Test INVALSI, allodole, gufi e bioritmi

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©Cristina Visentin
I test INVALSI hanno scatenato da tempo vivaci discussioni e polemiche di cui hanno parlato anche i mass media, generalmente non molto sensibili ai problemi scolastici. Cerchiamo innanzi tutto di capire cosa sono.

La sigla INVALSI sta per “Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione” (www.invalsi.it ). Si tratta di un ente di ricerca, erede del vecchio CEDE (Centro Europeo dell’Educazione), che era stato istituito nei primi anni settanta.

Come si può leggere nel suo sito internet, l’Istituto si occupa di effettuare verifiche periodiche e sistematiche sulle conoscenze e le abilità degli studenti e sulla qualità complessiva dell’offerta formativa delle istituzioni scolastiche. In particolare l’INVALSI gestisce il Sistema Nazionale di Valutazione (SNV). Studia inoltre le cause dell’insuccesso e della dispersione scolastica; effettua le rilevazioni necessarie per la valutazione dei risultati raggiunti dalle scuole attraverso prove scritte, a carattere nazionale, volte a verificare i livelli generali e specifici di apprendimento conseguiti dagli studenti; predispone modelli da mettere a disposizione delle autonomie scolastiche ai fini dell’elaborazione della “terza prova” a conclusione dei percorsi dell’istruzione secondaria superiore; provvede alla valutazione dei livelli di apprendimento degli studenti a conclusione dei percorsi dell’istruzione secondaria superiore, utilizzando le prove scritte degli esami di Stato, secondo criteri e modalità coerenti con quelli applicati a livello internazionale per garantirne la comparabilità; fornisce supporto e assistenza tecnica all’amministrazione scolastica, alle regioni, agli enti territoriali, e alle singole istituzioni scolastiche e formative per la realizzazione di autonome iniziative di monitoraggio, valutazione e autovalutazione. Svolge inoltre attività di formazione del personale docente e dirigente della scuola, effettua attività di ricerca e coordina la partecipazione italiana a progetti di ricerca europea e internazionale in campo valutativo. L’INVALSI è soggetto alla vigilanza del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR).

I test INVALSI, consistenti in prove di italiano e matematica, vengono somministrati agli studenti delle classi seconda e quinta della scuola primaria (ex elementare), alla fine della scuola secondaria di primo grado (terza media) e durante il secondo anno di scuola secondaria di secondo grado (scuole superiori). Le polemiche che hanno da sempre accompagnato questi test riguardano vari aspetti. Una delle critiche riguarda il fatto che i test sono tutti uguali a livello nazionale, quando la realtà delle istituzioni scolastiche è piuttosto eterogenea, a seconda della localizzazione geografica. In particolare è emerso che l’intervento di docenti “compiacenti” nei confronti degli allievi è stato piuttosto diversificato nelle varie zone del Paese e ha inevitabilmente influenzato i risultati raccolti. Per questo motivo è stato più volte proposto che la somministrazione dei test venga effettuata da una “rete nazionale di rilevatori professionisti”, assolutamente al di sopra delle parti, come avviene in altri paesi europei. Altre critiche riguardano proprio la natura delle prove, costitute da test a risposta multipla. Si tratta di una metodologia abbastanza estranea alla tradizione didattica italiana e che ha inevitabilmente pregi e difetti. Attraverso di essa possono sicuramente essere valutati certi risultati didattici, ma se ne trascurano altri. Infine molte proteste sono di natura prettamente sindacale e non credo interessino ai lettori di Query.

Una delle critiche più insolite e interessanti è stata espressa di recente da un pediatra milanese di nome Italo Farnetani. Come ha dichiarato il pediatra all’agenzia di stampa Adnkronos Salute: «Così come sono disegnati, i test per i ragazzini di terza media non permettono di scattare una fotografia oggettiva del livello dei ragazzi. Inoltre saranno favorite le piccole “allodole”, quei bambini che vanno a letto presto e si svegliano all’alba senza fatica, rispetto ai “gufi”, che alla mattina impiegano più tempo per carburare».

Farnetani da tempo si batte perché la scuola tenga conto dei ritmi biologici degli studenti, soprattutto più piccoli. Secondo il pediatra, le prove per l’accertamento dei livelli generali e specifici di apprendimento in italiano e in matematica degli studenti italiani a conclusione del primo ciclo di istruzione dovrebbero essere «più rispettose della cronobiologia e dunque dei ritmi naturali dei ragazzi». Egli infatti sostiene che «ormai grazie agli studi e alle ricerche sappiamo che il momento in cui è più attiva la memoria a breve termine, e dunque è opportuno programmare i compiti in classe, va dalle 11:00 alle 13:00. Fino alle 10:00, in media, l’alunno si sta ancora svegliando. Ebbene i ragazzi si troveranno troppo presto alle prese con i 75 minuti della prova di matematica, quella che richiede maggiormente il ricorso alle operazioni astratte. Invece se proprio si vuole iniziare presto, sarebbe meglio farlo con la prova di italiano». Secondo il pediatra, l’organizzazione delle prove INVALSI «non è su misura per i ragazzi: occorrerebbe ritardare un po’ l’inizio dei test, o invertirli per consentire agli alunni di dare davvero il massimo». «Inoltre ormai è ben noto – prosegue Farnetani – che due alunni su tre non fanno una prima colazione sufficiente» e la mattina delle prove «complice la paura, sicuramente mangeranno poco. Così si ritroveranno a fare il test senza “carburante” per la mente. E senza neppure poter contare sul rinforzo garantito dallo spuntino di metà mattina».

Francamente non conosco gli studi e le ricerche cui fa riferimento il dottor Farnetani. La cronobiologia, che studia le variazioni periodiche di parametri e funzioni biologiche, è una disciplina seria e, effettivamente, non è mai stata considerata in ambito didattico. L’apprendimento è un processo complesso al quale contribuiscono moltissimi fattori e forse anche i ritmi biologici possono avere un loro ruolo. C’è solo da augurarsi che qualcuno, fraintendendo completamente le affermazioni del dottor Farnetani, non sostenga la necessità di introdurre in ambito didattico lo studio dei bioritmi. Il termine bioritmo, utilizzato in modo assolutamente privo di ogni fondamento scientifico, ha infatti oramai dato origine a una disciplina che si proporrebbe di spiegare come mai in certi momenti della nostra vita le cose ci vanno bene, mentre in altri momenti ci vanno storte. Si tratta di una vera e propria pseudoscienza, molto più vicina all’astrologia e alla magia che non alla originaria cronobiologia.
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