Petitio Principii

  • In Articoli
  • 25-01-2012
  • di Manuele De Conti
image
©www.merderwerker.uva.nl
Discutere non è mai semplice, ma in alcuni casi è più difficile che in altri. Poniamo stiate discutendo sulla validità delle terapie alternative. A vostro favore presentate risultati scientifici che suffragano l’ipotesi dell’effetto placebo. Il vostro interlocutore, che sostiene invece l’efficacia della pranoterapia, risponde denigrando il metodo scientifico. A questo punto chiedete: «Perché il metodo scientifico non sarebbe valido?». «Perché non è in grado di dimostrare la validità della pranoterapia!», vi sentite rispondere.

Vi aspetta indubbiamente una lunga discussione. Infatti, l’errore di ragionamento qui commesso è una petitio principii, un temibile errore argomentativo che presenta come provato quanto è invece da dimostrare e che dà per scontato ciò che è invece in discussione. Ma riprendiamo quel sottile filo che attraversa i diversi numeri di questa rubrica e addentriamoci nella complicata questione.

Come sappiamo nella discussione critica si deve partire da premesse comuni per arrivare a conclusioni condivise. In questo contesto la petizione di principio si presenta quando gli interlocutori sono in disaccordo su di un enunciato e, nel contempo, quando chi lo accetta, lo impiega per dare ragione, delle stesse prove che lo giustificano. Facciamo un altro esempio. Poniamo che il nostro interlocutore sostenga che il famigerato quanto leggendario chupacabra esista realmente. Aggiungiamo che a garanzia di ciò egli avanzi il ritrovamento di alcune sinistre carcasse animali che ne dimostrerebbero l’esistenza. A questo punto la fallacia si genera nel momento in cui, chiedendo su quali argomenti si basi la sua convinzione che quelle carcasse siano di un chupacabra, risponda: «Perché il chupacabra vive proprio in quei luoghi». Rispondere che il chupacabra vive in quei luoghi implica che esso esista e sia reale, affermazione non solo in discussione ma che in questo caso è impiegata, circolarmente, come garanzia delle sue stesse prove.

Questo insidioso errore argomentativo è spesso confuso con altri tipi di errore a causa della loro apparente somiglianza. A volte è confuso con la ripetizione delle premesse di cui l’affermazione «Quando affermo di aver visto un U.F.O. dichiaro la verità poiché non sto mentendo», costituisce un esempio. In questo caso le premesse sono solamente ripetute, anche se con altre parole, come se dicessimo «Un uomo è scapolo, poiché non è sposato». Molto spesso la petitio principii è confusa anche con il ragionamento circolare, caratteristica, la circolarità, che sembra appartenerle. Il ragionamento circolare, però, non è sempre fallace. Se chiedessimo infatti a uno studioso come si fa a comprendere un testo nella sua interezza lui risponderebbe «Comprendendone le singole parti». Tuttavia se gli chiedessimo anche com’è possibile comprendere le singole parti egli ci direbbe «Comprendendo il testo nella sua interezza». È quello che viene chiamato circolo ermeneutico, ossia il movimento circolare che presiede a ogni atto interpretativo. Ma mentre la petitio principii consiste nell’impiego di un’affermazione controversa come prova delle sue stesse garanzie, l’esempio del circolo ermeneutico è la semplice esposizione di un processo in sé circolare.

Frans van Eemeren, uno dei fondatori della teoria pragma-dialettica in ambito argomentativo, riconosce la petitio principii come una violazione dell’onere della prova, ossia la regola che stabilisce per chi compie una dichiarazione di provare, qualora richiesto, la propria asserzione. Per Eemeren, infatti, la petitio è vista come il tentativo da parte di colui il cui punto di vista è stato messo in discussione di usare questo stesso punto di vista come una premessa non soggetta a dubbio.

