La voce dell'aldilà

di Connie Willis
Delos Books, 2008
pp. 120, € 9,00

  • In Articoli
  • 03-02-2009
  • di Daniele Barbieri
Fra i candidati al premio Oscar (o Nobel, fate voi) per la perfidia spicca, in questo anno librario 2008, una vecchia frase: «Nessuno è mai andato in rovina per aver sottovalutato l'intelligenza del popolo americano». Dove per "americano" si deve intendere statunitense. Questa citazione di Henry Luis Mencken apre il romanzo La voce dell'aldilà della sempreverde Connie Willis che arriva da noi con tre anni di ritardo. Un godimento per scettici, acchiappamaghi e militanti del CICAP, ma con un finale che lascia quanto meno il sospetto: si può giocare a bridge con le regole degli scacchi? Fuor di metafora: si può combattere la superstizione con le armi dell'irrazionalità? La scena iniziale ci porta nella redazione di L'occhio velenoso dove la bella, scettica nonché stra-ricca Kildy telefona al protagonista Rob – direttore e animatore della rivista – per segnalare «un medium trasmettitore», tale Ariaura, che «veicola» (insomma trasporta o, se preferite, è invasata) da «una entità chiamata Isis».
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Come ricorda il protagonista esistono un paio di «regole basilari nel mestiere dello scettico»: per esempio che «affermazioni straordinarie richiedono prove straordinarie e che se sembra troppo bello per essere vero, forse lo è». Forse. All'inizio Rob non capisce cosa ci sia di nuovo: «la solita spazzatura New Age, una miscellanea di stronzate medianiche, consigli di auto-analisi, pseudo-scritture e brodino di pollo per curare l'anima». Gran successo a Hollywood e negli interi Usa, come già capitò all'ex attrice Shirley MacLaine e più avanti a quell'Uri Geller che pretendeva di piegare cucchiai con il pensiero. Ma all'improvviso Ariaura mentre «veicola» Isis – «dal nono livello del piano astrale io vengo» è il suo sgrammaticato esordio – lascia spazio a un altro ospite: «un gracchiante tono baritonale» si intromette per rimproverare «voi sciocchi catturati da questi incomprensibili scioglilingua mistici». Un nuovo trucco, un piano raffinato per ingannare gli scettici o un vero invasamento? Ovviamente qui non vi sarà svelato il marchingegno (oppure «l'arzigogolo», come direbbe Mencken) ma vale la pena divertirsi sino al finale con una sviolinata d'amore che chi legge può immaginare ironica oppure nostalgica. Si aggiungerà solo che il già citato Mencken (1880-1956) giocherà una parte di rilievo: fu storico, giornalista e scettico come il grande escapista Houdini e il suo allievo James Randi. Rob lo ricorda così: «era stato il flagello di ciarlatani e furfanti per tutti gli anni Venti, scrivendo su ogni tipo di imbroglio, dai predicatori-guaritori ai chiropratici ai creazionisti, attaccando senza tregua ogni forma di imbroglio e sempre a beneficio della scienza e del pensiero razionale»; almeno un'altra sua splendida frase occorre ricordarla: «il puritanesimo è la paura ossessiva che qualcuno, da qualche parte, possa essere felice».
Ben scritto, con un tono d'altri tempi (soprattutto su temi amorosi) e con quella lieve ironia che è un po' la firma della poliedrica e pluri-premiata Willis. Nella utile prefazione, Salvatore Proietti ricorda che l'autrice oscilla fra classica fantascienza e fantastico ora con toni da «space opera» e ora con una rabbia femminista che le è costata persino qualche censura. A libro chiuso tornate alla frase iniziale: una perfidia o una scomoda verità? Se dobbiamo credere a Mencken, «questa è l'America, patria degli imbecilli e dei somari». Fate voi.

Questa intervista-recensione è in onda a Radio Città Fujiko di Bologna, è pubblicata sul sito di Carta, si può ascoltare su http://caccialfotone.wordpress.com/sci-fi/ o leggere su www.carta.org (si digita "ozio" e poi "futuri")

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