Aure: alla ricerca della luce

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  • 05-08-2002
  • di Robert W. Loftin

Alcune persone sostengono che sarebbe possibile conoscere la personalità di un individuo dopo un'attenta lettura del presunto fascio di luce che ci circonderebbe: l'aura. Ecco i risultati di un ingegnoso esperimento.

Molti di coloro che affermano no di possedere poteri paranormali sostengono di vede rè le aure. Si dice che le aure siano campi di luce che circondano gli uomini e, in alcuni casi, altri esseri viventi. La teoria classica dice che le aure sono campi di forza psichica generati dall'interno, che la personalità di una persona può essere identificata dal colore e dalla forma della sua aura, e che le aure cambiano con l'umore della persona. In alcune sezioni della letteratura occulta si possono trovare tabelle che sostengono di correlare i differenti colori con i differenti stati d'animo (Leadbeater 1925). In alcuni casi, chi si considera dotato di poteri paranormali porta a prova delle sue affermazioni la sua abilità di vedere le aure (Garret 1968).

La scoperta della fotografia "Kirlian" fu interpretata da molti sedicenti sensitivi come una rivendicazione delle loro abilità (Ostrander e Schroder 1970). La voce che le aure siano state fotografate è un luogo comune. Uno dei problemi per l'interpretazione della fotografia Kirlian come prova dell'esistenza delle aure fu il fatto che anche gli oggetti inanimati sembrava ne avessero una; perciò fu necessario variare le precedenti affermazioni in qualche modo. O si sosteneva che tutte le cose, inclusi sassi, noccioline e bulloni, pettini di plastica, e così via fossero circondate da campi di energia o si interpretavano questi effetti fotografici come artefatti, creati dal procedimento Kirlian (Krippner e Rubin 1974).

Dato che il procedimento Kirlian è complesso un oggetto viene messo su una pellicola fotografica sensibilizzata, una debole corrente elettrica viene fatta passare attraverso la pellicola, e quando questa viene sviluppata l'immagine appare - avevo l'impressione che l'effetto risultasse da un'energia elettrica indotta e non da un'energia elettrica emessa dall'oggetto. La spiegazione, plausibile e riconosciuta, è che i gas dell'aria che circondano l'oggetto modulano l'energia elettrica, facendo apparire l'alone di luce sulla pellicola sviluppata (Pehek, Kyler, e Faust 1976).

Fino a quel momento non mi sembrava impossibile che alcune persone potessero vedere aloni di luce attorno agli esseri viventi. Sappiamo che gli esseri viventi sono circondati da campi di energia. Le strumentazioni possono rilevare sia energia termica che circonda i corpi viventi, sia il campo magnetico. Sembrava per lo meno possibile che gli occhi di alcune persone potessero essere leggermente sensibili alle onde infrarosse (ad esempio il calore), facendogli vedere luce attorno agli altri. Sappiamo che esiste un ampio spettro di onde elettromagnetiche, del quale la luce visibile è solo una piccola banda. La ricerca non è riuscita a dimostrare possibile la visione umana nell'infrarosso; ma poiché alcune persone, come i daltonici, sono insensibili a frequenze a cui altri sono sensibili, non sembra impossibile che qualcuno possa essere più sensibile del normale. Naturalmente non c'è niente di "occulto" in questo. Se qualcuno potesse vedere aure per questa ragione, non ci sarebbe in questo nulla di "paranormale" o "soprannaturale".

L'altra ipotesi che ho considerato era che le aure non fossero generate internamente, ma fossero il risultato di un difetto visivo in chi "vedeva" l'aura. In parole povere, ho pensato che se potevi vedere le aure, poteva esserci qualcosa di sbagliato nei tuoi occhi.

LE CONDIZIONI SPERIMENTALI

Tutto ciò è mera speculazione finché c'è costantemente qualcuno che vede aure. Ho ideato un test sperimentale per accertare se c'è gente che può farlo. L'idea di base era che, se le aure venivano generate internamente, dovevano poter essere viste al buio. Se il presunto aura-vedente non affermava di essere in grado di vederle al buio, questo minava la voce che fossero generate internamente.

Io do per scontato che quelli che affermano di vedere aure dicano la verità. Credo che ne siano in grado. Quelli con cui ho parlato mi sono sembrati completamente sinceri. Alcuni di loro non dichiarano nessun altro tipo di abilità psichica. Infine una persona mi disse che non amava il fatto di poter vedere le aure, lo trovava piuttosto seccante, e non era per niente ansioso di parlarne. Poiché penso che sia importante avvicinarsi a problemi di questo tipo con la mente aperta, ho assunto che le affermazioni fossero state fatte in buona fede.

