Le Fate di Cottingley

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© Massimo Polidoro
Era il 1920 quando un paio di fotografie di fate e gnomi fecero il giro del mondo creando scompiglio tra scettici e persone autorevoli. Le foto erano state scattate tre anni prima, nel 1917, da due cugine: Frances Griffiths, di 10 anni, e Elsie Wright, di 16, mentre giocavano in una radura, ma nessuno le aveva prese seriamente in considerazione fino a quando non giunsero nelle mani di sir Arthur Conan Doyle.

Per comprendere a fondo la storia delle fate di Cottingley è importante inquadrare innanzitutto il contesto storico in cui essa si svolse. Siamo in Inghilterra alla fine della prima guerra mondiale: tutte le famiglie hanno perso qualcuno nel conflitto e molti tentano di contattare i propri cari scomparsi attraverso i medium. Lo spiritismo si diffonde ovunque e se da un lato personaggi come Houdini tentano invano di smascherarlo, dall’altro personalità come Doyle si aggrappano a qualunque appiglio per dimostrarne la fondatezza. Conan Doyle, personaggio chiave di questa vicenda, era stato nominato Cavaliere della Corona e godeva di grandissima fama e rispetto: nessuno avrebbe mai osato mettere in dubbio una sua affermazione perché si riteneva che Doyle non avrebbe mai potuto commettere un errore su nessun argomento. Del resto è lui l’ideatore del grande detective Sherlock Holmes! Dopo la morte in guerra del figlio Kingsley, egli aveva cercato conforto nelle sedute spiritiche, diventando ben presto uno strenuo difensore dei sensitivi. Le foto di fate che ricevette da Edward L. Gardner, membro del comitato esecutivo della Società Teosofica, lo riempirono di gioia perché, dichiarò, la dimostrazione dell’esistenza delle fate avrebbe reso più facile ammettere l’esistenza di altri fenomeni psichici.

Le foto sono state scattate in una radura a Cottingley, nello Yorkshire, dove le due cugine trascorrevano le vacanze estive. Nella foto numero 1 si vede Elsie insieme a quattro fate che danzano. Nella foto numero 2 Frances è seduta sul prato e gioca con uno gnomo.

Le due ragazze provenivano da una famiglia di lavoratori, gente semplice, e pertanto la loro onestà non venne mai messa in dubbio. Del resto, perché avrebbero dovuto imbrogliare? Le foto furono sottoposte ad alcuni esperti, tra cui H. Snelling, uomo con più di 30 anni di esperienza nel campo fotografico. Secondo Snelling vi erano sufficienti prove per ritenere che le foto fossero autentiche. Tra le prove, venne dato grande risalto al fatto che la lastra era stata esposta solo una volta. Anche alcuni esperti della Kodak analizzarono le immagini, confermando che non vi erano tracce di doppie esposizioni né altri trucchi, tuttavia dissero di essere in grado di riprodurre lo stesso effetto. Ma Doyle e Gardner erano convinti che le due ragazzine fossero “al di sopra di ogni sospetto riguardo a possibili trucchi fotografici”.

Entusiasmati dal parere favorevole degli esperti, decisero di eseguire la Grande Prova: ottenere nuove foto. Gardner consegnò alle ragazze un’altra macchina fotografica e 24 lastre che erano state, a loro insaputa, segnate in modo da rendere impossibile qualunque sostituzione. Erano passati tre anni dalle prime foto e questo preoccupava Doyle, poiché, scrisse, “i problemi adolescenziali influiscono in maniera determinante sui poteri psichici”. Nonostante ciò, le due ragazze tornarono con tre nuove foto sorprendenti, che secondo gli esperti erano “autentiche quanto le prime due”. Alle ragazze non fu chiesto di rendere conto delle altre 21 lastre, che loro dissero semplicemente di aver gettato nel ruscello perché venute male.

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© Massimo Polidoro
Nella foto numero 3 è immortalata Frances con una fata che le vola vicino al viso. La foto numero 4 rappresenta una fata, caratterizzata da una “capigliatura parigina” e vestita molto elegantemente, che porge un mazzolino di fiori a Elsie. Nell’ultima foto ci sono delle fate che prendono il sole sull’erba. Dopo queste foto, considerate “un successo completo”, Doyle scrisse: “Ogni dubbio che mi restava riguardo all’onestà delle ragazze è scomparso definitivamente, poiché [...] queste immagini sono al di là di ogni possibile trucco o artificio”.

