Riccardo uno e cinque

iccardo Mancini nelle testimonianze di Daniele Barbieri

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  • 18-05-2008
  • di Daniele Barbieri
Provo allora (anche rubando ricordi di altre e altri) a sintetizzare cinque aspetti della «riccard-mancinità». Riccardo uno-e-cinque, se vi piace.
La prima faccenda è semplicissima: lui in realtà era un gatto. C'è poco da spiegare: geniale, un po' dispettoso, buongustaio, moderatamente infedele, a momenti pigro e solitario ma talvolta avventuroso e in buona compagnia, comunque sempre in cerca di fusa. Gatto.
La seconda è meno facile a spiegare in poche frasi. Era un sognatore e un ribelle o, se preferite, un sovversivo, un rivoluzionario disarmato. Vero sessantottino o… sessantottardo (la battuta era: «meglio sessantot-tardi che 68-mai»). Citava spesso una frase di Eduardo Galeano che all'incirca suona così: «chi insegue l'utopia fa un passo per raggiungerla e quella si allontana di tre passi ma allora a che serve l'utopia? Serve a farti camminare»… Non è poco in un mondo dove le idee, i sogni sono fermi, ibernati, dimenticati. Lui fermo non è stato: l'impegno politico (in Lotta Continua) e sindacale ma anche giornalista contro-corrente fra Il manifesto, l'Unità, Rassegna sindacale, Rinascita, il Discobolo, Meta, Politica ed Economia, poi il Salvagente fino a la Città Tuscolana, il mensile che ha fondato e diretto.
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Riccardo Mancini a un congresso CICAP.
E siamo arrivati a tre: ecco il «mancio» giornalista, editore e, quasi senza saperlo, pedagogista. Avviando al mestiere e alla passione ragazze e ragazzi, cercando sempre di trasmettere il rispetto per chi legge, la responsabilità di chi scrive, la necessità di un'etica, il dovere di informare. Dovrebbe essere normale e invece Riccardo era una delle poche eccezioni. Un dono più che una scelta. Tanta gente a 30 anni ha già perso speranze e sogni, guarda i più giovani con un misto di incomprensione e disprezzo: per lui invece i ragazzi erano davvero la speranza in un futuro migliore, fuori di ogni retorica: aveva sempre un consiglio o "una pazzia" da suggerire, pur nei suoi momenti di affanno (nessuno è senza limiti, difetti, scoramenti) come orecchie pronte ad ascoltare, anche nei corsi di formazione giornalistica che ha tenuto un po' ovunque.
Ci inventammo una antologia per la scuola («E lo sport si fece mondo» che l'editore ci massacrò) e nel 1988 un folle book-game sul '68-69, «Cercasi Rocco disperatamente» che volevamo ristampare quest'anno. Già gli editori… poco coraggiosi, secondo noi. E così Riccardo decise di fare – con qualche compagno d'avventura e pochi soldi - una casa editrice scettica, Avverbi: che, dice lo "statuto", «ha come scopo la promozione e la diffusione della cultura scientifica e razionale».
Avverbi, dieci anni compiuti a dicembre, continuerà: in sostegno del metodo scientifico e a contrasto delle presunte verità tanto spesso cavalcate nel mondo della comunicazione. Continuerà portata avanti dalla compagna di Riccardo (Rosalba che tutti però chiamano, come lui, «la Capozzi») e un gruppo di ragazzi e soprattutto ragazze in gamba.
Su un piano parallelo all'impegno per il Cicap c'era la sua passione per smascherare ogni genere di truffa, bufala, "sola" come si dice a Roma. Il Riccardo numero 4, quasi un Robin Hood. All'inizio si stupiva di quanti cascassero in fregature vecchie come il mondo poi aveva cominciato a studiare il fenomeno con rigore scientifico: da un lato indagare a fondo l'ignoranza ma anche la volontà di molte/i a farsi ingannare, a credere nei miracoli, dall'altro lato l'abilità dei truffatori, il loro continuo aggiornare tecniche e persino stili di recitazione. Due tenaglie che stritolano un mucchio di persone, complice anche un certo disinteresse diciamo istituzionale nel combattere il fenomeno e la scarsa attenzione dei giornalisti. Perchè i media sono poco attenti? Vogliamo dirlo in 11 parole? «Fate i conti di quanti soldi porta la pubblicità dei maghi». Così sul settimanale «il Salvagente» aveva inventato la rubrica «Gatta cikova» che poi aveva partorito (le gatte sono animali strambi) un pack di volumi per Stampa Alternativa dal titolo «Non ci casco» con una bella squadra: in campo Luigi Garlaschelli, Riccardo Mancini, Massimo Polidoro, Franco Ramaccini, Elena Ruffinazzi e Paolo Toselli allenati da Piero Angela, Piero Bianucci, Margherita Hack, Silvio Garattini, Antonio Lubrano e Roberto Vacca.