Per verificare l'abilità, comunque, era necessario usare un metodo il più strettamente scientifico possibile. Non mi sono stati assegnati fondi ne strumentazioni particolari; perciò ho dovuto arrangiarmi con quello che avevo a portata di mano. Il primo requisito fu una stanza nera come la pece, con entrate da entrambe le parti e su una delle due un'anticamera "blocca-luce" o una doppia porta. Individuai una camera oscura fotografica che sembrava ideale.

Dopo aver trovato un "sensitivo", una donna che accettò di essere controllata secondo il rigoroso protocollo scientifico, arruolai un gruppo di dieci amici, che erano d'accordo di fare da soggetti. La mia più grande paura era che qualcuno nel gruppo dei soggetti potesse passare informazioni alla sensitiva; perciò stetti molto attento, per essere sicuro che i soggetti fossero miei amici, più che suoi.

Volevo un grande gruppo di soggetti per minimizzare la possibilità che un complice nel gruppo potesse passare informazioni alla sensitiva.

La verifica fu piuttosto semplice. La sensitiva sarebbe entrata nella camera oscura dalla doppia porta, così nessuna luce sarebbe entrata nella stanza. Nella altro lato ci sarebbero state o una o due persone. La sensitiva avrebbe avuto fino a tre minuti per dire quante aure vedeva dalla altra parte della stanza. Volendo evitare elaborate verifiche statistiche, tagliai corto con risposte "quasi giuste" esigendo che "uno" e "due" fossero le uniche risposte possibili. Ogni risposta, quindi, era o completamente giusta o completamente sbagliata. Eliminai la possibilità di non avere nessuno nella stanza per evitare che sottili indizi, come il suono del respiro, altri suoni di basso livello, odori, od ogni altro tipo di indizio, potesse turbare l'esito. Probabilmente qualcuno con un udito enormemente affinato avrebbe potuto sentire la differenza tra nessuna persona e una persona. Sembrava potesse essere più difficile capire da tali indizi la differenza tra una o due persone.

Per coprire ulteriormente sottili suoni nella stanza, portai dentro due "generatori di rumore bianco" - ventilatori che emettevano un basso continuo ronzio in sottofondo per coprire ogni rumore emesso dai soggetti.

La distanza tra un lato e l'altro della stanza era di circa 50 piedi (circa 15 metri N.d.T.). Per essere sicuro che la sensitiva non potesse camminare nel buio e toccare i soggetti o arrivare abbastanza vicino da raccogliere indizi, eressi una bassa barriera tra la sensitiva e i soggetti. Questo era semplicemente un pezzo di compensato assicurato a pesanti banconi di laboratorio così da poter facilmente vedere oltre la barriera ma fosse difficile scavalcarla. Come ulteriore precauzione, tenni la mia mano appoggiata sulla spalla della sensitiva durante ogni prova così da poter sapere esattamente dove fosse in ogni istante.

Avvertii la sensitiva che le luci potevano essere accese inaspettatamente nel bei mezzo di una prova. Questo avrebbe invalidato quella particolare prova, ma ritenni necessaria la possibilità di una illuminazione improvvisa della stanza come freno all'uso di qualsiasi strumento complice o a qualche altro tipo di espediente. Dal momento che non c'erano altre porte che davano nella stanza non pensai che tali eventualità fossero probabili; ma non ero disposto a permettere che una persona astuta potesse raggirarmi ed escogitare qualcosa a cui io non avevo pensato.

Allo scopo di evitare la possibilità di una trasmissione radio a distanza di informazioni o qualcosa del genere, il luogo dell'esperimento fu tenuto segreto a tutti gli interessati tranne che al mio fidato assistente. Fino all'effettivo inizio delle prove, solo noi due sapevamo dove avrebbero avuto luogo. La sensitiva fu superficialmente perquisita prima dell'esperimento - non a fondo, giusto nelle orecchie in cerca di ricevitori, e nei gioielli per evidenziare eventuali equipaggiamenti elettrici. Nessuna delle due cose fu trovata.

