Che fatica essere razionali!

Se il cervello umano, macchina perfetta, non è del tutto razionale...

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  • 17-11-2004
  • di Galeazzo Sciarretta
Mi piace pensare che la maggior parte dei lettori di Scienza & Paranormale, o perlomeno i simpatizzanti del CICAP, condividano con me la scelta di vita di seguire il più possibile la razionalità e il metodo scientifico. Ma non tutti si comportano così ed è facile quotidianamente constatare quanto diffusi e palesi siano invece gli esempi di irrazionalità, di cui S&P riporta in ogni numero un vasto campionario. Ma perchè - ci sorprendiamo - queste persone non ragionano? Perchè non usano anche loro il cervello?

Quest'ultima retorica domanda solleva però un più interessante interrogativo: è il cervello umano veramente una macchina razionale? Il quesito non è banale e tanto meno lo è, allo stato attuale delle Neuroscienze, la risposta: ma possiamo provarci.

Diciamo innanzitutto che sicuramente il cervello umano è anche una macchina razionale: poichè infatti esiste un pensiero razionale, questo, fino a prova contraria, non può essere che il prodotto della attività del suo substrato biologico: altrimenti, cominceremmo subito con il disattendere il metodo scientifico e la iniziale professione di fede nella razionalità. E' opinione abbastanza diffusa tra i neuroscienziati che la funzione raziocinante sia coordinata dalla cosidetta memoria di lavoro, localizzata nella corteccia prefrontale laterale; questa struttura, che nella scala evolutiva comincia ad essere riconoscibile solo nei cervelli dei mammiferi ed evidente in quelli dei primati, con particolare sviluppo nella specie di cui facciamo parte, è in grado di connettersi bidirezionalmente con la gran parte delle altre aree funzionali, sia della neo-corteccia che delle sezioni più antiche. Alla attività di questa rete, che potremo funzionalmente interpretare come un sistema di supervisione centralizzato, sono riportabili la consapevolezza e, in collaborazione con le strutture attinenti alla funzione linguistica, la capacità di formulare processi logici coscienti. Nel suo insieme, tale prestazione sembrerebbe essere oggi realizzabile solo da parte di homo sapiens sapiens (in passato presumibilmente anche dai suoi antenati e cugini, come i Neanderthal), poichè gli altri attuali primati adoperano principalmente per scopi motori l'omologo delle strutture corticali che noi dedichiamo al linguaggio.

Per quanto mirabile, questa prestazione non costituisce tuttavia che una minima porzione, la punta dell'iceberg, della intera operatività del sistema nervoso centrale. La routine della gestione delle varie funzioni vegetative, riflesse e motorie, ma anche di quelle rivolte alla percezione, elaborazione e classificazione degli stimoli, fino alla stessa verbalizzazione e al riconoscimento del linguaggio, si svolge invece normalmente a livello inconscio, quindi non-razionale (il che non significa necessariamente "contrario alla razionalità": ad esempio, l'intera complessa sequenza messa in atto per scacciare una fastidiosa mosca può svolgersi interamente senza l'intervento del sistema di supervisione, oppure solo con una vaga consapevolezza, senza far distogliere la nostra attenzione dal libro che stiamo leggendo; ma non per questo si deve considerare una scelta anti-razionale).

Come mai siamo fatti così?

