Zichicche (recensione)

di Piergiorgio Odifreddi
Edizioni Didalo, Bari 2003
pp. 278, € 14,00

  • In Articoli
  • 03-12-2003
  • di Andrea Frova

In questo libretto, da birbo par suo, Piergiorgio Odifreddi cala sul capo di Antonino Zichichi una tal pioggia di fendenti - parlare di "chicche" è un eufemismo - da ridurre lo zazzeruto professore a malpartito. Articoli, lettere a giornali, recensioni di suoi libri, tutto converge nel suggerire al lettore che scienziati e giornalisti italiani nutrano per lui scarsa stima e meno ancora simpatia. Persino il suo antico protettore Giulio Andreotti, nella prefazione, traccia una poco lusinghiera similitudine tra lui e un altro fisico del passato (lapsus volontario?). Profili a dir poco impietosi sono tracciati da due grandi giornalisti scientifici, il compianto Giovanni Maria Pace su L'Espresso e Franco Prattico su Repubblica. Un assaggio di Pace: "Questi atteggiamenti di Zich fanno dire a qualcuno che il "caso Zichichi" può diventare, per la fisica italiana, quello fu il "caso Lysenko" per la biologia sovietica negli anni bui dello stalinismo" (p. 67). E più avanti: "Quella girandola di parole, quelle semplificazioni fuorvianti di cui sono infarciti i "pezzi" di Zichichi, presuppongono un lettore a basso quoziente di intelligenza..." (p. 71). Affermazione questa che ricorre sovente nelle varie stroncature dei libri del professore.

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Il libro si apre con un monito di Aristotele: "... uno scienziato non dovrà rispondere a ogni domanda su qualsiasi argomento". Sembra scritto a pennello: mi riporta subito alla mente ciò che a bruciapelo mi chiese Marcello Mastroianni durante un ricevimento all'ambasciata italiana di Mosca nel 1987, durante il forum sul disarmo nucleare indetto da Gorbaciov: "Voi fisici dovreste togliermi una curiosità: ma Zichichi, è davvero quel cia... che sembra in TV?". Al che io, imbarazzato dalla presenza di tante persone: "Che cosa glielo fa pensare?". E lui: "Non c'è cosa di cui non parli... domanda a cui non risponda... e poi quel look, quel look da attore...". La chioma appunto...

Il Prologo contiene il noto articolo "Se la torre di Pisa fosse orizzontale", che Zichichi scrisse nel 1979 per Repubblica - primo e ultimo (o forse penultimo) della serie - e che gli guadagnò, da parte del collega Carlo Bernardini, l'ancor più celebre "L'algebra delle caramelle", una presa in giro che Zichichi mai gli ha perdonato. Per chi non ricordasse, l'essenza era: se uno acquista 5 matite e per ciascuna riceve in regalo 2 caramelle, non può dire di avere totalizzato 10 caramelle, perché secondo Zichichi "la moltiplicazione implica, anche se nessuno lo dice, che si abbia a che fare con cose identiche: [...] tutte matite o tutte caramelle" (p. 16). Una svista, direi, benché abbia l'effetto di invalidare la legge di Newton, un peccatuccio veniale.

Segue "Lo scienziato", dove si documenta la battaglia combattuta, sempre nel 1979, dall'allora ministro Vito Scalia per far eleggere Zichichi alla direzione del CERN di Ginevra. Fu un'iniziativa infelice, giacché tutti i membri del Consiglio del CERN votarono per il tedesco Schopper (salvo il rappresentante italiano che si assentò). Scalia, un po' come il marito che per far dispetto alla moglie si taglia gli attributi, minacciò di far uscire l'Italia dal CERN, ma la scienza italiana - in testa Edoardo Amaldi, uno dei principali artefici del CERN - insorse all'unisono. Un interessante fatto di costume è che ci fu un tentativo di screditare il padre della fisica italiana del dopoguerra con accuse di simpatie comuniste e di scarso rigore morale (si vedano per questo l'articolo di De Simone a p. 33 e le lettere di replica dei fisici Pallottino, Pizzella, Ruffini, nonché l'accurata disamina dei fatti di un altro fisico, l'indimenticabile Marcello Conversi).

Nella sezione "Il politico" si parla del Centro Internazionale di Erice e della diserzione da parte dei sovietici, nel 1985, di un convegno sulla "scienza senza frontiere". Anche se allora la partecipazione dei sovietici agli eventi in occidente era sempre un fatto aleatorio, la vicenda produsse un gran baccano sui giornali e Zichichi fu criticato sia da destra (Il secolo d'Italia, p. 119), che da sinistra (L'Unità, p. 131) per aver invitato scienziati americani che, come Edward Teller, erano notoriamente dei falchi. Il giornalista Franco Prattico, in un ironico articolo su Repubblica (p. 135), scrisse che le iniziative di Erice sono uno strumento "che consentirebbe a Zichichi di riprendere la sua corsa per il Nobel. Se non a quello per la fisica, commentano i suoi colleghi, almeno a quello per la pace. Da condividere, eventualmente, con Andreotti".

