Sensitivi come Bruce Lee?

Il paranormale nelle arti marziali: quando "straordinario" non significa "soprannaturale"

  • In Articoli
  • 26-07-2005
  • di Fabrizio Marchesano
Nonostante il termine "marziale" derivi etimologicamente da Marte, il dio della guerra, dovendo pertanto riferirsi a rigore a qualsiasi metodo di lotta indipendentemente dall'origine geografica, il potere evocativo delle tecniche di combattimento di derivazione asiatica è tale che nel linguaggio comune l'espressione "arte marziale" identifica esclusivamente gli stili orientali, consuetudine alla quale ci atterremo nel corso del presente articolo.
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L'istruttore Stefano Lo Muzio (in volo) esegue con l'autore dell'articolo una tecnica di calcio laterale volante (esempio di elevazione da terra).

Nell'immaginario collettivo le arti marziali sono spesso associate alla manifestazione di capacità soprannaturali: l'esempio più noto di questo binomio sono senza alcun dubbio i guerrieri Ninja giapponesi, le cui presunte capacità di effettuare salti sovrumani, teletrasportarsi, evocare evanescenti immagini di se stessi, sono note al grande pubblico grazie alla moltitudine di film (di altalenante qualità) a loro dedicati.

Eppure i guerrieri Ninja sono realmente esistiti e anzi il Ninjutsu è ancora oggi uno stile di lotta realmente praticato (e insegnato anche nel nostro paese).

Dove si colloca dunque il labile confine tra realtà e fantasia ("nelle persone", ha risposto il mio istruttore quando gli ho rivolto questa domanda)?

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L'istruttore Stefano Lo Muzio esegue una tecnica di bastone lungo con colpo discendente saltato.

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L'istruttore esegue un calcio laterale al viso dell'allievo Fabrizio Marchesano (esempio del controllo della tecnica).

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Posizione "Shu Pu" con bastone lungo.


È davvero possibile, ad esempio, afferrare con le mani nude una freccia in volo scoccata con un arco da battaglia, come mostrano in alcune loro esibizioni i monaci Shaolin?

Si può davvero fermare un toro imbizzarrito trasmettendo la propria forza con il semplice sguardo?

In queste pagine cercheremo di andare più a fondo di queste e altre questioni riguardanti l'affascinante universo delle arti marziali, anche se la vastità della materia è tale che ci limiteremo a studiarne gli aspetti o le leggende le cui fonti sono più facilmente reperibili anche dai non praticanti.

Prima di procedere vorrei però assicurare i lettori che l'argomento verrà trattato con grande cura per la documentazione e il massimo rispetto, ampiamente dovuto e meritato (la migliore garanzia sia il fatto che l'autore pratica il Kung-fu da più di 10 anni e da ancor più tempo è appassionato di arte e cultura orientale).

Una maggiore sensibilità

Uno dei più noti tormentoni dei film di azione è probabilmente quello dell'eroe che reagisce improvvisamente ed efficacemente ad un attacco portato alle spalle, oppure nella più completa oscurità (dell'ambiente o dovuta a cecità del protagonista) o altre varianti ancora: situazioni comunque estreme, accomunate dall'impossibilità di percepire attraverso il normale utilizzo dei cinque sensi un qualsivoglia indizio dell'imminente pericolo, riuscendo però in qualche modo ad anticiparlo e contrastarlo.

Se nel caso della finzione cinematografica è evidente la tendenza alla spettacolarizzazione, è altresì vero che esistono numerose testimonianze relative a simili capacità riferite a personaggi reali.

Ad esempio, il Maestro Moriehi Ueshiba (1883-1969), fondatore dell'Aikido, esortava spesso i suoi allievi ad attaccarlo con qualsiasi tecnica senza preavviso (nessuno riuscì mai a colpirlo) e durante un viaggio in treno avrebbe dato il suo ventaglio di ferro ad un certo Gozo Shioda dicendo: "Se riesce a battermi con questo mentre faccio un sonnellino, le do un diploma di insegnamento a pieno titolo".

Quando sembrò che Ueshiba si fosse addormentato, l'allora scettico Shioda si preparò mentalmente a colpire, ma ancor prima che potesse effettuare un solo movimento il Maestro spalancò gli occhi ammonendolo: "Shioda! Gli dèi mi hanno detto che lei voleva colpirmi sulla testa. Non stava pensando di fare una cosa del genere, vero?"

L'episodio si ripetè varie volte durante l'intero viaggio.

