Il veggente e l’alieno

A causa di alcune situazioni un po’ raccapriccianti, la lettura di questo racconto è sconsigliata ai bambini, alle persone facilmente impressionabili e... ai veggenti

Sebbene fosse veggente, Guido Allocchi non aveva previsto che quella sera di fine agosto un’astronave aliena l’avrebbe rapito. Né che con lui avrebbe portato via uno dei suoi più devoti clienti, l’omeopata Felice Bevilacqua.
E come avrebbe mai potuto l’Allocchi, che si faceva chiamare Maestro Omega, prevedere una cosa del genere? Il Maestro Omega non credeva all’esistenza degli alieni, e tanto meno immaginava che potessero costruire un’astronave capace di raggiungere la Terra.
Un giorno aveva discusso proprio di questo con il suo amico Felice, davanti a una spremuta omeopatica in un salottino del “Ci-acca trenta”, un locale alla moda del centro di Torino. «Se anche gli alieni esistessero» rifletteva Bevilacqua mescolando lo zucchero di canna «perché mai dovrebbero percorrere distanze interstellari per arrivare sulla Terra e spaventare una coppia appartata oppure rapire qualcuno? Cosa ci guadagnerebbero secondo lei, Maestro?»
Bevilacqua era sensibile al tema del guadagno. Il fatturato della sua farmacia era raddoppiato da quando aveva dedicato ai rimedi omeopatici più di metà dello spazio disponibile.
«Non ci guadagnerebbero niente, è ovvio» rispondeva Guido. «È una cosa che non ha senso. Gli extraterrestri non esistono».
In qualità di Maestro Omega aveva imparato a credere a molte cose: prima di tutto, al fatto di avere capacità divinatorie di veggente. Credeva anche al potere magico dei cristalli e dei pendolini e credeva sia all’astrologia occidentale sia a quella cinese, anche se producevano oroscopi diversi. Ma agli alieni proprio non ci credeva: che utilità potevano avere? Dopo tutto aveva ereditato i suoi poteri dalla nonna, non certo da contatti con una civiltà aliena come certi suoi colleghi che disprezzava (per esempio l’odioso Maestro Alfa).
Quando ripensava alla nonna, gli tornava in mente la sua difficile infanzia. La vita del piccolo Guido era stata dura, specialmente per colpa della scuola. E da adolescente le cose erano peggiorate. Ancora per colpa della scuola. La nonna non c’era più e sua madre era una donna testarda e prepotente, che non l’aveva mai capito. Forse non l’aveva neppure mai amato. Pretendeva che studiasse per ottenere il diploma di geometra come suo padre. La madre lo forzava ad andare a scuola e perdeva la pazienza ogni volta che tornava a casa con un brutto voto. Sua madre perdeva la pazienza spesso.
Ricordava ancora le fredde e nebbiose mattine dell’inverno piemontese, quando doveva uscire prestissimo di casa per recarsi a piedi all’istituto per geometri. Strappato al caldo dei suoi sogni tranquilli si trovava gettato in un mondo ostile.
Quando a vent’anni, mentre ripeteva per la seconda volta la quarta superiore in un istituto specializzato nel recupero di anni scolastici, scoprì di essere un veggente, Guido fu molto, molto felice. La sua vita conobbe una vera rivoluzione: la vaghezza di pensiero e l’incapacità di ragionare, che tanto l’avevano penalizzato durante le interrogazioni di storia e di matematica, venivano inaspettatamente messe a frutto in un campo dove erano di fondamentale importanza per raggiungere il successo. Così Guido Allocchi, giovane diplomando di poche speranze, nel giro di soli quattro anni diventò il famoso Maestro Omega, uno dei veggenti più importanti del Piemonte. Avrebbe preferito chiamarsi Maestro Alfa o anche Maestro Gamma, ma purtroppo c’erano molte persone che si spacciavano per maghi o veggenti e già da tempo usavano nomi con le lettere dell’alfabeto greco. Erano rimaste libere giusto omega e iota. Ma iota gli suonava male.
Gli eventi di quella sera, che fecero di Guido Allocchi e di Felice Bevilacqua i primi uomini al mondo a venire in contatto con esseri provenienti da un altro sistema solare, iniziarono dopo cena. Nel salotto della casa di campagna del Maestro Omega, stavano sorseggiando una tisana anti-radiazioni elettromagnetiche, circondati da una partita di pendolini da radioestesista ammonticchiati sopra due grossi sacchi di sale benedetto contro le energie negative.
Bevilacqua stava chiedendo al Maestro cosa vedeva nel futuro commerciale dei braccialetti di rame venduti in farmacia contro il mal di testa, quando si interruppe lasciando una frase a metà e si mise a fissare la finestra. Il sole era tramontato da poco, ma una strana luce violacea illuminava a giorno il giardino.
«Cos’è quella luce lì fuori, Maestro? È accecante, non ho mai visto una cosa del genere…».
L’omeopata si avviò alla porta, senza aspettare la risposta del Maestro Omega, che si era girato sorpreso e cercava di liberarsi dalla gravità della cena che lo incollava alla comoda poltrona. Uscì all’aperto e osservò sbalordito un oggetto luminoso nel cielo, seguito da Guido che si grattava pensieroso la testa, in cerca di qualcosa di sensato da dire.
«Avevo previsto un fenomeno del genere, ma nella mia visione la luce era… come dire… più verde».
Non aveva ancora finito di parlare che Bevilacqua venne investito da un raggio di luce azzurra, chiarissima, che gli si attorcigliò alla vita producendo corte diramazioni, come un filo spinato, e lo risucchiò verso l’alto spegnendone un grido soffocato.
Levitò molto in alto, fino a raggiungere un’apertura posta sotto la pancia di un’enorme astronave ovale che emetteva quel bagliore violaceo. Il Maestro Omega venne risucchiato tre secondi dopo.

