Alla ricerca del sepolcro?

R.Andrews, P.Schellenberger
Sperling & Kupfer,
pp.360 €17,82

  • In Articoli
  • 20-04-2005
  • di Diego Cuoghi
A chi il viaggio nel Mondo della Fantasia proposto da Il Codice Da Vinci non fosse bastato, propongo in questa sede la lettura di uno dei più sorprendenti libri pubblicati sull'argomento: Alla ricerca del sepolcro di Andrews e Schellenberger, pubblicato da Sperling & Kupfer. Come il romanzo di Dan Brown, pretende di rappresentare accuratamente la realtà e di rivelare segreti esplosivi; si tratta di un incredibile frullato di Graal, Poussin, Guercino, Gesù Cristo e la Maddalena, Templari, Catari, Rosacroce, Rennes-le-Château, le pergamene dell'abate Saunière, i vangeli gnostici, i rotoli di Qumran e perfino le mappe Michelin... Il filo rosso che lega il tutto è costituito da geometrie occulte, reticoli arbitrari e improbabili allineamenti: pagine e pagine di diagrammi, triangolazioni, inclinazioni che a volte combaciano tra loro, altre volte non lo fanno affatto - e in questo caso, poco male, gli autori ruotano la mappa di qualche grado o cambiano punto di riferimento. Lo stesso fanno con i nomi che non corrispondono: gli autori cambiano mappe, paesi, montagne, epoche per supportare la loro teoria per cui il sepolcro di Gesù sarebbe in Francia, a pochi chilometri da Rennes-le-Château, nelle viscere del monte Cardou.

Intorno al paesino pirenaico esiste una vasta letteratura, ma il libro di cui stiamo parlando è uno dei più inverosimili e scadenti del panorama. I nostri Bouvard e Pecuchet dell'esoterismo "macinano" nelle pagine del loro libro qualsiasi notizia, documento, dipinto e incisione senza curarsi minimamente di approfondire gli argomenti proposti. Ecco solo qualche piccolo esempio.

Nel capitolo 11 gli autori si occupano di un ex-libris che affermano essere appartenuto all'abate Saunière e, oltre a trovarvi una grande quantità di reticoli, pentacoli e allineamenti misteriosi, sostengono che sia stato disegnato dallo stesso sacerdote, o perlomeno che lui lo abbia ideato e poi fatto realizzare da un artista. Affermano infatti che in quel segnalibro avrebbe nascosto volutamente gli stessi misteriosi diagrammi geometrici da loro evidenziati nel celebre dipinto Pastori d'Arcadia II, dipinto da Poussin intorno al 1640. I due autori non sanno invece che tutta la loro analisi è costruita su un famosissimo simbolo "ermetico" già pubblicato nel 1618 sullAureum Saeculum Redivivum da Heinrich Madathanus.[1] Inoltre è evidente che da quel disegno (che comprende un quadrato, due cerchi, due triangoli, una croce) è possibile ottenere qualsiasi altra figura geometrica a piacere, semplicemente prendendo di volta in volta come riferimento un vertice, un centro, un punto mediano, e tracciando tra questi tutte le linee che si vogliono... L'aspetto più interessante della vicenda è l'origine del malinteso. Sullex-libris compaiono le lettere BS, che gli autori confondono con le iniziali di Bérenger Saunière; nel contesto alchemico cui fanno riferimento, invece, rappresentano il bismuto e lo zolfo!

In uno dei capitoli di Alla ricerca del sepolcro gli scrittori esaminano il dipinto La Fontaine de Fortune, ritenendolo uno dei tanti indizi contenenti "misteriosi" schemi geometrici. Dopo vari tentativi di applicare a quel dipinto le triangolazioni derivate dalle pergamene, i due autori arrivano a dire che "va riconosciuto onestamente che La Fontaine de Fortune ha indicato la geometria nascosta in maniera così goffa [...] che il risultato dal punto di vista artistico è una delle peggiori composizioni che si siano mai viste". Siamo arrivati all'assurdo. Se un dipinto quattrocentesco, che non si capisce bene come e perché sia stato tirato in ballo, non corrisponde alle pretese "geometrie" delle pergamene, allora è il dipinto ad essere sbagliato e malfatto!