Il Maestro Gichin Funakoshi (1868-1957), padre del Karate moderno, lasciò una preziosissima eredità spirituale ben riassunta nei suoi venti princìpi dell'arte, tra i quali ve n'è uno che recita: "L'intuizione è importante quanto la tecnica" (in altre versioni la traduzione italiana diventa: "Prima che tecniche fisiche, tecniche mentali").
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Calcio interno-esterno al volto (velocità e precisione).

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Liberazione da presa posteriore ai polsi.

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Immobilizzazione dell'avversario dalla presa posteriore ai polsi.


Ma è davvero possibile sviluppare in maniera così intensa la percezione di quanto ci circonda?

Una buona conoscenza delle arti marziali, sia a livello fisico che mentale, è uno stato che si raggiunge solo dopo anni di costante applicazione nell'allenamento: se sussistono entrambe le condizioni di tempo e di impegno la naturale conseguenza sarà una maggiore sensibilità nei confronti della realtà percettibile.

In caso di combattimento, ad esempio, un praticante di grande esperienza può arrivare a comprendere le intenzioni dell'avversario prima ancora che questo renda evidente la tecnica di attacco e agire quindi di anticipo; questo è possibile solo grazie ad una profonda conoscenza delle tecniche, che permette, osservando il proprio antagonista, di registrare eventuali segnali di preparazione nella postura o nei movimenti e perfino nello sguardo, indicatori quasi impercettibili, o comunque non comprensibili, ad un occhio inesperto.

Se a qualche lettore di vecchia data di S&P è affiorata alla mente la definizione di cold reading (la "lettura" dei gesti e degli atteggiamenti, spesso così sorprendentemente rivelatori della nostra personalità) non è affatto un caso: si tratta sostanzialmente dello stesso tipo di procedimento, con un'importante differenza.

Nel caso della cold reading assistiamo solitamente ad un processo conscio, mentre nel campo delle arti marziali ci spostiamo ad un livello meno razionale e più istintivo: non si ha infatti il tempo di attendere una conferma della propria intuizione, in special modo durante un combattimento, e il nostro corpo reagisce prima ancora che sia possibile rendersene conto (istinto progredito codificato in tecnica).

L'espressione "percepire l'energia dell'avversario" assume allora in quest'ottica un significato ben preciso: per un non praticante potrà sembrare esagerata o fuorviante (può evocare alla mente immagini di guerrieri circondati da mistiche auree) ma è in realtà assai pertinente, se intesa nel modo corretto.

A questo dobbiamo poi necessariamente aggiungere le naturali conseguenze fisiche dell'allenamento: miglioramento dei riflessi, maggiore coordinazione nei movimenti unita a velocità e potenza di esecuzione.

Soprannaturale?

No, affatto, ma il raggiungimento di una simile simbiosi tra mente e corpo richiede un lunghissimo cammino di perseveranza e sacrificio, che non tutti sono in grado di perseguire ("Il Karate", afferma Funakoshi, "è una ricerca lunga quanto una vita"; egli stesso, ormai ottantenne, si riferiva a tecniche praticate da oltre sessant'anni dicendo: "Finalmente ho capito come vanno eseguite").

Nascita di una leggenda

Tuttavia, molte gesta di grandi Maestri vengono raccontate con dettagli così incredibili che sarebbe superficiale ricondurre tutto ad un affinamento, pure se estremo, dell'istinto.

La figura del già citato Morihei Ueshiba, ad esempio, nonostante sia un protagonista relativamente recente dei nostri tempi, ha assunto proporzioni addirittura leggendarie.

Non era solo impossibile riuscire a portare con successo un attacco a sorpresa nei suoi confronti, ma si dice ad esempio che gli oggetti tintinnassero quando entrava in una stanza; dei numerosissimi aneddoti che lo riguardano, il più stupefacente è però senza dubbio il cosiddetto "miracolo del poligono di tiro".

Un giorno alcuni militari, tiratori scelti, sfidarono Ueshiba a dar prova di una sua avventata dichiarazione ("I proiettili non mi possono colpire", aveva detto durante una dimostrazione); il Maestro accettò di buon grado e firmò un documento in cui liberava da ogni responsabilità i soldati nel caso in cui fosse stato colpito e ucciso.

Alla data stabilita per l'incontro, Ueshiba si presentò al poligono di tiro senza mostrare alcuna preoccupazione; si pose a 25 metri di distanza da sei tiratori e quando questi puntarono e fecero fuoco accadde qualcosa di inspiegabile: alcuni di essi caddero a terra e Ueshiba apparve, illeso e divertito, dietro di loro.

Gli increduli soldati chiesero al Maestro di poter provare nuovamente e così fu; questa volta i testimoni non direttamente coinvolti incollarono gli occhi sulla figura di Ueshiba, ma il miracolo si ripetè senza che nessuno riuscisse a vedere assolutamente nulla.