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Si possono addurre almeno due tipi di spiegazione: una filogenetica (evolutiva) ed una funzionale. Per comprendere entrambe, e qualunque altro discorso che riguardi strutture biologiche, va sempre prioritariamente tenuto presente che gli organismi viventi non sono frutto di un progetto finalizzato, come si cerca siano invece le macchine, ma il risultato di innumerevoli tentativi casuali, ciascuno dei quali deve essere stato utile, o perlomeno non particolarmente nocivo, per l'individuo in cui si è prodotto: ciò che quella variante avrebbe poi potuto comportare per le generazioni successive era del tutto irrilevante e ininfluente. Nel caso del cervello, organo estremamente complesso e quindi non facilmente modificabile senza conseguenze peggiorative, questo spiega come le nuove strutture si siano tipicamente affiancate alle vecchie, cominciando con l'intervenire molto blandamente sull'azione di queste. A conferma di questa circostanza, gli studi di anatomia comparata sui cervelli di vari livelli evolutivi, a partire dai moscerini della frutta e dalle lumache e passando per rettili ed uccelli fino ai primati (non disponendo di cervelli fossili, dobbiamo assumere che le specie più primitive siano rimaste abbastanza immutate dal momento della separazione con quelle più moderne), hanno evidenziato che la gran parte delle strutture cerebrali sono ovunque le medesime, con progessiva differenziazione solo nelle proporzioni. Non solo; anche le funzionalità sono in gran parte rimaste le stesse; tanto è vero che gli aspetti fondamentali delle conoscenze che oggi possediamo sul cervello umano derivano proprio da studi su cervelli animali. Per fare un paragone grossolano, è come confrontare il motore di una moderna formula uno con quello di una vettura degli anni trenta: le prestazioni sono nettamente diverse; qualche elemento strutturale, ad esempio l'elettronica, allora non c'era; ma i componenti di base (pistoni, bielle, accensione, carburazione) ed i principi di funzionamento sono i medesimi; d'altra parte, medesimo è lo scopo: far correre il veicolo. Lo stesso può dirsi per il cervello: esso è finora essenzialmente servito per sfuggire ai predatori ed acchiappare le prede, per cercare ambienti più confortevoli, per sedurre partner sessuali; tutto questo è stato adeguatamente conseguito, per centinaia di milioni di anni, con il solo cervello irrazionale: è comprensibile che esso sia ancora preponderante.

L'importanza della velocità

Ma, dicevamo, c'è anche una non meno valida spiegazione funzionale e risiede nella importanza vitale che assume, in qualunque sistema di controllo, la sua velocità di risposta. Il componente operativo biologico elementare, il neurone, è un dispositivo molto lento (poche decine di scariche al secondo), se confrontato con quelli dei nostri PC (centinaia di milioni di commutazioni al secondo): ma, fortunatamente, è il medesimo per tutti i viventi con cui abbiamo dovuto e dobbiamo confrontarci; non ci sono privilegi: vincono le specie che sanno utilizzarlo meglio. Come ben sa ogni progettista di computer, data la velocità del componente elementare disponibile, ci sono due grandi strategie per migliorare la velocità complessiva dei processi: la prima consiste nel ridurre il numero di passi necessari, anche a scapito della precisione; la seconda nel parallelare, cioè nel far eseguire contemporaneamente e separatamente parti del processo a diversi componenti. L'evoluzione ha da milioni di anni scoperto e premiato entrambe queste soluzioni: le reazioni di importanza vitale si concretizzano attraverso percorsi neuronali il più possibile brevi (in termini di numero di scambi sinaptici sequenzialmente coinvolti) evitando, anche nell'evoluto cervello umano, di interessare, almeno in prima battuta, non solo le aree corticali della coscienza, ma perfino quelle che operano una classificazione accurata del significato dello stimolo; la reazione motoria è inoltre già disponibile in sequenze pre-confezionate, che vengono lanciate senza perdere tempo ad architettarne di nuove (pensiamo ad esempio al moto di ritrazione, chiusura degli occhi e tensione del muscolo stapedio auricolare, conseguente ad un forte rumore improvviso).

Un chiaro modello di questa architettura si ha a proposito di uno dei comportamenti emozioniali fondamentali, la paura, che riguarda le risposta a una reale o presunta situazione di pericolo: si è scoperto che lo scatenamento della reazione è gestito da una struttura neuronale a vaga forma di mandorla (per questo chiamata "amigdala") presente, con la medesima funzione, anche nei cervelli di rettili ed uccelli. L'amigdala (vedi figura 1) riceve l'informazione direttamente dal talamo sensoriale, primo stadio di passaggio dello stimolo proveniente dagli organi di senso, prima che essa sia elaborata e meglio classificata dalla corteccia sensoriale; esistono quindi una via bassa (più grossolana, ma sbrigativa) ed una alta (più selettiva, ma più lenta). Nel caso di animali dotati di sviluppato sistema di supervisione (figura 2), la corteccia sensoriale comunica anche con quest'ultimo, che realizza la fase cosciente e volontaria della reazione al pericolo; anch'esso è in grado di comunicare bidirezionalmente con l'amigdala, ma non in modo equipotente: l'antico percorso inconscio ha infatti ancora priorità rispetto a quello conscio e questo spiega perché certe reazioni sono anche per noi irrefrenabili.