Il Maestro Omega si risvegliò in un bagno di sudore, con un fortissimo mal di testa, uscendo da una nebbia nera senza sogni. Chissà per quanto tempo era rimasto svenuto. A poco a poco si abituò al forte chiarore della stanza in cui era stato portato e riuscì ad aprire gli occhi. La scena che vide lo lasciò sgomento: era all’interno di un’astronave aliena, quasi completamente immobilizzato. Riusciva a muovere a malapena la testa.
Sentiva un corpo di fianco al suo: sforzandosi di girare la testa vide che si trattava di Bevilacqua, ancora addormentato. Si trovavano dentro uno stretto spazio esagonale, delimitato da un muretto alto circa trenta centimetri. L’esagono era al centro di un’ampia stanza rotonda costellata di grandi oblò. Vide che anche Belvilacqua era immobilizzato: avevano entrambi le braccia e le gambe incollate da una viscida e resistente sostanza biancastra. Davanti a sé, sopra il muretto, riusciva a scorgere in lontananza le stelle nel buio dello spazio. Alla sua sinistra c’era un pannello di controllo pieno di simboli strani e una specie di sgabello su cui stava appollaiato il primo alieno che riuscì a vedere. Era bruttissimo. La parte inferiore, grassoccia, poggiava su tre arti che si chiudevano a spirale; la parte superiore andava stringendosi fin dove sbucavano due esili zampette poco sotto la testa. Una brutta pera di colore scuro. Con le zampette toccava i simboli sul pannello, provando e riprovando, come se stesse cercando la soluzione di un complicato puzzle.
Sforzandosi di guardare anche a destra, nonostante la nausea, Guido vide poco lontano altri due alieni: uno era di un colore molto chiaro, quasi bianco, e si trovava in quella che sembrava una postazione di navigazione, vicino a una consolle piena di leve colorate.
L’alieno chiaro le manovrava usando con destrezza le sue zampette. Probabilmente era il pilota. Vicino a lui, adagiato su una grande poltrona, c’era il terzo alieno che aveva tutta l’aria di essere il comandante. Era blu e portava un appariscente copricapo spugnoso.
L’alieno blu fu il primo ad accorgersi che Guido si era svegliato. Si avvicinò a lui e a Bevilacqua ed emise dei suoni gutturali, estroflettendo dal copricapo spugnoso tre spaventosi occhi gialli. Felice Bevilacqua s’era appena ripreso e aveva aperto gli occhi giusto in quel momento: vedendosi davanti i tre occhi alieni, per poco non svenne di nuovo.
Il comandante si rivolse a loro gracchiando come una radio che riceve male il segnale. Bevilacqua, bianco come un cencio, rivolse uno sguardo disperato verso Guido torcendo il collo verso di lui e riuscì a chiedergli con un filo di voce: «Maestro Omega, cosa sono? Dove siamo? Cosa succede? Io non capisco…».
Il Maestro non seppe cosa rispondere.
Poi il comandante mosse di scatto i tre occhi, questa volta a osservare più da vicino Guido, e ripeté il suo suono gracchiante.
Il Maestro Omega, con voce tremante, tentò di rispondere qualcosa: «Noi amici! Noi terrestri! Terrestri amici degli alieni! Noi in pace!».
Ma il comandante non si stava rivolgendo ai due terrestri. Stava discutendo con l’alieno scuro a forma di pera. Questi lasciò il pannello pieno di simboli e si avvicinò ai terrestri con aria perplessa. Iniziò quindi a confabulare con il comandante nel loro incomprensibile linguaggio. Ogni tanto il comandante allungava una zampetta blu a indicare Felice o Guido. L’altro scuoteva la testa e allargava le zampette scure come a dire che avrebbe preferito qualcosa di meglio, ma si sarebbe adattato.
Nel mezzo della discussione intervenne l’alieno biancastro, che smise di manovrare le leve di navigazione. Si capiva che non era per niente d’accordo con quello che avevano deciso gli altri due. Gridava forte indicando anche lui di volta in volta Guido e Felice e poi la vetrata panoramica che si trovava dietro di loro. I due terrestri girarono il collo istintivamente e con grossi sforzi riuscirono a scorgere una parte della vetrata dietro di sé: in mezzo a un cielo nerissimo si vedeva una biglia luminosa azzurra e bianca. Era la Terra, il loro pianeta ormai lontano. La biglia sembrava rimpicciolirsi a vista d’occhio: l’astronave doveva viaggiare velocissima. La visione del pianeta natìo da cui si allontanavano sempre più li riempì di angoscia.
L’alieno biancastro continuava a indicare loro e poi la Terra. Forse voleva riportarli a casa? Ma nella discussione con gli altri due ebbe la peggio. Il comandante gracchiò più forte e ordinò al pilota di tornare al suo posto. L’alieno biancastro sbuffò, si portò le zampette alla testa, quindi tornò alle leve di navigazione volgendo seccato le spalle a tutto.
«Cosa succederà adesso?» chiese l’omeopata sempre più preoccupato.
L’alieno scuro a forma di pera si avvicinò proprio a lui, con aria decisa. Lo liberò dalla sostanza che lo teneva legato e lo adagiò su un pavimento pieno di segni e decorazioni simili a quelle che si trovavano nel pannello di controllo. Felice si mosse, cercando con gli occhi il volto del Maestro Omega. Era visibilmente sollevato ed era contento di poter finalmente muovere gli arti. Agitò gambe e braccia con isteria e inarcò la schiena per sgranchirsi. Ma la sua libertà non durò a lungo. L’alieno scuro gli si appoggiò sopra e lo tenne ben saldo con le sue due zampette sorprendentemente robuste. Quindi dal centro del petto emise improvvisamente un robusto tentacolo, provvisto di un affilatissimo uncino lungo almeno venti centimetri, che lacerò con precisione l’addome del terrestre.
Bevilacqua cacciò un urlo raccapricciante con tutto il fiato che aveva in corpo. Forse il grido infastidì l’alieno, che intanto si era messo a studiare con attenzione le sue interiora. Con un violento colpo di uncino decapitò l’omeopata. La testa di Felice Bevilacqua rotolò sul pavimento decorato. L’alieno scuro la seguì con attenzione, finché non si fermò in una pozza di sangue.
Guido era paralizzato dall’orrore e non riusciva a respirare. Guardava l’alieno e il suo uncino sporco di sangue e gli sembrava che fosse tutto impossibile, che i fatti a cui aveva assistito non potessero essere veri.
L’alieno scuro si allontanò dal corpo esanime dell’omeopata e venne salterellando verso di lui. Guido doveva pensare in fretta. Cosa aveva provocato la reazione violenta dell’alieno? I movimenti di Felice appena slegato? Guido non si sarebbe mosso. Cosa aveva infastidito l’alieno al punto di massacrare il povero omeopata? Forse l’urlo quando gli era stato tagliato l’addome? Guido non avrebbe urlato, avrebbe resistito.
Dopo pochi istanti anche lui si ritrovò disteso sul pavimento. Quando l’alieno gli tagliò la pancia rimase immobile, e nonostante il dolore lancinante strozzò il grido che aveva in gola.
La sua testa rotolò poco lontano da quella di Felice Bevilacqua.