Come interpretare simili testimonianze?

Analogamente ai meccanismi che regolano il diffondersi delle cosiddette "leggende urbane", racconti come quello appena citato nascono dalla fusione di realtà, falsi ricordi e fantasia e non è sempre facile riuscire a separare i due elementi.

In alcuni casi siamo però a conoscenza del reale svolgimento dei fatti e dei successivi resoconti e mettere le due versioni a confronto può risultare illuminante, come nella seguente ulteriore impresa del Maestro Ueshiba.

Un judoka di nome Nishimura, un ventenne grosso e forte, capitano del Judo Club universitario, volle sperimentare di persona le tanto decantate capacità di Ueshiba, che all'epoca aveva 42 anni.

Andando incontro al Maestro con l'intento di attaccarlo, Nishimura si trovò improvvisamente e inesplicabilmente a terra; rialzatosi, tentò una nuova offensiva, ma il risultato fu lo stesso e così per più e più volte (per chi si sta chiedendo se è davvero possibile che un quarantenne possa battere con tale facilità un giovane praticante nel pieno delle sue energie la risposta è: sì, se il quarantenne in questione ha passato gli ultimi vent'anni della sua vita a studiare e perfezionare ogni giorno una tecnica come l'Aikido; l'evento è certamente straordinario ed eccezionale, ma non soprannaturale).

Alla fine il giovane, guardando il volto sereno del suo avversario, commentò: "Che gran cosa! Un'arte marziale che ti atterra con un sorriso".

Queste parole, espresse con rispetto per il sapere di Ueshiba e per il suo insegnamento, furono male interpretate dai testimoni di questo fatto, soprattutto i non praticanti, che lo riportarono, anche in buona fede, aggiungendo via via particolari sempre più straordinari, tanto che nei racconti successivi di persone non presenti all'evento (ma che giuravano fosse realmente accaduto come lo descrivevano) un Maestro ultraottantenne scaraventava a oltre dieci metri di distanza e senza nemmeno toccarlo un esperto campione di arti marziali (va detto comunque che a ottant'anni compiuti Ueshiba era ancora perfettamente in grado di dare dimostrazioni di altissimo livello tecnico e di inestimabile valore).

Ritroviamo lo stesso meccanismo alla base di un'altra famosa leggenda, che narra di come il Maestro Sokon Matsumura mise in fuga un toro imbizzarrito con il semplice sguardo, emettendo bagliori di pura energia dagli occhi.

Fu lo stesso Matsumura a chiarire l'episodio alcuni anni dopo il fatto: è vero che il toro, entrando nel recinto dove il Maestro lo attendeva armato di un semplice bastone corto, tornò sui suoi passi spaventato, ma il motivo fu che per una settimana Matsumura, sempre vestito allo stesso modo, si introduceva durante la notte nella stalla dove l'animale era incatenato, percuotendolo ogni volta con il medesimo legno.

Dopo pochi giorni il toro, impossibilitato a reagire in quelle condizioni, iniziò a temere quell'uomo, e quando lo vide nel recinto, con gli stessi abiti e lo stesso bastone, l'esperienza e l'istinto lo fecero tornare sui suoi passi (e non vi fu alcuna emanazione di misteriose energie).

Tecniche mortali

Oltre a cronache di episodi specifici come quelli citati, esistono nel campo delle arti marziali molti altri racconti riguardanti più in generale capacità sovrumane che lo studio di metodi segreti di allenamento permetterebbe di acquisire.

Tra queste, la più nota e terribile è probabilmente il Dim Mak (Kyusho in giapponese) o tocco della morte, leggendaria tecnica che l'immaginario occidentale associa quasi unicamente ai Ninja, che consentirebbe, colpendo determinati punti del corpo umano, di causare la morte dell'avversario a giorni di distanza e senza lasciare tracce.

Si tratta semplicemente di racconti fantastici o anche in questo caso esiste un fondo di verità?

È senz'altro vero che il corpo umano presenta molti punti vulnerabili che, se colpiti con forza, possono provocare danni permanenti o addirittura il decesso quasi istantaneo.

Alcune di queste zone risultano inoltre ben poco intuitive per chi non possiede conoscenze di anatomia: se ad esempio nessuno dubita che un colpo alla gola può risultare fatale, non è così immediato immaginare la stessa cosa di un impatto all'incavo substernale (la parte terminale dello sterno, l'osso xifoide, può spezzarsi e lacerare il cuore; in quest'ultimo caso, tuttavia, la precisione nel puntamento e nella direzione del colpo e la potenza necessaria sono tali che risulta praticamente impossibile ottenere un simile effetto volontariamente e a mani nude, specialmente nelle concitate fasi di un combattimento).

