Siamo tutti Jekyll e Hyde?

Alle origini del comportamento irrazionale: gli istinti - parte III

Nell'animale certi comportamenti genetici si possono a volte osservare allo stato "puro", o quasi, attraverso particolari esperimenti. Nell'uomo, ovviamente, ciò non è possibile:bisognerebbe far crescere degli individui in totale isolamento culturale, come degli scoiattoli in gabbia, per vedere come si comportano poi da adulti, sulla base del loro solo "repertorio" genetico.

Osservazioni di questo tipo non sarà mai possibile farle, anche se in passato si sono verificate situazioni molto vicine a quelle di un totale isolamento culturale: sono i casi dei cosiddetti "bambini-lupo", ritrovati nei boschi dove vivevano da lungo tempo, abbandonati e inselvatichiti.

Il caso più famoso è quello del bambino trovato nell'800 nei boschi dell'Aveyron, in Francia: era cresciuto allo stato selvaggio, correva a quattro zampe e viveva in tane scavate nella terra. Un istitutore, J.Itard, cercò inutilmente nel corso di vari anni di educarlo per farlo tornare a essere un bambino normale.

In casi del genere affiora, in tutta la sua nudità, l'"animale" che abbiamo dentro, con tutti i suoi impulsi primordiali.

Sin da piccoli, però, attraverso l'educazione noi lo "ricopriamo" con un fitto strato culturale che si sovrappone e cerca, appunto, di prendere in mano le redini della situazione.Così facendo, inevitabilmente si "mescolano" i due livelli (culturali e istinti) e diventa quindi impossibile una lettura separata.

Un "avvocato" per gli istinti

Alcuni osservano con ironia (ma non troppa) che i nostri comportamenti istintivi li possiamo comunque vedere all'opera "attraverso" la cultura;essi ritengono infatti che le elaborazioni culturali della corteccia non siano altro, in larga misura, che delle semplici "traduzioni" in bella copia delle rivendicazioni provenienti dal basso.

Il linguaggio diventerebbe così un semplice portavoce degli automatismi inconsci, un "avvocato" che in modo colto e raffinato esprimerebbe comportamenti che in realtà sono telecomandati proprio dalle parti più primitive (mangiando con forchettine d'argento anzichè con le mani, ricorrendo a un atto notarile anzichè alle bastonate per stabilire i confini di un territorio, corteggiando educatamente una donna, anzichè importunarla:ma pur sempre con l'obiettivo di soddisfare gli istinti primordiali di fame, territorialità, sesso ecc.).

Altruiscmo ed egoismo

Qualcun altro si spinge ancora più in là. Ritiene che la stessa selezione naturale nel corso di milioni di anni si sia basata, sostanzialmente, sulla trasmissione di certi geni capaci di regolare non solo il comportamento individuale ma anche quello sociale.

Sono i socio-biologi, secondo i quali lo studio degli animali che vivono in gruppo (insetti, uccelli, mammiferi, ecc.) dimostra al di là di ogni dubbio che anche il loro comportamento sociale è regolato da meccanismi genetici innati.

Ad esempio l'altruismo verso i consanguinei, che spesso si osserva negli animali, altro non sarebbe che una strategia egoistica dei geni per perpetuare se stessi attraverso la parentela.

Anche l'uomo, essendo il risultato di un'evoluzione biologica - affermano i sociobiologi - porta inevitabilmente dentro di sè una serie di "predisposizioni", di costrizioni emotive, di circuiti ormonali, che confluiscono sul suo comportamento molto più di quanto certi studiosi di scienze sociali abbiano mostrato di comprendere.

Bisogna dire che la sociobiologia è stata, al suo sorgere, accolta con molta diffidenza e anche ostilità. Al punto che il professor Edward Wilson, docente di zoologia alla Harvard University e leader dei sociobiologi, ha tenuto appeso a lungo nel suo studio un poster che rappresentava una rana in una posizione stramba, con la significativa scritta:"Ogni progresso risulta da coloro che hanno assunto una posizione impopolare..."

Natura e cultura

Negli animali il discorso della sociobiologia non solleva particolari discussioni:nessuno si scandalizza, infatti, se si mostrano tutti gli automatismi genetici del comportamento sociale delle api o delle formiche (anzi, può accadere forse l'opposto: molta gente si sente quasi derubata se sente parlare di certi comportamenti "culturali" anche negli animali). Ma appena si entra nel campo del comportamento umano cominciano subito a sorgere preoccupazioni.

Ai sociobiologi molti hanno obiettato che l'uomo possiede un linguaggio simbolico, il quale ha permesso la nascita della tecnologia, dell'arte, della religione, della politica, della morale ecc. Egli è perciò "decollato": il suo comportamento è regolato da altri fatto, quelli appunto di tipo culturale, che sono divenuti soverchianti.