Il pomeriggio della prima serie di esperimenti, io e il mio assistente passammo molte ore a isolare dalla luce la camera oscura. Lavorando con pesante carta nera, vernice nera e nastro, coprimmo attentamente qualunque spiraglio di luce. Mi aspettavo che una camera oscura fosse impermeabile alla luce, ma non era questo il caso. Trovammo molti forellini di luce. Come fessure attorno alla porta e ognuna di esse fu attentamente ricoperta. Non avevamo un metro di misura della luce, ma dal momento che io ho un eccellente visione notturna, confidavo nel fatto che i miei occhi fossero probabilmente più sensibili alla luce di qualunque cosa tranne forse l'equipaggiamento più elaborato e costoso. Quando ad occhio nudo non vidi alcuna traccia di luce, fui soddisfatto. Ritenevo che non potendo vedere io alcuna luce, non avrebbe potuto farlo nessun altro.

La previsione era di 15 successi su 30 prove. Se la sensitiva avesse indovinato 20 delle 30 prove, sarebbe stato significativo al 95 per cento. In altre parole, facendo questo esperimento 100 volte, la sensitiva avrebbe ottenuto 20 risposte esatte per puro caso solo 5 volte. Novantacinque volte su 100, la sensitiva avrebbe ottenuto meno di 20 successi per puro caso. Un semplice lancio di moneta del mio assistente determinò se fare entrare una o due persone dal fondo della stanza. Una volta entrati nella stanza , gli fu chiesto di rimanere in silenzio. I soggetti entrarono a rotazione in modo che la stessa persona non servisse da soggetto troppo spesso, per minimizzare gli effetti di un possibile complice nel gruppo di soggetti.

Per di più il laboratorio era provvisto di un sistema di allarme che avvertiva gli studenti di fotografia in modo che evitassero l'esposizione alla luce diretta delle loro pellicole. Quando la porta sul retro veniva aperta, l'allarme suonava forte e continuamente finché la porta non veniva chiusa. Questo suono in effetti mascherava il rumore dei passi dei soggetti che entravano nel laboratorio e permetteva a me e alla sensitiva, in attesa fuori, di capire quando i soggetti fossero entrati.

L'INCONTRO CON LA SENSITIVA

Prima della prima serie di 30 prove, l'intero gruppo si riunì in un luogo distante dal laboratorio. Si chiese alla sensitiva di rispondere ad una serie di domande, tra le quali:

1. Come si sente questa notte? C'è qualche motivo per cui non dovremmo andare avanti? Se così fosse, noi sposteremmo le prove ad un'altra notte. (Io ero davvero pronto a farlo, anche se sarebbe stato deludente per i soggetti volontari.)

2. Conosce qualcuno di questi soggetti? Ha mai parlato con qualcuno di loro di qualunque argomento? (Ai soggetti fu falla la stessa domanda. Chiunque avesse risposto "si" sarebbe stato eliminato.)

3. Questi soggetti hanno aure? Può vederle adesso?

4. Ha intenzione di farsi dare informazioni di qualsiasi genere da questi soggetti o da qualsiasi altra persona, diverse dalle istruzioni che le darò io durante il corso dell'esperimento? (Ai soggetti fu chiesto se avevano intenzione di mandare informazioni ad alcuno durante l'esperimento.)

5. Ha addosso equipaggiamento elettrico di qualche tipo?

A tutte queste domande si registrarono risposte soddisfacenti, procedemmo verso il laboratorio, e io spiegai le procedure a tutti i partecipanti. Feci andare un registratore durante tutta la serie di prove. Una mossa saggia, visto come andò. Subito dopo aver visto che il test avrebbe avuto luogo in un laboratorio fotografico, la sensitiva affermò di essere allergica ai prodotti chimici fotografici e che sperava che ciò non interferisse con gli esperimenti. Questa osservazione fu chiaramente registrata sul nastro. Io le chiesi se desiderava interrompere l'esperimento a questo punto. Lei mi rispose che era sua - volontà continuare, così andammo avanti.

Quando furono illustrate le procedure a tutti, la sensitiva chiese se durante la prova poteva stare in un posto diverso da quello indicato. Io rifiutai, in base al principio generale che lo sperimentatore deve mantenere il completo controllo su tutte le condizioni dell'esperimento. Giusto prima che l'esperimento iniziasse, mi sono preparato in modo da non essere fuorviato dalla sensitiva neppure nel più piccolo dettaglio. Anche se non vedevo differenza tra i due luoghi, non ero sicuro che non avrei potuto essere ingannato.