Il corpo umano, infine, è sì una macchina meravigliosa, ma anche estremamente complessa e governata da delicati equilibri: gli effetti di colpi subìti in combattimento (stiamo parlando di combattimenti reali, non certo sportivi, nei quali la sicurezza, oltre che dalle regole, è garantita dal rispetto reciproco degli atleti, dal controllo delle tecniche, dalle protezioni, dalla presenza di uno staff medico e dagli arbitri) possono avere conseguenze imprevedibili sugli organi interni, innescando una serie di eventi concatenati che in assenza di appropriati interventi terapeutici possono davvero causare indirettamente la morte a giorni di distanza, anche dopo la scomparsa di eventuali segni visibili.

Si tratta certo di eventi piuttosto rari e del tutto casuali, non previsti né programmati dall'aggressore, ma se trasportiamo queste considerazioni in tempi in cui la violenza era all'ordine del giorno e non esistevano le attuali conoscenze mediche (tanto meno le radiografie) non riesce difficile immaginare l'origine di simili leggende, legate a verità in seguito enfatizzate ed ingigantite.

Non porterò in questa sede esempi di casi clinici reali perché sarebbe poco rispettoso nei confronti di chi ha dovuto affrontare certe tragedie: sono informazioni che è comunque possibile reperire in ambiti specializzati o, in casi eclatanti, giornalistici.

Un'ultima considerazione: dopo quanto avete letto, il mio consiglio è di non sottovalutare mai le possibili conseguenze anche di una banale caduta o una testata sull'anta di qualche pensile.

Una lunga e si spera inutile attesa al pronto soccorso è senz'altro meglio che un ricovero d'urgenza in qualche reparto specialistico.

Sfidare le leggi fisiche

Se l'approfondimento di episodi analoghi a quelli citati si basa necessariamente su testimonianze di seconda mano, o nel migliore dei casi di video o foto, è comunque possibile al giorno d'oggi assistere in prima persona a dimostrazioni che non hanno nulla da invidiare alle più incredibili e antiche leggende.

Ad esempio, sono ben note al grande pubblico le spettacolari esibizioni dei monaci Shaolin: farsi colpire un braccio teso con un bastone producendo come unico risultato la rottura del legno, gravare con tutto il proprio peso sulla punta di una lancia puntata alla gola o afferrare una freccia in volo con le mani, sono solo alcune delle abilità che la squadra dimostrativa del "Tempio della Giovane Foresta" (questo il significato del nome originale) è in grado di presentare.

Ci chiediamo: è davvero possibile realizzare simili imprese?

L'ovvia considerazione "se qualcuno ci riesce, è senz'altro fattibile" ci impone di modificare la domanda: è possibile ottenere certi risultati con il solo allenamento, senza utilizzare nessun tipo di accorgimento?

Per quanto possa sembrare sorprendente, la risposta è sì.

Vi sono però alcune considerazioni a contorno: innanzitutto, come già specificato nella parte iniziale di questo articolo, il raggiungimento di certi livelli è vincolato a lunghissimi anni di intenso addestramento fisico e spirituale, da cui consegue un naturale aumento delle capacità materiali (riflessi, velocità, potenza, controllo) e psicologiche (capacità di concentrazione, maggiore tolleranza alla soglia del dolore).

La giovane età dei monaci Shaolin, che si esibiscono in tutto il mondo, è ingannevole: bisogna pensare che l'ingresso nel tempio avviene nei primi anni di vita e difatti almeno un membro della squadra dimostrativa non è ancora decenne (anche se naturalmente non viene coinvolto in prove potenzialmente pericolose).

Inoltre, lo svolgimento del "numero" è sempre subordinato ad una lunga e fondamentale preparazione durante la quale le tecniche di controllo della respirazione, col conseguente raggiungimento di un altissimo livello di concentrazione, permettono di controllare in maniera quasi completa il proprio corpo, elevando quindi al massimo grado la perfezione nell'esecuzione della dimostrazione.

Non va infine trascurato l'importante ruolo, niente affatto secondario, di chi scocca la freccia o colpisce con il bastone: è necessario anche sapere come portare i colpi (mi preme sottolineare che non sto affatto insinuando una complicità tra i praticanti, ma semplicemente che ad una determinata preparazione deve corrispondere un certo esito: un atleta che si aspetti un colpo sul braccio non può ricevere una bastonata inferta malamente sulla testa da un avversario, o un eventuale spettatore, inesperto).