La solidarietà alle vittime di truffe era totale in Riccardo con una piccola eccezione (nessuno è senza nei). Di fronte alle belle sceneggiate – tipo il film «La stangata», per capirsi – anche lui vacillava… di ammirazione e visto che in quei casi le vittime erano stra-ricche quasi faceva il tifo per i geniali mascalzoni. A volte con una citazione che scandalizzava qualche filisteo: «chi ha il talento e il fegato di sfidare la società è potenzialmente un uomo di valore». La frase è nel romanzo «L'uomo disintegrato» di Alfred Bester e così passiamo alla fantascienza, al Riccardo 5, che è stato anche il mio socio di scrittura, il miglior compagno che si possa avere per viaggi impossibili eppur necessari.
Il domani da conquistare, i tanti futuri possibili, ci hanno fatto amare la fantascienza: abbiamo provato a trasmettere questi desideri con «Imparare dal futuro» e Immaginare futuri» (due antologie scolastiche curate per la Nuova Italia) e poi con «Di futuri ce n'è tanti: istruzioni per uscire da un presente senza sogni» pubblicata un anno fa con Avverbi.
Cominciò negli anni '80 sul quotidiano Il manifesto con una strana firma, Erremme Dibbì: percorsi, recensioni e provocazioni intorno alla fantascienza. Quel buffo nome era il mix delle iniziali di Riccardo Mancini e Daniele Barbieri ma chi leggeva non poteva saperlo. Arrivò una lettera che iniziava «Gentile signorina Erremme». Ne fummo felici, perchè se due maschi mostrano una sensibilità femminile devono solo rallegrarsi. A scrivere insieme tanto spesso (su Il manifesto e poi altrove) era come fosse nata un'altra persona, con due teste – che spesso litigavano come nel romanzo Universo di Heinlein – e quattro mani, con idee nuove e uno stile abbastanza diverso sia da Rm che da Db.
La buona fantascienza, diceva Riccardo, non è solo gradevole da leggere ma «è un grimaldello per scardinare il presente». Di fronte a qualunque possibilità o stranezza Riccardo era per indagare («viva viva san Tommaso»); una delle sue frasi preferite è: «vogliamo essere stupiti mica stupidi». Pronto a lasciarsi meravigliare, non disponibile a farsi ingannare.
Per anni io e Riccardo abbiamo scritto di science fiction, gomito a gomito. Restammo amici (compagni e fratelli) ma era difficile lavorare insieme con in mezzo centinaia di chilometri e un mare di impegni. Alla fine del 2006 scovammo un po' di tempo e scrivemmo «Di futuri ce n'è tanti». Io ero contentissimo ma già Riccardo annotava piccoli errori e lacune, pensando al successivo che volevamo fare a 6 mani, con Monica Lanfranco. Non ci sarà il seguito progettato ma forse verrà un libro per Riccardo e di sicuro letture per ricordarlo: la prima a Fiuggi il 14 marzo e la seconda a Trieste il 19 aprile.
C'erano, è ovvio, momenti in cui i Riccardo da-1-a-5 si mescolavano: di solito situazioni amicali. Chi pensa che uno smaschera-truffe e un giornalista serio come lui dovesse essere un tipo noioso sbaglia di grosso: restio agli appuntamenti mondani quanto entusiasta nell'organizzare serate semplici e in buona compagnia, a condividere storie e giochi, a insegnare come si raccolgono (e cucinano) i funghi. E a raccontare storie. Tanto era rigoroso negli articoli quanto era creativo nel racconto orale: era un «signor 30 per cento» perché il suo piacere di raccontare e di «migliorare i nudi fatti» spesso arrivava a cambiare il 70 per cento del piccolo evento iniziale. Un giocoliere, un incantatore.
Senza di lui… è dura però Donata - una persona che lo conosceva solamente attraverso i suoi scritti - ha mandato a chi era in lacrime per lui questa frase di Che Guevara: «Non piangete… fate quello che faceva e continuerà vivendo in voi». Ci troveremo.

Daniele Barbieri
Giornalista, redattore del settimanale Carta
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