Da parte sua, la strategia del parallelismo è poi ampiamente utilizzata, grazie a moduli in grado di operare autonomamente e indipendentemente: troppe cose deve fare un cervello per permettersi di farle una alla volta.

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Figura 1. Reazione emotiva in cervello senza supervisione.


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La razionalità dell'irrazionale

Ora, su un organo di questo tipo, collaudato e perfezionato attraverso milioni di specie e milioni di miliardi di individui, si è infine sviluppata la funzionalità raziocinante, quella che ci permette di eseguire valutazioni più complete, proiezioni di scenari virtuali, recupero organico delle precedenti esperienze: tutto questo però in tempi relativamente lunghi. Pertanto, ad essere ancora inconscie non sono solo le reazioni a stimoli di importanza rilevante per la sopravvivenza, come quelle deputate agli antichissimi meccanismi del cervello emozionale, ma anche attività che potrebbero sembrare evolute come dare significato ad un pattern di stimoli sensoriali o ad una frase di linguaggio, che lo assume spesso solo quando è conclusa, o perfino rispondere ad una domanda non coinvolgente.

E fin qui, considerata la storia evolutiva del cervello e la conseguente sua attuale architettura, tutta questa casistica di processi non soggetti a pensiero razionale, ci può anche stare. Il bello - o il brutto, a seconda dei punti di vista - è che una incontestabile mole di studi porta a dimostrare la normalità di comportamenti irrazionali anche in processi che invece sicuramente coinvolgono - eccome - il sistema di supervisione. Ne risulta che il cervello umano decide ancora, eminentemente, sulla base di schemi precostituiti, che sono per lo più irrazionali. Di più: con una spesso citata ricerca, Philip Johnson-Laird ha dimostrato che la maggior parte delle persone non è in grado di eseguire d'acchito compiti di logica formale e che, quand'anche sembra rispondere correttamente, lo fa seguendo dei modelli mentali tratti da esperienze reali o ipotetiche, quindi per via empirica. Quante scelte, anche con conseguenze importanti e di persone importanti, si rivelano facilmente essere del tutto irrazionali: chi di noi può dire di non esserci mai cascato?

Il povero cervello razionale deve poi fare continuamente i conti con le inaffidabilità dei suoi stretti collaboratori: una corteccia sensoriale facile ad essere ingannata da illusioni di vario tipo (ne sono pieni i libri di psicologia e di illusionismo), la tendenza a riportare ogni esperienza a quello che già si sa, i meccanismi di individuazione dei rapporti causa-effetto propensi a scorgerne per eccesso (ne abbiamo parlato nel n. 49 di S&P, a proposito dell'origine delle superstizioni): d'altra parte, era preferibile sovrastimare gli indizi della eventuale presenza di un predatore -un sospetto stormir di foglie, uno strano rumore nella notte, un debole odore - piuttosto che trovarsi nelle sue fauci per averli sottostimati. Non bastasse, il cervello razionale deve tener conto anche dei vari possibili errori del suo personale data-base, e cioè delle varie forme di memoria a cui esso può accedere: un recente studio (Schacter, 2001) ne ha classificato ben sette tipologie: per caducità, per disattenzione, per blocco, per errata attribuzione, per suggestionabilità, per parzialità e per eccesso di persistenza!

In conclusione, la risposta al quesito iniziale sembra essere: il cervello umano è solo in parte ed in qualche occasione in grado di comportarsi da macchina razionale.

Ha ragione la new age?