Isociobiologi rispondono che è vero, naturalmenet, che la cultura è molto importante: ma biologia e cultura, a loro avviso, sono strettamente connesse. Se la cultura ci governa, essi dicono, a loro volta i geni tengono la cultura al laccio.

E' proprio in questa chiave che Edward Wilson ha coniato il termine di "co-evoluzione". Nel senso che evoluzione genetica ed evoluzione culturale si influenzano a vicenda.

Ma i critici ribattono che la sociobiologia attribuisce, comunque, troppa importanza al ruolo dei geni.

Alcuni timori

Dietro queste polemiche ci sono, sostanzialmente, tre tipi di motivazioni, di origine assai diversa: filosofica, politica, tecnica.

Per dirla in termini più chiari:

1)C'è chi teme che questa visione meccanicistica tolga spiritualità all'uomo, riducendolo semplicemente a una macchina biochimica.

2) C'è chi teme che qualche "brutta bestia" come il razzismo, la xenofobia ecc. possa trovare una qualche giustificazione nella sociobiologia, in quanto potrebbe mostrare che certe "spinte" fanno intrinsecamente parte della natura umana.

3)C'è invece chi muove critiche di tipo più prettamente scientifico, in particolare sulla legittimità di certe estrapolazioni dall'animale all'uomo.

E anche sul fatto che viene dato troppo valore selettivo ai singoli genti, mentre la selezione - dicono i critici - avviene sugli individui o sulle popolazioni.

Imparare a conoscere

la "cantina" genetica

E' comunque una ricerca di grande interesse, specialmente oggi che il Progetto Genoma ci aiuta a capire l'importanza dei geni in tanti aspetti della vita e del comportamento dell'uomo. Siccome ognuno di noi vuole essere più "uomo", cioè più libero, più pensante, più immaginante (e meno condizionato dalle arcaiche reazioni), sarebbe infatti utile conoscere il più possibile la nostra "cantina genetica" del comportamento. Per gestirla adeguatamente. Conoscere meglio questi meccanismi, e guardarli senza paura, non vuol dire attentare alle libertà dell'uomo. Anzi, se esiste un margine di "libertà" da rosicchiare, forse ciò è possibile soltanto esplorando a fondo questi condizionamenti, imparando a capire come e quando agiscono. Abituandosi così a controllarli e a orientarli, anzichè lasciarli inconsciamente controllare da essi. In modo da essere un po' meno marionette e un po' più burattini di se stessi. Per quanto possibile.

L'immondizia del giorno prima

In proposito andrebbe anche precisato che se per comodità espressiva abbiamo usato finora l'immagine un po' colorita di un "animale" che ci portiamo dentro (o di un dottor Jeckyll e mr. Hyde) non bisogna ovviamente pensare che questa parte arcaica sia un'entità malefica, o un residuato maleodorante, rimasto stratificato dentro il nostro "secchio" cerebrale come l'immondizia del giorno prima.

L'evoluzione non si trascina dietro cose inutili in dosi così massicce: funziona piuttosto come un setaccio che scarta man mano i perdenti nelle eliminatorie. In altre parole se abbiamo dentro al cervello tutta questa armata Brancaleone di amigdale, ippocampi, reticoli ascendenti, midolli allungati ecc. vuol dire che essi fanno parte di noi, che sono parte integrante dell'uomo. E infatti senza di essi saremmo incapaci di vivere. Non solo, ma senza di essi la nostra personalità sarebbe probabilmente simile, più o meno, a quella di un grigio calcolatore elettronico.

Il paleoencefalo e il poeta

Infatti la neo-corteccia da sola, in pratica, è soltanto uno straordinario registratore ed elaboratore di memorie:è invece la "colorazione" emotiva e affettiva proveniente dalle zone sottostanti a profondere quella "umanità" che fa essere l'uomo così diverso da una macchina: che lo rende appassionato, sofferente, dolce, allegro, collerico, affettuoso, eccitato, triste, entusiasta. E innamorato.

L'amore affonda infatti le sue radici in questo antichissimo labirinto biologico. Risalendo lungo gli strati porta fino alla corteccia quegli umori che vengono poi tradotti in poesie, musiche, parole e comportamenti.

Il cervello, insomma (con i suoi istinti, le sue emozioni e il suo elaboratore corticale), è un insieme unico, non divisibile. Non si può spegnere (sotto) la caldaia senza inaridire (sopra)l'amore. Non si può eliminare il paleoencefalo senza uccidere il poeta...

Le parti 1 e 2 di questo articolo sono state pubblicate, rispettivamente, nei numeri 39 e 40 di Scienza &Paranormale.

 

 

 

 

 

 

Piero Angela, giornalista e scrittore. Il suo ultimo libro si intitola Premi e punizioni(Mondadori).

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