Dopo un capitolo intitolato "L'amministratore", sul quale preferisco non addentrarmi, si arriva finalmente alla divulgazione scientifica, quello che per molti è il vero tallone di Achille del professore Zichichi: un serbatoio da cui i suoi detrattori pescano per ridere nell'ombra dei laboratori o allietare le bacheche. Di persona cura intere pagine del Tempo - ce ne parla il direttore Gianni Letta a p. 99 - e tiene una regolare rubrica alla TV che secondo alcuni, (p. 9), è alquanto amena. Poi scrive libri. Le recensioni - tutte in negativo tranne quella debole e inaspettata di Venzo De Sabbata - lo accusano di muoversi fra tre "M", quelle di Metafisica, Mitizzazione e Misticismo: per uno che si presenta come erede e interprete di Galileo, più a-galileiano di così non si può. Dice Andreotti (pag 7): "Quello che può sottrarre alla ricerca e allo studio lo dona volentieri alla missione apologetica della fede". Legittimo, se non fosse, come alcuni gli rimprovano, di farlo in nome della scienza (ad esempio, p. 203). In un paese dominato da pregiudizi, dogmatismi e oggi persino da spinte creazionistiche, sarebbe questo un peccato più grave che non incorrere in qualche svarione.

Nei confronti di Zichichi, tra i venerabili della fisica italiana si sono espressi pubblicamente in termini negativi soltanto alcuni. Molti hanno scelto di tacere e tacciono ancora, malgrado la credibilità scientifica e/o l'età veneranda li mettano al riparo dai rischi. Si tratta certo di fair play - i fisici, si sa, sono dei gentiluomini - ma un ignoto poeta vernacolare a fine libro insinua che alla base di tutto ci sia er sordo (p. 275). "Sordo" starebbe, ovviamente, per fondi di ricerca. Ma anche per onori, favori, titoli, promozioni, di cui Zichichi - forte delle sue amicizie politiche ed ecclesiastiche - è stato largo dispensatore. È un fatto che il professore è in grado di esibire lettere di elogio scritte da premi Nobel come Samuel Ting, credenziali che lo hanno aiutato a vincere il Premio per il Centenario di Fermi della Società Italiana di Fisica, assegnatogli per lavori nel campo dell'antimateria. È un fatto che il professore riesce a divenire via via presidente dell'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (dove peraltro ha ben meritato, riuscendo a farvi confluire ingenti finanziamenti) e presidente della Società Europea di Fisica. È un fatto che riesce a promuovere iniziative importanti, quali il Centro Majorana di Erice e il laboratorio nel tunnel del Gran Sasso. È un fatto, infine, che c'è sempre qualcuno pronto a organizzare campagne in suo sostegno o a difenderlo allorché mette il piede in fallo. Il fisico Marcello Cini non esita ad affermare (p. 73): "Parlar male di Nino è quasi come mettersi contro don Calò Vizzini nella Palermo degli anni '30". Effettivamente, io stesso mi sono visto addentare ai polpacci da ben 22 (ventidue) colleghi - agenti in solido - per aver espresso parere negativo circa il suo fantasmagorico libro Galilei divin uomo (p. 213), nel quale il malcapitato Galileo viene di fatto spogliato di quel grande spirito laico e razionale che informa tutti i suoi scritti, e dipinto come una specie di Santa Caterina da Siena. Anche questo, peccato non veniale. "Una operazione già vista molte volte, quella della riconquista da parte cattolica dello scienziato più cristallinamente laico e più perseguitato dall'Inquisizione" scrive Paolo Galluzzi, direttore del museo di Storia della Scienza a Firenze (p. 101).

Pare che quest'idea fissa di Zichichi di voler far nascere la scienza dalla religione grazie all'intermediazione di Galileo - arrivata fino al punto di fargli promuovere la beatificazione dello scienziato (p. 66) - preoccupi persino alcuni vertici della Chiesa, che su Galileo si muove oggi con i piedi di piombo. Sicuro è invece che apre un varco alle "chicche" più gustose, riunite nei capitoli intitolati "Il predicatore" e "Il divulgatore". Oltre agli spassosi ma inesorabili saggi di Odifreddi stesso e al tagliente medaglione di Bellone su Le Scienze a proposito di Galilei divin uomo (p. 203), vale la pena di leggere il testo di Fantoli, autore sostenuto dai gesuiti della Specola Vaticana, un tempo avversari di Galileo, oggi suoi difensori contro le ambigue operazioni di "riabilitazione".

Il pamphlet di Odifreddi, insomma, rischia di avere una certa efficacia. L'autore, che è un logico matematico, afferma di averlo messo assieme come testimonianza di impegno civile, implicitamente insinuando che nessun fisico ha voluto assumersene l'onere. Però, diciamolo, dagli abituali lettori di Zichichi e dai suoi seguaci non verrà letto o preso in considerazione, e negli altri avrà il solo effetto di accrescere il disagio al pensiero che egli guidi oggi una commissione di consulenti del ministro Moratti e presieda, ironia della sorte, il consiglio di amministrazione del Museo Centro Ricerche E. Fermi di via Panisperna, nato sulle glorie di Fermi e Amaldi e della loro scuola romana. "Auguri e preghiere", è il commiato di Andreotti nella prefazione: la consueta, sottile ironia del senatore?

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