Mentre istruivo i soggetti su dove mettersi, sull'ordine da mantenere, e così via, notai con la coda dell'occhio che la sensitiva si era diretta verso uno degli angoli della stanza dove gli studenti sviluppavano e stampavano fotografie. Dopo le istruzioni, quando ognuno era pronto per iniziare, ispezionai l'angolo. Vi trovai una piccola borsa di velluto, nascosta dalla sensitiva a mia insaputa! A questo punto, arrivai alla conclusione che stava cercando di imbrogliarmi. Mi aspettavo di trovare nella borsa di velluto un qualche sofisticato strumento elettronico, forse sensibile agli infrarossi o qualcosa del genere. Invece conteneva alcuni innocui cristalli, apparentemente cristalli di quarzo, i quali dovevano probabilmente servire ad aiutarla a focalizzare la sua energia psichica. Li tolsi senza farmi notare e li misi sul tavolo dove la sensitiva stava aspettando. Non la accusai di nulla, ne parlai mai del fatto. Per quello che potevo vedere, non era stato fatto alcun danno. Non c'era ovviamente nessun dispositivo elettronico di ascolto, e non pensai più a lungo che stesse cercando di ingannarmi. Tuttavia, era riuscita a far entrare di frodo un oggetto estraneo nella zona sperimentale, il che indicava un punto debole nel protocollo.

IL TEST

A questo punto la serie di tentativi cominciò. La sensitiva ed io aspettammo al buio tra le doppie porte finché non sentimmo l'allarme della porta sul retro attivarsi, e disattivarsi nuovamente, il che significava che i soggetti erano al loro posto. Poi aspettammo dieci secondi e entrammo nella camera oscura. Quando la sensitiva ci diede la sua risposta, o "uno" o "due", io accesi immediatamente la luce così che tutti i presenti, inclusa la sensitiva, poterono vedere se era un successo od un errore. Presi in considerazione l'idea di andare avanti con l'intera serie "alla cieca", cosicché ne io ne la sensitiva avremmo saputo come stava andando. Scartai subito questa idea perché sentii che aveva diritto di sapere, subito, se la stavo registrando correttamente. In effetti alla fine non l'avevo fatto! Avevo in mano una tavoletta e segnavo ogni successo e ogni errore su di una tabella, allo stesso tempo chiamavo ad alta voce "Successo" o "Errore", a favore del registratore. Dopo la serie quando confrontai il nastro con la tabella, scoprii che avevo inavvertitamente segnato un "successo" nella colonna degli "errori", all'insaputa della sensitiva. Questa era un'altra buona ragione per aver tenuto costantemente acceso il registratore.

La sensitiva ebbe successo nei primi tre tentativi. Poi notai che, quando la porta sul retro veniva aperta, entrava luce nella stanza che filtrava da sotto la porta dell'anticamera dove io e la sensitiva stavamo aspettando. Se si guardava sotto il fondo della porta, si potevano vedere delle ombre muoversi avanti e indietro come i soggetti entravano e lasciavano la stanza. (Vedi schema)

Per le successive prove, misi una tela scura e pesante attraverso il fondo della porta dell'anticamera cosicché non si poteva vedere nessuna luce quando i soggetti entravano ed uscivano dalla stanza. Era possibile che la sensitiva potesse essere in grado di distinguere tra una o due ombre che entravano nella stanza. Ad ogni modo, gli errori cominciarono ad apparire dopo che avevo bloccato questa luce vagante. Anche questo indicava un punto debole nel protocollo. Questo tipo di dettagli viene raramente menzionato nelle relazioni pubblicate degli esperimenti, e non è proprio come essere presenti al fatto. Un punto forte del protocollo consisteva nel fatto che lo sperimentatore era vicino alla sensitiva per tutto il tempo - tutto ciò che la sensitiva poteva vedere o sentire, probabilmente poteva avvertirlo anche lo sperimentatore.

Cercai di ideare il miglior protocollo possibile, poiché sarebbe stato grottescamente scortese nei confronti della sensitiva se ammettevo una pecca nella procedura dopo aver ottenuto un risultato migliore di quello casuale. Se avesse potuto dire quanta gente c'era nell'altra parte della stanza vedendo le loro aure, leggendo nelle loro menti, o in qualunque altro modo, dovevo esser preparato ad ammettere che aveva superato il miglior test che avessi mai potuto inventare.

