Il segreto delle camminate sui carboni ardenti

Camminare sui carboni ardenti è una faccenda complicata e pericolosa.
La prima difficoltà è, ovviamente, superare la paura: camminare a piedi nudi su qualcosa che assomiglia in tutto e per tutto un gigantesco barbecue non è certamente un comportamento istintivo.
Una volta vinta la paura, terminata la passeggiata e smaltita l’adrenalina ci si comincia a fare qualche domanda. Quanto può essere lunga la camminata? Quanto può essere calda la brace? Perché ogni tanto, anche se molto di rado, qualcuno si ustiona malamente?

Queste domande sono, per ora, senza una risposta precisa. Sappiamo che su una brace a temperatura non troppo alta (diciamo intorno agli 800 gradi) e senza tracce di fiamma, si possono fare almeno una mezza dozzina di passi senza pericolo. La brace è molto calda ma conduce male il calore, quindi se si cammina abbastanza velocemente il piede non fa in tempo a scaldarsi così tanto da ustionarsi: è il segreto della pirobazia, l’arte di camminare sui carboni ardenti. Non abbiamo però la più pallida idea di quali siano i margini di sicurezza, ed è molto difficile farne una stima, per due problemi molto diversi.

In primo luogo, per evidenti ragioni, non si può procedere empiricamente per prove ed errori, o per lo meno non abbiamo mai trovato nessuno disposto a continuare a provare dopo il primo errore.
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Firewalk © phil guest da Flickr CC
Volendo procedere in un modo meno cruento, spunta il secondo problema: non siamo capaci di calcolare esattamente a che temperatura arriva il piede. Idealmente vorremmo poter derivare dalle leggi fondamentali della termodinamica una formula con la quale determinare se ci si scotta o no in funzione dei parametri principali, come temperatura della brace, lunghezza della camminata, temperatura ambientale e così via. Vorremmo inserire i valori che ci interessano, premere “invio” e scoprire a che temperatura arriva il piede; se questa non supera un certo valore potremo camminare tranquilli, certi di non scottarci.

Appena cominciamo a rifletterci seriamente, però, ci accorgiamo che la trasmissione del calore tra la brace e il piede è un fenomeno davvero complicato.
Il calore si trasmette alla pianta del piede principalmente per conduzione quando il piede è a contatto con la brace, ma anche per irraggiamento e forse un poco per convezione quando il piede è sollevato ma poco distante dalla superficie incandescente. Però la brace non è per niente uniforme, è parzialmente coperta di cenere più fredda e la pianta del piede è morbida, quindi la superficie di contatto è molto irregolare e cambia nelle varie fasi del passo.
In più, nelle altre fasi del passo il piede probabilmente si raffredda leggermente: un po’ di calore si disperde verso l’aria che lo circonda (la cui temperatura non è certamente uniforme), un altro po’ magari è portato via dalla circolazione del sangue. Quali di questi meccanismi ha effetti importanti e quali sono invece trascurabili? Infine, fino a che temperatura si deve scaldare la pelle perché si formi l’ustione? E quanto profondamente? I diversi strati conducono il calore e sono sensibili ai suoi effetti in modo diverso.

È quindi molto difficile fare un calcolo che, a partire dai principi primi, tenga conto di tutti questi fattori: bisognerà provare a ragionare in un altro modo.
Una possibilità è usare un “modello”. Nel gergo scientifico un modello è un sistema che simula o riproduce alcune delle caratteristiche di un sistema più complicato di cui non riusciamo o non possiamo calcolare esattamente il comportamento.
Un modello è qualcosa di più di una semplice analogia: l’analogia ci permette di ragionare su qualcosa e chiarirci le idee, il modello ci deve permettere di calcolare o misurare effettivamente, anche se in modo approssimato, come si comporterà il sistema che sto studiando.
Un modello può essere un sistema fisico: in farmacologia, per esempio, si usano gli animali come “modelli” per studiare come l’organismo umano reagirà a un farmaco. In altri casi, e sono i più interessanti per questa discussione, il modello è puramente matematico: si cerca di descrivere matematicamente il sistema nel modo più semplice possibile, facendo le necessarie approssimazioni, e si vede se questo riproduce in modo soddisfacente il sistema studiato. In caso negativo, si cerca di migliorare il modello per tenere conto di ulteriori caratteristiche che in prima approssimazione si erano trascurate. È per esempio il caso dei modelli per lo studio del clima, che negli anni sono diventati sempre più complessi e sofisticati per descrivere in modo sempre più accurato (ma comunque sempre necessariamente approssimato) le complicate interazioni tra l’atmosfera, gli oceani, l’irraggiamento solare e così via.

Il caso della pirobazia è un buon esempio: non si può procedere empiricamente per ragioni etiche, esattamente come non si può sperimentare un nuovo farmaco su un essere umano; e non si può calcolare esattamente il comportamento termico perché è troppo complicato, proprio come nel caso dei modelli climatici.
Volendo quindi costruire un modello per descrivere la fisica della pirobazia, entrambe le strade sono possibili.

Potremmo provare a scrivere un modello matematico per descrivere in modo semplificato il comportamento del piede a contatto con la brace, per esempio inizialmente tenendo conto della sola conduzione termica, aggiungendo poi termini alle nostre equazioni fino a raggiungere un’approssimazione soddisfacente.
In alternativa, potremmo costruire una specie di piede artificiale, attrezzato con opportuni sensori, che simuli le caratteristiche rilevanti del comportamento termico e meccanico del piede vero, in modo da poter sperimentare senza rischiare la pelle (dei piedi).
Provando a sviluppare questo esempio (magari lo faremo in una delle prossime puntate) scopriremmo che, sorprendentemente, potrebbe essere molto più facile la seconda opzione, dato che le complessità e le irregolarità del piede e della brace sono così difficili da descrivere matematicamente.

In entrambi i casi, però, il modello che abbiamo costruito avrà dei limiti: funzionerà per esempio solo entro un certo intervallo di temperatura della brace, al di fuori del quale darà risultati inaffidabili. Questa è una caratteristica generale di qualunque modello, matematico o fisico; costruito per descrivere un sistema specifico: non si può generalmente usare per altri scopi. Può capitare che si possa usare un modello, magari modificandolo un po’, per studiare sistemi diversi da quelli per il quale era stato creato, ma in generale va fatto con molta attenzione.

Potremmo per esempio andare incontro a problemi di scala. Una mensola di legno appoggiata su due cavalletti può essere “modellizzata” come un corpo rigido solo se non è troppo lunga, altrimenti il modello fallisce perché la mensola flette sensibilmente al centro; allo stesso modo non si possono usare i modelli che descrivono il clima di una vallata per prevedere quello di un continente. Per ragioni simili (un topo non è identico a un essere umano) qualunque farmaco va provato anche sull’uomo, in condizioni controllate, prima di poter essere immesso in commercio.

In ogni caso, qualunque modello, per quanto utile, è per definizione limitato e imperfetto. Limitato perché costruito per descrivere un particolare fenomeno, e imperfetto perché nel costruirlo abbiamo dovuto usare delle approssimazioni: in fondo, se fossimo stati in grado di tener conto di tutto non sarebbe stato necessario ricorrere a un modello.
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