Tuttavia l’errore commesso con questo ragionamento è più sottile e serio del far sembrare che siano state avanzate prove che in realtà non sono state offerte. Esso si propone anche di interrompere qualsiasi altra indagine critica nel dialogo, cercando di impedire la ricerca di ulteriori prove per risolvere il problema. Facciamo un altro esempio. Siamo, in veste d’indagatori del mistero, a una seduta spiritica. Le nostre domande diffidenti sulla possibilità di comunicare con i defunti mettono in allerta il sedicente medium. Avvertita la minaccia, il fallimento della seduta è attribuito alla presenza di “energie negative”. Alla domanda «Come fa a dire che esistono le energie negative?» segue la petitio «Perché altrimenti la seduta sarebbe riuscita!» Questa serie circolare di affermazioni che si sostengono vicendevolmente non solo non offre ragioni plausibili per il fallimento della seduta e per l’esistenza delle energie negative - infatti non sono fornite ragioni indipendenti dalle premesse controverse - ma essa, come rilevato in precedenza, si propone di forzare l’interlocutore ad accettare una conclusione sopprimendo le sue questioni o i suoi dubbi. È infatti difficile accorgersi di questa fallacia e, anche quando ciò avviene, essa provoca spesso un senso di disorientamento poiché viene delusa la nostra aspettativa che non vengano date come acquisite le affermazioni che stiamo mettendo in discussione.

L’uso di una proposizione per provare la garanzia da cui essa stessa dipende, seguendo le parole di John Stuart Mill, non implica affatto il grado d’imbecillità mentale che a tutta prima si potrebbe supporre: molte persone, anche tra le più istruite, hanno un gran numero d’opinioni delle quali hanno dimenticato le prove a loro sostegno e da cui si può generare questa fallacia. Ulteriore segno della complessità di tale errore è inoltre il suo intimo legame con i disaccordi denominati di fondo, ossia quei disaccordi in cui gli interlocutori sostengono differenti paradigmi o visioni del mondo. In questo contesto, infatti, proprio impostando il dibattito su basi razionali, ossia facendo emergere le premesse di fondo per discuterle direttamente, incontriamo spesso sistemi di proposizioni che si supportano mutualmente[1]. Ed è in questi contesti che l’attività argomentativa può diventare a volte anche molto frustrante poiché ci si trova a fare appello a qualcosa che non esiste: una base condivisa di credenze e preferenze.

Ma come è possibile quindi contestare quest’argomento ingannevole e riorientare la discussione verso un corretto percorso d’indagine? Cosa possiamo fare quando il veggente garantisce d’essere bravo poiché ha avuto molte conferme e d’aver avuto molte conferme poiché è molto bravo a leggere nel futuro, ossia perché è un bravo veggente? La prima cosa da fare è dichiarare l’errore commesso dall’interlocutore, ossia quello d’assumere ciò che è da dimostrare: le prove a sostegno dell’enunciato «il veggente è bravo» devono avere garanzie differenti da esso stesso. In secondo luogo dobbiamo richiedere i dati o gli esempi delle prove a sostegno della premessa in discussione: le “molte conferme” a cui si fa riferimento sono resoconti di clienti? Quali eventi sono stati riportati da essi come conferma? Quante conferme ha avuto e su quanti clienti totali? Di quali dati era a disposizione il sedicente veggente prima d’emettere il suo vaticinio? Infine, i dati così raccolti, devono essere valutati alla luce delle conoscenze scientifiche proprie delle discipline che si occupano della validità del tipo prove in oggetto.

Tuttavia ciò può richiedere molte nozioni da parte di chi indaga, nozioni che possono variare al variare del tipo di fenomeno considerato. Ed è qui che entra in gioco il CICAP che studiando da molti anni e da un punto di vista scientifico tali presunti fenomeni, offre nei suoi corsi il materiale fondamentale per chi dai misteri è attratto ma di fronte ad essi si muove disincantato.

Note

1) Fogelin J. R., The Logic of Deep Disagreements, Informal Logic, Vol. 7, n. 1 (1985).
Mill, J. S., Sistema di logica raziocinativa e induttiva, Ubaldini Editore, Roma, 1968.
Walton, D., Begging the Question. Circular Reasoning as a Tactic of Argumentation, Greenwood Press, Westport, 1991.

accessToken: '2206040148.1677ed0.0fda6df7e8ad4d22abe321c59edeb25f',