Tu sei pecora o capro?

Come mai certe persone sono più credulone di altre?

  • In Articoli
  • 16-02-2006
  • di Galeazzo Sciarretta
È certamente noto ai lettori di questa rivista che il famoso milione di dollari, messo in palio da James Randi per il primo che riuscirà a dimostrare l'esistenza di almeno un "fenomeno paranormale", riposa indisturbato nella cassaforte del simpatico illusionista americano. Anche l'analoga iniziativa lanciata da Basava Premanand, editore dell' Indian Skeptic Magazine, sia pure con il più modesto guiderdone di 100.000 rupie, circa 1.500 euro, ha finora sortito il medesimo esito. Ahimè!: se l'esoterismo non si manifesta neppure... in India, dove mai si potrà cercarlo?

Ma allora, se nel mondo intero non è ancora stato riscontrato un solo evento ragionevolmente come "paranormale", che cosa mai potranno studiare gli esperti in tale materia che il CICAP annovera, agguerriti e numerosi, tra le proprie fila? Essi rischiano la medesima sorte degli esobiologi, o bio-astronomi o astrobiologi, cioè di coloro che si definiscono "esperti" di vita extraterrestre: nonostante la loro disciplina esibisca ben tre diversi appellativi, non ha finora mai trovato la minima traccia del proprio oggetto di studio. I nostri, però, sono più accorti e sanno come aggirare l'ostacolo: se non possono, per mancanza di... materia prima, studiare i fenomeni paranormali, hanno rivolto la loro attenzione alle persone che ugualmente in essi credono e queste non fanno certo difetto. Hanno così modo di esplorare l'affascinante mondo della umana psiche, in particolare quell'aspetto comportamentale che genericamente indichiamo come "credulità".

Al contrario dello "scettico", motivato ad approfondire e verificare ciò che sente o vede, il "credulone" tende ad accettare acriticamente la prima interpretazione che gli salta in mente o che gli è stata da altri suggerita. Poiché fortunatamente il mondo è vario, entrambe le categorie vi sono ben rappresentate, come pure le sfumature intermedie. Si riscontra pertanto in ciascun individuo, in misura diversa, una certa tendenza caratteriale, diciamo una predisposizione, alla "credulità", che illusionisti, prestigiatori e truffatori sono abili ad intuire e sfruttare a loro favore. Come per qualunque altra scelta decisionale, le circostanze in cui ci si trova giocano un ruolo molto importante: non credo quindi di sbagliare se affermo che anche il più cauto e sospettoso tra gli uomini in qualche occasione della vita si è comportato da "credulone", salvo poi magari pentirsene subito.

Neurofisiologia della credulità
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Da che cosa è determinato questo tipo di atteggiamento? Le scienze naturali insegnano che, nel regno animale, ogni manifestazione comportale è determinata dal suo cervello o, più precisamente, dall'intero suo sistema nervoso, e quindi dall'intero percorso di formazione, sia anatomica che culturale, di tale struttura biologica. Il fenomeno dovrebbe pertanto essere indagabile, almeno in linea di principio, anche per via neurofisiologica, pur sapendo che con questo approccio si debbono sempre fare i conti con l'enorme complessità e plasticità dell'organo responsabile. Un tipico cervello di attuale homo sapiens sapiens dispone di un numero astronomico di neuroni (dell'ordine di 1011), ciascuno dotato di varie migliaia, anche decine di migliaia, di connessioni con altre unità. Quanti possibili diversi stati può assumere questa mostruosa macchina? Mike Holderness, con una stima da lui stesso definita "prudenziale", ha calcolato ben 1070.000.000.000.000 possibilità: una cifra con 70.000 miliardi di zeri! Qui l'aggettivo "astronomico" è del tutto insufficiente, poiché anche i grandi numeri dell'universo visibile, ad esempio quello dei protoni che lo compongono, stimato da Eddington in 1080, oppure quello dei microsecondi trascorsi dal "big-bang" (circa 4x1023), impallidiscono e scompaiono al suo confronto! Ragionevolmente, non saranno coinvolti proprio tutti in ogni scelta decisionale, ma una porzione sufficiente ad impedire un'indagine strettamente analitica, certamente sì. Ma noi non ci lasciamo scoraggiare dalle difficoltà (non disponiamo a nostra volta, io e voi, di uno di questi mirabili strumenti?) e proveremo ugualmente a cercare le basi neurofisiologiche della "credulità".

