Veloci come la luce

I neutrini vanno più veloci della luce? Non è per nulla chiaro, anche perché non si sa ancora per bene cosa siano davvero queste fuggenti particelle, introdotte molto tempo fa da Enrico Fermi

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Il tunnel di 730 km faticosamente (non) scavato fra Ginevra e il Gran Sasso ha fatto più polverone di molte altre notizie scientificamente interessanti (e probabilmente più attendibili) negli ultimi mesi di questo movimentato 2011. Se non altro ha (ri)portato alla ribalta e sulle prime pagine dei giornali la parola "relatività" e il nome di Einstein. Se chiedete in giro cosa si sa di questo termine e di questa teoria probabilmente vi sentirete rispondere "bomba atomica", "E=mc2", "buco nero", "velocità della luce". Può anche andare bene, se con "relatività" ci si vuole riferire alla teoria einsteiniana dell'inizio del 1900. Ma la storia inizia molto prima, arrivando addirittura a scomodare il grande Galileo Galilei. Parlare di relatività implica tutto sommato qualcosa di semplice e di accessibile ai nostri sensi in molti contesti: lo scienziato pisano aveva ben compreso che esistono movimenti e punti di vista, nello studio del comportamento di corpi di varia estensione e natura, che variano nella forma ma non nella sostanza. È certamente vero che il moto di una pietra lasciata cadere da una persona su un treno in corsa ha aspetto differente se la si osserva stando fermi sul treno stesso, oppure in una stazione presso la quale il treno passa sfrecciando. La diversità di questi moti è però causa della differente descrizione che gli osservatori danno di essi e non di una loro sostanziale diversità o, per meglio dire, di una diversità delle leggi della fisica che governano tali moti. Relatività è il termine adatto per accomunare le risposte non eguali che osservatori in moto reciproco fra di loro (relativo, infatti) assegnano a posizioni, velocità, accelerazioni di un dato sistema fisico, come appunto un oggetto che cade sotto l'azione della forza di gravità o altro.

L'intuizione lungimirante di Galilei (formalizzata pochi decenni dopo di lui nell'opera di Newton) fu quella di assegnare un particolare ruolo alle osservazioni fatte da punti di vista che si muovono di moto rettilineo e a velocità costante uno rispetto all'altro. Si parla in questi casi di "sistemi di riferimento inerziali" e l'aspetto particolarissimo che li caratterizza è quello di scoprire che in essi le leggi della fisica non mutano, nonostante cambino le traiettorie che gli oggetti materiali compiono sotto l'azione di determinate forze. In modo del tutto equivalente, si può comprendere che passare da uno di questi osservatori inerziali a un altro (e ce ne sono quanti ci pare e ci piace) non produce nessuna variazione "assoluta" di proprietà fisiche, per cui non è possibile progettare né tantomeno realizzare un esperimento in grado di assegnare una natura assoluta, prioritaria, a qualsivoglia di questi sistemi di riferimento.

Per capire che qualcosa si muove, è necessario che vi sia variazione di stato di moto, ovvero un'accelerazione. In questo caso (fatto noto a tutti) si percepiscono delle forze (si dice di natura "non inerziale") in grado di sciogliere la riserva sul "chi si muove" e "chi sta fermo". Basti pensare alla differenza che c'è (e si realizza con i propri sensi) fra un mezzo di trasporto - per esempio un aeroplano - che procede a velocità uniforme (rotta rettilinea, alla medesima velocità: si può tranquillamente bere un bicchiere di vino a 1000 km/h senza fare danni) e uno che modifica la sua velocità (al decollo o all'atterraggio: proibito bere, anche se si trattasse solo di acqua, per ovvi motivi).