La storia delle fotografie, le prove della loro autenticità e le implicazioni della loro esistenza furono esposte da Doyle in un libro intitolato The Coming of the Fairies, che uscì nel settembre 1922.

Ma come mai passarono ben tre anni prima che foto così incredibili fossero rese note? Semplicemente le foto, quando furono scattate, non erano state prese seriamente in considerazione dalle famiglie delle ragazze. Fu solo quando la madre di Elsie iniziò ad appassionarsi alla teosofia che le foto furono mostrate e considerate la prova dell’esistenza di esseri magici.

È significativo leggere ciò che scrisse Elsie in una lettera: «Il mio povero papà rimase deluso dal suo scrittore preferito, Conan Doyle. Lo sentii dire alla mamma: “May, come può un uomo così intelligente credere a simili sciocchezze?”». Il signor Wright, infatti, non riusciva a capire come il creatore di Sherlock Holmes potesse essere stato ingannato dalla “sua Elsie, che era l’ultima della classe!”

Per comprendere come ciò sia stato possibile, bisogna necessariamente tener conto della mentalità dell’epoca, secondo la quale le ragazzine erano sempre ingenue, gli uomini cattivi avevano sempre spesse sopracciglia e ogni persona era giudicata in base alle sue origini e cultura. Le deduzioni di Sherlock Holmes, infatti, sono esatte solo perché i personaggi con cui ha a che fare rispecchiano sempre determinate tipologie di comportamento. Proiettato nel mondo fittizio dei suoi gialli, Doyle riteneva che le indagini dovessero concentrarsi “non tanto sulle foto, quanto sulla personalità delle ragazzine e sull’ambiente che le circonda”. Le cugine non avevano nessun motivo per portare avanti un inganno (non ebbero, infatti, alcuna ricompensa in denaro, né cercarono mai il successo) e questo le rendeva automaticamente innocenti. Inoltre si riteneva che non fossero in grado di occuparsi dei dettagli tecnici necessari per produrre un falso. Il fatto che Elsie avesse lavorato in un laboratorio fotografico e conoscesse bene, quindi, le tecniche per ritoccare le foto era un dettaglio che fu tralasciato perché di scarsa importanza. Ma Elsie non ebbe bisogno di ricorrere a tali conoscenze per produrre le foto. Fu sufficiente, infatti, ritagliare e modificare leggermente alcune illustrazioni presenti in un libro che in quel periodo era molto popolare tra i ragazzi, il Princess Mary’s Gift Book. Il confronto tra i disegni che illustravano la poesia “A Spell for a Fairy”, contenuta in quel libro, e le fate della foto numero 1 non lasciano ombra di dubbio: le figure erano state ritagliate, vi erano state aggiunte le ali ed erano state incollate su cartoncini. Un’altra fata fu disegnata a mano libera dalla stessa Elsie, che aveva studiato arte, mentre quella famosa per la “capigliatura parigina” era stata probabilmente ritagliata da una rivista di moda. Tutto sommato si trattava di una cosa semplice: non c’era bisogno di doppie esposizioni, sostituzione di lastre o ritocchi. Quello che all’apparenza poteva sembrare un ottimo metodo di controllo, cioè contrassegnare segretamente le lastre come aveva fatto Gardner, non era sufficiente per dimostrare che le foto non erano state realizzate con un trucco.

Anche in questo caso, come nel caso delle sorelle Fox, tutto era nato per scherzo, ma quando persone autorevoli si erano interessate seriamente al caso, le ragazze erano rimaste intrappolate in un meccanismo irreversibile dal quale era impossibile fuggire. Scrisse Elsie nel 1983: «Papà ci disse che dovevamo spiegare subito come avevamo ottenuto le fotografie, così presi Frances da parte e le parlai seriamente, giacché avevo inventato io lo scherzo. Ma mi supplicò di non dir nulla perché lo “Strand Magazine” le aveva già causato parecchi problemi a scuola, e io stessa mi preoccupavo per Conan Doyle che era già criticato dai giornali per la sua fede nello spiritismo e anche nelle nostre fate».
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