Come per altri aspetti caratteriali, gli psicologi hanno sviluppato degli appositi test attitudinali in base ai risultati dei quali quantificano il "livello di credulità" del soggetto in esame. Queste valutazioni non hanno certo un valore assoluto - molti le considerano poco più che passatempi estivi del tipo "Conosci il tuo carattere?" - ma da qualche parte bisogna pur partire, se vogliamo mettere in luce correlazioni non altrimenti evidenti. Peter Brugger, dell'University Hospital di Zurigo, sostiene ad esempio che esiste un'ottima sovrapponibilità tra le indicazioni di questi test e quelle di una semplice prova, da lui stesso ideata. Si tratta di presentare al soggetto esaminato delle distribuzioni casuali di trattini, solo in alcune delle quali è celata la schematizzazione di un volto umano. È interessante notare che "scettici" e "creduloni" individuano entrambi con facilità i volti nascosti; ma, mentre gli scettici riconoscono solo quelli, i creduloni dichiarano di scorgerne anche altri, in misura tanto maggiore quanto più alto è il loro grado di credulità risultante dai test psicologici. Il ricercatore elvetico ha così proposto di adottare il suo metodo come semplice ed universale "credulometro"!

Egli è andato anche oltre, suggerendo un sistema ancora più rapido per riconoscere i creduloni: invitati a camminare in linea retta ad occhi chiusi, essi tenderebbero a deviare sulla sinistra; come pure, chiamandoli per nome da dietro, propenderebbero a girarsi prevalentemente a sinistra. Non mi risulta che queste affermazioni siano state comprovate da altri lavori e quindi le cito solo come curiosità: sottintendono comunque entrambe una dominanza dell'emiencefalo destro nei soggetti più propensi alla credulità. Funzioni o meno questo criterio, è peraltro ragionevole attribuire questa attitudine, che nel test di Brugger consiste nella maggior propensione a scorgere significati anche in dati casuali, all'attività dell'emisfero destro: numerosi altri studi confermano infatti che è questo l'emisfero "creativo e fantasioso", quello dei voli pindarici e delle immagini poetiche. Soggetti portatori di gravi danni anatomo-funzionali in questa sezione della corteccia non riescono più a comprendere i doppi sensi, non gradiscono le metafore, non colgono l'humour nei paradossi ed hanno perfino difficoltà a mentire e ad accorgersi quando l'interlocutore sta palesemente mentendo. L'emiencefalo destro sembra quindi responsabile delle associazioni più audaci e quindi anche del dar credito ad esse.

Una seconda constatazione sperimentale è che la somministrazione di L-dopa incrementa vistosamente l'"indice di credulità": in altre parole, anche i soggetti che prima non li vedevano, scoprono, sotto l'effetto del farmaco, "faccine nascoste" in un maggior numero di figure del test di Brugger. L'L-dopa è una molecola sviluppata per la terapia del morbo di Parkinson, la invalidante patologia conseguente alla carenza di uno dei principali neurotrasmettitori sinaptici, appunto la dopamina. Come altre malattie neuro-degenerative, il Parkinson generalmente si manifesta in età matura e comporta seri disturbi alla motilità (il classico tremore senile) e alla cognizione. Già una ventina di anni fa, al tempo della sperimentazione clinica di questo farmaco, che aveva inizialmente suscitato grandi speranze poi ridimensionate dalle solite contromisure messe in atto dell'organismo contro qualunque forzatura esterna, si era notato che dosaggi elevati provocavano allucinazioni ed iperattività dell'emisfero destro. Forse l'unico modo per far scucire il milione di dollari di Randi è quello di praticare agli esaminatori, a loro insaputa, un robusto trattamento a base di L-dopa.

Origine evoluzionistica

Un altro efficace approccio per comprendere il funzionamento del cervello è quello di risalire alle pressioni evolutive che lo hanno plasmato. Anche questo esercizio è rischioso, in quanto l'effetto di una qualunque modificazione genomica può interessare funzionalità molto diverse da quelle che l'hanno direttamente premiata. Come esempio emblematico di questa affermazione, si suole addurre l'ipotesi, sostenuta da autorevoli genetisti, che il cervello della specie homo abbia avuto quello spettacolare e del tutto singolare incremento dimensionale cui dobbiamo le nostre superiori facoltà intellettive (noi, almeno, le riteniamo tali), semplicemente perché i geni responsabili dello sviluppo cerebrale sono i medesimi che controllano le dimensioni dei reni: stai a vedere che siamo diventati intelligenti solo perché qualche nostro peloso antenato è stato avvantaggiato dal poter urinare più facilmente dei suoi simili.