«Allora? Ce la faremo? Eh? Ce la faremo? Quale rotta pensi che mi convenga ordinare al pilota, Maestro Consigliere Veggente?» chiese il comandante dell’astronave, agitando tutto eccitato le sue zampette blu e roteando gli occhi gialli.
Il Maestro Consigliere Veggente non rispose. Stava ancora analizzando le interiora dei due terrestri e la posizione in cui si erano fermate le due teste.
«Come temevo non è facile capirlo, con questi due esseri così particolari» rispose dopo aver pensato a lungo. «Purtroppo il responso che ottengo dalla lettura delle interiora appare leggermente in contrasto con i simboli astrali su cui si sono fermate le teste…» «Ma cosa dobbiamo fare allora? Che rotta ci conviene seguire?» insistette il comandante, visibilmente seccato.
«Non c’è da preoccuparsi» lo rassicurò il veggente. «Nonostante la difficoltà della lettura prevedo comunque che riusciremo molto presto a ristabilire un contatto col nostro pianeta e a ritrovare la via di casa: sento chiaramente che proseguire per la rotta attuale ci porterà fortuna!»

Ogni riferimento a fatti, persone, veggenti, omeopati o alieni è puramente casuale. La rotta comunque non era quella giusta. Pochi minuti dopo l’astronave aliena si vaporizzò schiantandosi contro il nucleo di una cometa della Nube di Oort.

Roberto Vanzetto
Direzione editoriale Area scientifica Edmond Le Monnier

Le illustrazioni dell’articolo sono di Andrea De Porti

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