Ancora una volta, dobbiamo concludere che non vi è nulla di soprannaturale, anche se tutto quanto sopra elencato è senza dubbio formidabile.

Conclusioni

Sembra impossibile che un essere umano possa oltrepassare fino a questo punto i propri limiti, ma la vita comune di tutti i giorni ci pone di fronte a un pesante condizionamento: il lavoro, che assorbe la maggior parte delle nostre energie, il mantenimento delle relazioni sociali, le inevitabili occasioni di svago che ci ritagliamo, rendono difficile credere che anche noi potremmo, nelle stesse condizioni e con le stesse premesse, concretizzare simili capacità (anche se uno spunto di riflessione potrebbe darlo ad esempio la constatazione che in caso di pericolo, a volte, persone molto spaventate riescono a fare ciò che normalmente non penserebbero mai di essere in grado).

È dunque senz'altro comprensibile il motivo che spinge alcune persone a ricercare nel soprannaturale l'origine di abilità come quelle descritte.

Rimane tuttavia un'amarezza di fondo nel constatare, ad esempio, che Maestri come Ueshiba vengono ricordati per i loro presunti poteri sovrumani, piuttosto che per ciò che davvero hanno realizzato (spesso è una posizione di comodo, anche inconscia, per non faticare).

Non è forse ben più meritevole aver sviluppato e perfezionato nell'arco di una vita un'arte marziale sofisticata come l'Aikido?

Perché non ricordare che Funakoshi, attaccato da un balordo che arrivò perfino ad orinargli addosso per invogliarlo alla rissa, si limitò ad utilizzare le tecniche del Karate perfezionate in quarant'anni per evitare i colpi fino a che l'aggressore non si accasciò a terra sfinito dal suo stesso spreco di energie?

Per quale motivo limitarsi ad ammirare le acrobazie dei monaci Shaolin anziché la loro costanza e profonda fede che permettono di affrontare i durissimi allenamenti quotidiani?

Il ben noto Bruce Lee, che, al di là della fama dovuta ai suoi film, era davvero un atleta eccezionale, soleva dire: "Durante le dimostrazioni pubbliche, eseguo spesso tecniche di rottura di tavole, il che è fondamentalmente assurdo: nessuno dovrà mai difendersi dall'attacco di una tavoletta di legno. Ma questo è ciò che il pubblico, desideroso di spettacolo, vuole vedere e io devo sottostare a questa regola".

Queste parole dovrebbero far riflettere.

Infine, permettetemi di ricordare che praticare arti marziali con il solo obiettivo di conseguire un risultato sportivo agonistico è fortemente riduttivo: una parte importante del loro insegnamento e apprendimento è riservata alla componente spirituale e filosofica tipica delle civiltà orientali.

Nelle arti marziali c'è molto di più, ed è bello scoprirlo ogni sera assieme ai propri condiscepoli nel luogo di allenamento. n


Fabrizio Marchesano Ingegnere, allievo di livello "aspirante cintura nera" presso la Scuola Kung-fu Wu Tao di Savona
' L'autore ringrazia sentitamente: per la disponibilità dei locali - Scuola Wu Tao Italia, sede di Savona (presso Palestra Shindokai, Via Garroni 11a - 17100 Savona)

per l'esecuzione delle tecniche e per tutto ciò che gli è stato insegnato nel corso degli anni - Istruttore Stefano Lo Muzio

per le foto

- Carlo Marchesano - Serena Truffelli

Bibliografia '

  • Ueshiba, M. 1994. BUDO - Gli insegnamenti del fondatore dell'Aikido, Roma: Edizioni Mediterranee.
  • Ueshiba, M. 1995. L'essenza dell'Aikido, Roma: Edizioni Mediterranee.
  • Nobuyoshi, T. 1993. Etichetta e disciplina, Roma: Edizioni Mediterranee.
  • Stevens, J. 1997. I Maestri del Budo, Roma: Edizioni Mediterranee
  • Tokitsu, K. 1995. Storia del Karate, Milano: Luni Editrice.
  • Tokitsu, K. 1993. L'arte del combattere, Milano: Luni Editrice.
  • Lind, W. 1996. BUDO - La Via Spirituale delle Arti Marziali, Roma: Edizioni Mediterranee.
  • Long, H. 1992. Il tocco del drago - punti vulnerabili del corpo umano, Roma: Edizioni Mediterranee.
  • Ratti, O. & Westbrook, A. 1993. I segreti dei Samurai, Milano: Arnoldo Mondadori Editore.
  • Reid, H. & Croucher, M. 1996. La Via delle Arti Marziali'', Como: Red Edizioni.
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