice ma rigorosamente scientifica, di asseriti fenomeni paranormali, di pseudoteorie, di errate utilizzazioni del calcolo delle probabilità.
L'utilità di questo tipo di attività didattiche è massima se esse, oltre a coinvolgere necessariamente il docente di matematica accanto a quello delle scienze sperimentali (e già questo è un dialogo non del tutto abituale!), rappresentano l'occasione per una collaborazione interdisciplinare tra una più ampia pluralità di insegnanti: la maggior parte delle questioni che possono essere affrontate lungo le linee sopra accennate si prestano infatti, in maniera del tutto evidente, a considerazioni storiche e filosofiche e a esemplificazioni nella letteratura.
Sviluppare, nell'organizzazione dei curricoli scolastici, gli spazi destinati al pensiero scientifico non costituisce perciò una mera rivendicazione di maggiori "orari di cattedra". In qualche caso ciò può essere necessario, ma il vero problema è l'utilizzazione ottimale, a tale fine, di tutti i tempi e di tutte le risorse culturali disponibili.

Conclusioni

Siamo in un momento di grande trasformazione nell'assetto dela scuola italiana; alle innovazioni - di cui già si è detto - relative alla formazione degli insegnanti si è già accompagnata l'autonomia scolastica, che ovviamente favorisce esperienze originali, e potrà aggiungersi al più presto, auspicabilmente, la riforma dei cicli. Tale contesto istituzionale va riempito di contenuti.
Uno dei contenuti più qualificanti, e più positivi per l'impatto sociale oltre che educativo e culturale, può essere proprio un progetto organico, opportunamente articolato, di diffusione della cultura scientifica nel sistema formativo; un progetto centrato sugli insegnanti ma del quale risulta chiaro, da quanto si è detto pur molto sinteticamente, l'immediato effetto sugli allievi. Progetto organico non vuol dire schema rigido, calato dall'alto; nella nuova realtà scolastica la progettualità deve obbligatoriamente comprendere elementi di flessibilità, deve fornire indicazioni precise ma al contempo stimolare una diffusa creatività, valorizzando le best practices. A titolo di esempio, osserviamo che iniziative quali quelle citate al precedente punto 3) possono essere incentivate tramite un sistema di finanziamenti mirati, di premi ai docenti e alle classi.
Tra gli obiettivi del progetto, fondamentale appare la costruzione, e la messa a disposizione delle istituzioni scolastiche, di materiali didattici, anche multimediali. La relativa elaborazione non può non coinvolgere congiuntamente l'ambiente accademico e il mondo scolastico, e costituirebbe pertanto anche un'occasione per superare quel distacco tra ricerca e insegnamento che, come abbiamo osservato più sopra, costituisce uno degli elementi negativi nell'attuale situazione.


Giugno Luzzatto
Presidente del Centro Interdipartimentale per la Ricerca Didattica, Genova


Relazione presentata al VI Convegno Nazionale CICAP
Padova 29-31/10/1999

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