Cosa c'entra tutto ciò con Einstein e le sue idee del 1905? Moltissimo: verso la fine del 1800, lo studioso scozzese Maxwell era riuscito a compendiare in quattro formule (piuttosto complesse ma "bellissime" per la loro regolarità matematica) tutti i comportamenti dell'elettromagnetismo: dai campi generati da cariche elettrostatiche (come quelle che ci fanno rizzare in testa i capelli) agli effetti magnetici provocati da correnti (calamite e affini). Un risultato particolarmente affascinante della teoria elettromagnetica di Maxwell è quello di prevedere l'esistenza di "onde", ovvero combinazioni di forze elettriche e magnetiche (dette campi) che oscillando a varie frequenze viaggiano, nel vuoto, a una velocità ben precisa e calcolabile. Circa 300,000 km al secondo. Una velocità pazzesca: un'onda di questo genere riesce a fare in un secondo più di sette volte il giro della terra! Dove si trovano queste onde? Dappertutto. Le stiamo usando in questo momento noi tutti per leggere questo testo, visto che anche la luce è un tipo di onda elettromagnetica (che oscilla circa un milione di miliardi di volte al secondo). Che questa teoria sia ragionevole fu provato ancora alla fine dell'ottocento da vari studiosi, in particolare da Hertz che riuscì a generare onde elettromagnetiche e a rivelarle a una certa distanza con un'opportuna antenna.

Ancora: cosa c'entra tutto ciò con Einstein e Galilei? Si tratta di questo: se si ragiona d'intesa con il grande pisano, si scopre che le leggi che permettono di trasformare i punti di vista di differenti sistemi di riferimento inerziali, quando vengono applicate non più a una nave che solca i mari o a un sasso lasciato cadere da un treno in corsa, ma a un'onda elettromagnetica, come un raggio di luce, non funzionano più. O, meglio, conducono a situazioni molto imbarazzanti per quanto riguarda l'applicabilità delle leggi dell'elettromagnetismo di Maxwell. In particolare, si scopre che le leggi di trasformazione di Galilei permetterebbero - muovendosi alla loro stessa velocità, quella della luce appunto - di osservare un'onda elettromagnetica ferma. Tutto bene? No. Questo non è permesso dalle leggi di Maxwell.

Dobbiamo fare una scelta drastica. Rivedere le trasformazioni fra sistemi di riferimento inerziali come quelle previste da Galilei, oppure mettere le mani nei conti di Maxwell. Ci crediate o no, ne esce vincitore lo scienziato scozzese. Se si va a velocità elevate (molto elevate, sette volte il giro della terra in un secondo ... ) i conti di Galilei (o meglio, quelli che si fanno a partire dalle sue idee originali) non funzionano più. Mentre continua invece a funzionare la teoria delle onde elettromagnetiche.

In altre parole: la luce (che è onda elettromagnetica visibile) ha bisogno di un trattamento speciale quando si è al cospetto di trasformazioni di punti di vista (inerziali - a velocità costante). Questo trattamento è proprio il nucleo della cosiddetta "teoria della relatività" (ristretta) pubblicata da Einstein nel 1905 e che afferma, con due postulati di incredibile portata scientifica, la non variazione (invarianza) di tutte le leggi della fisica (incluse quelle dell'elettromagnetismo) quando si passa fra sistemi di riferimento inerziali diversi e il fatto che la luce possieda sempre la stessa velocità (nel vuoto) per qualsiasi di tali osservatori.

Le conseguenze di queste apparentemente innocue affermazioni sono amplissime: oltre ad aggiustare il problema della relatività galileiana per onde elettromagnetiche, conduce a idee completamente nuove di spazio e di tempo. Particolarmente clamoroso il fatto che il tempo non sia più assoluto ma "ticchetti" diversamente (più lentamente) a seconda della velocità con la quale si osserva l'orologio che lo misura e, in modo indissolubilmente collegato a ciò, che lo spazio sia distorto nella sua estensione, o lunghezza (che si accorcia).

I neutrini vanno più veloci della luce? Non è per nulla chiaro, anche perché non si sa ancora per bene cosa siano davvero queste fuggenti particelle, introdotte molto tempo fa da Enrico Fermi. Due cose però chiare lo sono: per ora sono migliaia gli esperimenti che danno ragione a Einstein senza riserva alcuna e, sia ben chiaro, i neutrini non hanno bisogno di un tunnel per viaggiare più o meno alla velocità della luce. Meno male che i fisici lo sapevano e non si sono messi a scavare per nulla...

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