Restando con i piedi per terra, due direttrici evolutive, entrambe favorenti la "credulità", sembrano tuttavia talmente evidenti da non poter essere ignorate, in quanto riguardano una la principale funzione di qualunque cervello abbastanza evoluto e l'altra la principale modalità di apprendimento dei cervelli complessi, qual è precipuamente quello umano. Una giustifica la "credulità immaginifica", cioè la tendenza a mettere in relazione eventi che non ne hanno, l'altra la "credulità ingenua", che consiste nel dar facile credito a quello che si è letto o udito.

La prima consegue alla gratificazione che il cervello riceve quando stabilisce correlazioni tra eventi diversi, ciò che noi chiamiamo il perché delle cose. Il meccanismo in grado di premiare questa attitudine si è selettivamente instaurato essendo essenziale per la sopravvivenza del portatore che il suo cervello segnali tempestivamente i reali concatenamenti degli accadimenti, sia riconducendoli nell'alveo della ripetitività delle esperienze (ciò che in seguito è stato inquadrato come insieme delle leggi naturali), sia riconoscendo una intenzionalità nelle mosse di un altro essere animato (previsione degli altrui comportamenti). Ecco perché è tipico dei cervelli, soprattutto di quelli umani, dare sempre e comunque una spiegazione, anche se molte di esse si riveleranno successivamente sbagliate.[1] È quindi proprio questa pulsione a trovare una giustificazione a tutto che favorisce l'accettazione di associazioni, ad esempio l'influenza degli astri sui nostri affari quotidiani, che una semplice analisi statistica potrebbe facilmente smentire. Ma questo ulteriore passo richiede un comportamento di tipo "scettico" e un più impegnativo esercizio mentale: così molti preferiscono credere, magari solo in prima battuta, a tante baggianate.

C'è poi un'altra forma ancestrale di "credulità", questa volta relativa a ciò che ci viene detto o insegnato, che attiene al prezioso strumento della trasmissione culturale. Sappiamo infatti che un radicale cambio di marcia nel processo evolutivo delle specie animali dotate di sistema nervoso si è prodotto quando alla trasmissione genetica, l'unica possibile per miliardi di anni, si è affiancata quella culturale, grazie alla quale vengono trasferiti nel patrimonio mnemonico delle nuove generazioni risultati distillati da esperienze delle precedenti. L'eredità genetica, pur assai affidabile, si propaga molto lentamente, facendolo una sola volta per ogni generazione e solo in linea ereditaria diretta, dai genitori al figlio; quella culturale, invece, può avvenire in molteplici occasioni e coinvolgere soggetti anche non imparentati: è quindi assai più flessibile ed "esplosiva". La potenza di questa nuova forma di trasmissione di informazioni è stata tale da imprimere alle specie in grado di avvalersene una straordinaria accelerazione prestazionale, grazie sia all'emulazione, mediante la quale i piccoli imparano moltissimo dagli adulti, sia all'educazione, in cui sono gli adulti a forzare il passaggio ai giovani delle proprie conoscenze. Se noi umani siamo ciò che siamo, lo dobbiamo ad un utilizzo di questa prassi di gran lunga maggiore di quello di ogni altra specie, favorito dalla particolare estensione del periodo delle cure parentali, dalla potenza comunicativa del linguaggio simbolico e, modernamente, anche dalla scrittura, dalla scolarizzazione e dai mezzi di comunicazione di massa. Perché la trasmissione culturale funzioni, è però necessario che il ricevente creda in ciò che gli viene insegnato. La natura ha quindi fatto in modo che il cucciolo sia estremante ricettivo e faccia propri gli insegnamenti senza indugi. Così deve essere, stante la mole di cose che deve in poco tempo apprendere e l'urgenza di avvalersene: sarebbe fatale voler personalmente verificare se è davvero pericoloso avvicinarsi al leone. Poi, con l'età, si sviluppa anche il senso critico, perché non tutto ciò che è stato insegnato è perfetto (o ancora valido) e perchè il progresso si realizza solo mettendo in discussione le certezze precedenti. È chiaro tuttavia che questa fisiologica "credulità infantile" lascia il segno per tutta la vita, soprattutto nei caratteri più inclini a rispettare l'autorità e la tradizione.