Ancora, il numero 681 che compare in una delle due pergamene di Rennes-le-Château è interpretato dagli autori come altitudine di una località in base a questo ragionamento: "La forma della cifra romana non portava a niente, ma 681 aveva una connotazione familiare. Le mappe dell'IGM sono letteralmente disseminate di numeri a tre cifre. Il 681 non poteva essere un'altitudine?". Un ragionamento da lasciar senza parole... Sappiamo benissimo che a quota 681 di qualunque nazione, regione, provincia o comune c'è "qualcosa". Può essere un prato, una casa, un paese, una chiesa... Ovviamente a quota 681 di una carta dell'Istituto Geografico i nostri trovano qualcosa, collegano questo qualcosa (un banale incrocio stradale) con un altro punto dove è indicata una croce, proseguono la linea, ne aggiungono un'altra arrivando così al Col Doux (colle dolce). Visto che cercavano un collegamento con un'altra parola della pergamena (PAX) trovano il modo di arrivarci dicendo che "colle dolce" significa "a seconda del contesto morbido o pacifico e abbiamo trovato il PAX del testo in cifra". E questa è solo una delle mille e mille licenze che si prendono per accostare qualunque cosa abbia qualche vaga somiglianza con un'altra.

L'aspetto più inquietante, però, è la pretesa autenticità delle famose pergamene dell'abate Saunière. All'inizio gli autori ammettono che "non è possibile vederle. Non si trovano in alcun museo o biblioteca accessibili al pubblico. Qualcuno dubita che le pergamene siano mai esistite; altri negano categoricamente la loro esistenza; altri ancora affermano che si tratta (o si trattava) di contraffazioni". Subito dopo però si introducono in una selva di incredibili riflessioni crittografiche sostenendo l'autenticità delle riproduzioni di queste fantomatiche pergamene che infatti nelle didascalie vengono descritte come "Fig. 1.1 - Pergamena 1, da una fotografia" e "Fig. 1.2 - Pergamena 2, da una fotografia". Ma fotografie di cosa, dal momento che - come essi stessi affermano sopra - "non si trovano in alcun museo o biblioteca accessibili al pubblico"? Fotografie di riproduzioni di disegni di cosa? Che si tratti di contraffazioni è evidente, basta notare un madornale errore storico commesso da chi ha realizzato quelle pergamene in un elegante stile semionciale tipico dei secoli VIII e IX: un punto interrogativo disegnato alla maniera moderna, che appare in bella evidenza a metà di una delle due pergamene. Chi ha un minimo di conoscenze nel campo della scrittura antica sa che il punto interrogativo, così come lo intendiamo noi oggi, non esisteva nella lingua latina, che aveva come unico segno di interpunzione il punto. Appaiono poi tra il Quinto e l'Ottavo secolo l'apostrofo e la linea, e solo alla metà del Milleduecento cominciano ad essere usati anche altri segni, disegnati in modo diverso a seconda delle "scuole" grafiche delle diverse nazioni. Circa alla metà del secolo XIV appare il primo tentativo di mettere ordine con una specie di "catalogazione" che comprende per la prima volta anche il segno interrogativo. Quindi all'epoca in cui comincia ad essere usato questo segno di interpunzione la calligrafia semionciale non è più usata da almeno quattro secoli. Possibile che gli autori non abbiano pensato di far esaminare quelli che ritengono i documenti fondamentali per il loro studio da un esperto paleografo? In realtà, per avere questa informazione sarebbe bastato anche solo consultare un'enciclopedia alla voce "Punteggiatura" (io ho trovato molte informazioni sia sulla Treccani che sulla UTET).[2]

Una cosa soltanto manca a questo frappé di esoterismo di bassa lega: una nota introduttiva in cui spiegare che ogni riferimento a fatti, persone, luoghi o avvenimenti all'interno del libro è assolutamente casuale, dilettantesca e di assoluta fantasia!

Note


1) Si veda ad esempio Alexander Roob, Alchimia e mistica, Colonia/Milano: Taschen, 1997, p.468.
2) Già nel 1967 l'archivista e paleografo italiano Giuliano Gepetti aveva analizzato le pergamene per conto di René Descadeillas, ed aveva concluso: "Le dico, subito, che esse non meritano un attento esame, tanto è evidente trattarsi di falsi; [...] a mio avviso, il falsario ha voluto imitare un documento del XII o XIII secolo senza riuscire nel suo intento" (cit. in René Descadeillas, Mythologie du Trésor de Rennes, Editions Collot, 1991, p.70-71). Sull'autenticità delle pergamene si veda anche l'articolo di Mariano Tomatis Le due pergamene di Gérard De Sède in http://www.renneslechateau.it/...
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