Ma allora hanno ragione quelli della new-age? Secondo me, no: abbiamo ragione noi. Anche se il nostro cervello non è forse il migliore degli elaboratori ipotizzabili a questo scopo (ma questo abbiamo, e riteniamoci fortunati), la razionalità e il metodo scientifico si sono dimostrati fino ad oggi gli strumenti più efficaci per conoscere il mondo e rapportarsi con esso, almeno quando ... c'è il tempo per farlo razionalmente. In particolare, quando lo scopo è di fare delle previsioni, e quindi delle scelte, il più possibile verificate poi dagli eventi; come ad esempio stabilire quali siano i veri rapporti causa-effetto esistenti in natura e quali quelli illusori o pretestuosi (vedi astrologia, superstizioni, false medicine, millantati poteri, etc.). D'altra parte, della efficacia di questa strategia sono tangibile prova i vari prodotti della tecnologia, di cui tutti, anche chi disprezza la razionalità, fanno quotidiano uso: quando sono progettati e costruiti seguendo le regole, essi funzionano.

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Certamente, non è quella della razionalità la strada più comoda: il perseguirla richiede applicazione, umiltà, studio, impegno. E' più facile, ad esempio, blaterare in TV sugli OGM, dicendo cose che fanno leva sulle ansie della gente, piuttosto che farsi una cultura sull'argomento. Dunque, comportarsi razionalmente costa fatica: ma non farlo sarebbe colpevole, in quanto equivarrebbe a rinunciare allo straordinario, forse unico nell'universo, dono che ci ha confezionato l'evoluzione. E' questo il nostro tesoro, i cinque talenti della parabola evangelica: non dobbiamo limitarci a sotterrarlo!

Se posso azzardare una previsione, o piuttosto un auspicio, direi che l'esercizio e l'educazione, fino dalla prima età e dalla scuola, potranno progressivamente favorire l'abitudine al ricorso al pensiero razionale e perfino migliorare la efficienza delle strutture cerebrali ad esso deputate: non dimentichiamo infatti che la stessa interconnettività sinaptica del cervello dipendono dall'apprendimento non meno che dal patrimonio genetico: quindi i tempi della evoluzione culturale di questo organo possono essere enormemente più brevi di quelli per mutazione genetica.

Come sarebbe un mondo dominato dalla razionalità? Qualcuno certamente risponderà che sarebbe noioso e scontato, come se la fantasia e la creatività ne fossero bandite (chi lo ha detto?). Altri lo immagineranno invece in positivo, come la platonica città ideale governata dai filosofi (quelli nell'originale senso etimolgico della parola, cioè i sapienti): la mitica e vagheggiata età dell'oro, senza guerre, fame e prevaricazioni. Per il momento, tuttavia, il problema non si pone: basta sfogliare un quotidiano o questa stessa rivista, per rendersi conto di quanto ne siamo ancora lontani! n


Bibliografia

  • Brodal, A., Neuroanatomia Clinica, Ermes, Roma, 1988.
  • Damasio, A., Emozione e coscienza, Adelphi,Milano, 1999.
  • Dennet, D.C., Coscienza, Rizzoli, Milano, 1993.
  • Gardner,H., La nuova scienza della mente, Feltrinelli, Milano, 1989.
  • Jakendoff ,R., Coscienza e mente computazionale, Il Mulino, Bologna,1990.
  • Johnson-Laird, P.N., La mente e il computer: introduzione alla mente cognitiva, Il Mulino, Bologna, 1990.
  • LeDoux ,J.E., Il cervello emotivo, Baldini & Castoldi, Milano, 1999.
  • Mainardi, D., L'animale irrazionale, Mondadori, Milano, 2001
  • Pinker, S., L'istinto del linguaggio: come la mente crea il linguaggio, Mondadori, Milano, 1997.
  • Schacter,D.L., I sette peccati della memoria, Mondadori, Milano, 2001
Galeazzo Sciarretta Ingegnere elettronico, si occupa da 40 anni di progettazione di strumentazione per lo studio del sistema nervoso ed è Presidente di una tra le più importanti società del settore; è inoltre curatore scientifico della manifestazione Mosaicoscienze.

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