Se, come abbiamo appena visto, la nostra "macchina per pensare" ha buoni motivi evolutivi per comportarsi in modo "credulo", essa possiede tuttavia anche la capacità di dubitare, che è l'atteggiamento opposto o piuttosto quello che si dovrebbe mettere in atto quando si ha il tempo per farlo. Poiché l'uomo, almeno qualcuno e in almeno qualche occasione, indubbiamente lo manifesta, deve anch'esso risiedere, da qualche parte, nel medesimo cervello. Azzarderei, ma me ne assumo tutta la responsabilità, nella corteccia prefrontale laterale, dove sembra trovarsi il sistema di "supervisione e controllo" delle altre aree funzionali, responsabile anche della sensazione di autocoscienza: in questo esercizio critico, essa ricorrerà al patrimonio di conoscenze posseduto ed al rigore del ragionamento logico-matematico. L'attitudine a dubitare non nasce certo in epoca storica (forse ci fu anche qualche Neanderthal bastian contrario!), ma ha trovato la sua massima espressione con lo sviluppo del metodo scientifico, che ne è l'applicazione più sistematica. Suoi momenti imprescindibili sono infatti la verifica sperimentale di qualunque ipotesi ed il controllo di compatibilità delle risultanze con le conoscenze precedentemente acquiste: può talvolta accadere che quest'ultima non vi sia, e nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di errori di osservazione, eccezionalmente ... di una nuova scoperta! Anche se i suoi detrattori sostengono che non si tratta altro che di una ulteriore forma di fede, appunto la fede nella scienza, questo approccio ha messo a disposizione dell'umanità il più efficace strumento previsionale di ogni tempo. E poiché il principale scopo di qualunque cervello, anche dei più primitivi, è appunto di fare delle corrette previsioni in base a cui stabilizzare il futuro, lo scetticismo ed il metodo scientifico costituiscono, se parliamo in termini di risultato, il più riuscito portato del processo evolutivo!

Limite o virtù?

Giudicata da questo punto di vista, la "credulità" è un difetto. Ma non è sempre stato così e per molti non lo è tuttora. Se, come dice l'evangelista, "l'ultimo giorno il Signore separerà le genti come il pastore separa le pecore dai capri e porrà le pecore alla sua destra ed i capri a sinistra" (Matteo, 25-31), in tale circostanza andrà in paradiso solo chi avrà creduto! Tutte le religioni mettono infatti al primo posto tra le virtù la fede, che è, per definizione, accettazione acritica di verità rivelate. Questo primato dell'autorità ha improntato per millenni anche l'organizzazione gerarchica delle comunità, e ancora lo fa in popolose nazioni del mondo: la parola Islam, nel cui nome legiferano varie teocrazie, si può tradurre in italiano con "sottomissione", senza se e senza ma. In queste società, i "capri" non sono mai stati visti di buon occhio, quando non sono finiti male come miscredenti o sovversivi! Anche nel nostro mondo tecnologico, edificato proprio sulla "non-credulità", essi sono considerati, per bene che vada, dei saputelli rompiscatole, privi di poesia e creatività. Come se un Einstein, che ha sempre rispettato la regola scettica di sottoporre le proprie intuizioni al vaglio critico della rispondenza ai dati sperimentali e della coerenza formale, non fosse stato un creativo!

Galeazzo Sciarretta, Ingegnere elettronico, è curatore scientifico della manifestazione "Mosaicoscienze" e autore, insieme a Eduardo Boncinelli, del recente libro Verso l'Immortalità? (Raffaello Cortina)

Bibliografia

  • Barrow D. J. (2002), I numeri dell'universo, Milano: Mondadori
  • Boncinelli E. (2002), Io sono, tu sei , Milano: Mondadori
  • Dawkins R. (2003), Il cappellano del diavolo, Milano: Cortina
  • Dennet C. D. (2003), L'evoluzione della libertà, Milano: Cortina
  • LeDoux J. (2002),Il sé sinaptico, Milano: Cortina
  • Oliverio A. (1999), Biologia e filosofia della mente, Bari: Laterza
  • Ramachandran S.V. (2003), Che cosa sappiamo della mente, Milano: Mondadori
  • Skinner B.F. (1973), Scienza e comportamento, Milano: Franco Angeli.


Nota

1) Purchè, beninteso, l'errata interpretazione non comportasse gravi conseguenze, altrimenti la selezione naturale l'avrebbe punita; ad esempio, ritenere che i fulmini siano scagliati da Giove si è rivelato sbagliato, ma il conoscerne l'origine elettromagnetica non cambia la conclusione che è meglio cercare di non esserne colpiti: quindi, l'errore era ininfluente ed ha potuto perpetuarsi per millenni.

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