Prima che i 30 tentativi della serie fossero completi, si è dovuto interrompere il test a causa dell'allergia della sensitiva che stava diventando sempre più fastidiosa. I suoi occhi erano gonfi, quasi chiusi, e la sua pelle arrossata. Apprezzai il fatto che non avesse mandato tutto all'aria solo perché non si sentiva bene. Lei aveva accennato ali ' allergia fin dal principio, l'aria nel laboratorio era satura di esalazioni, lei era chiaramente sotto stress, e accettò prontamente di provare un'altra serie di test in un altro luogo.

[...]Ho pensato dì usare uno studio televisivo senza finestre. La preparazione fu simile in tutti gli aspetti rilevanti. Usai dieci nuovi soggetti per prevenire la possibilità che la sensitiva avesse potuto assicurarsi l'aiuto di qualche membro del primo gruppo, nell'intervallo di tempo tra i due tentativi. Il risultato non fu al di sopra della media, 13 successi in 30 tentativi.

conclusioni

A questo punto decisi che non valeva la pena fare questo tipo di ricerca. Finché la sensitiva non avesse prodotto nessun risultato rilevante, quelli che non credono che la gente possa vedere aure non sarebbero stati sorpresi. Generalmente la reazione sarebbe stata del tipo "Oh bene! Allora, dove sta' la novità?". Mentre quelli che credono fermamente che le aure esistano, e che alcune persone possano vederle, potrebbero dire che questa sensitiva in questa occasione non era riuscita a vederle, ma sarebbero rimasti fermi nella convinzione che qualcun altro in un'altra occasione sarebbe riuscito a vederle.

D'altro canto, se la sensitiva avesse avuto ragione ogni volta, gli scettici avrebbero ammesso che poteva veder le aure? Probabilmente no. Sarebbero più propensi ad individuare possibili inesattezze nel protocollo. Io ho già indicato quali tra queste inesattezze avrebbero potuto verificarsi - qualcosa introdotto di nascosto, la luce sotto la porta mentre i soggetti entravano, l'abilità nel rilevare piccoli indizi sensoriali. Oltretutto, come si può escludere un subdolo passaggio di informazioni da un complice nel gruppo dei soggetti o una spia sopra un tetto, con un binocolo e una trasmittente radio, che osserva da lontano e comunica alla sensitiva con un piccolo ricevitore nascosto in un dente? È ben lungi dalla tendenza in quest'area di ricerca di valutare il protocollo di un esperimento dai risultati! Se non si trova niente, il protocollo è considerato buono; ma se il test è positivo riguardo a presunte abilità psichiche, si da per scontato [...] che ci sia un errore nel protocollo. Ancora, dubito che avrei potuto inventare un protocollo così sicuro da mostrare che una persona può vedere aure. Di una cosa cominciai a preoccuparmi, che una volta noti i miei già semplici procedimenti, qualcuno avrebbe potuto trovare un modo altrettanto semplice per aggirarli!

Resto della convinzione che questa particolare sensitiva fosse sincera. Penso che lei pensasse realmente di vedere le aure. Non penso che ne fosse in grado, ma nemmeno che cercasse di prendermi in giro. Nonostante tutto fu disponibile e cortese, accettò tutti i sospetti senza protestare e fece esattamente tutto ciò che le fu detto.

Rimane la possibilità che le aure non siano generate internamente ma che alcune persone le vedano perché hanno un diverso apparato visivo. Se è questo il caso, coloro che le vedono sono del tutto sinceri, ma le aure diventano molto meno interessanti perché ciò le rimuoverebbe chiaramente dall'area del paranormale e le piazzerebbe nella categoria dei difetti visivi.

Robert W. Loftin

è professore di filosofia presso il Dipartimento di storia e filosofia dell'University of North Florida.

© Skeptical Inquirer, voi. 14, No. 4 - Summer 1990.

Traduzione a cura di Paola De Gobbi, Lorenza Mariutti

Bibliografia

• Leadbeater, C.W. 1925. Man Visible and Invisible. Wheaton, 111.: Theosophical Publishing House. (Questa è una fonte classica passata attraverso varie edizioni e ristampe.)

Garrett, Eileen. 1968. Awareness. New York: Berkiey.

• Ostrander, Sheila, and Lynn Schroder. 1970. Psychic Discoveries Behind thè Iron Curtain. Englewood Cliffs, N.J.: Prentice-Hall.

• Krippner, Stanley, and Daniel Rubin. 1974. Thè Kirlian Aura. Garden City, N.Y.: Doubleday/ Anchor.

Pehek, John O., Harry J. Kyler, and David L. Faust. 1976. Image modulation in corona discharge photography. Science, 194:263-270.

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