Umberto Eco e il CICAP: il ricordo di Piero Angela

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Tantissimo è stato detto su Umberto Eco in occasione della sua scomparsa: nessuno però ha parlato del suo impegno con il CICAP.

Aveva accettato di apparire nel nostro Comitato come Membro Onorario, così come avevano fatto altri personaggi molto speciali: Rita Levi-Montalcini, Margherita Hack, Giuliano Toraldo di Francia, Carlo Rubbia, Umberto Veronesi...

Eco non era uno scienziato, ma capiva di scienza molto più di tantissimi intellettuali del suo tempo.

La sua intelligenza, libera da ideologie e credenze, lo portava per natura ad avere una visione scettica nei confronti di tanti miti, misteri e bufale che circolano nel nostro tempo. Il suo senso dell’umorismo faceva il resto.

Nelle occasioni in cui l’ho incontrato, è proprio il senso dell’umorismo la cosa che più ho apprezzato in lui. Spesso certi personaggi celebri e riveriti sono monumentali: quando ci si trova in loro presenza si prova un certo disagio e quasi un senso di inferiorità. Con Eco no. Si sentivano subito una disponibilità e una semplicità innate, la curiosità di mettersi in sintonia con l’interlocutore; ma anche l’abitudine di affrontare gli argomenti andando subito al nocciolo, senza tanti fronzoli. Un atteggiamento, questo, molto anglosassone. O, se preferite, molto piemontese.

C’era anche un altro aspetto, che mi colpiva in Eco: il suo modo eclettico di passare, come è stato detto, dalla semiologia ai fumetti, dalla filosofia a Mike Bongiorno. Tra gli accademici non è cosa frequente compiere salti di questo tipo: non è soltanto fuori dalla tradizione, ma è anche pericoloso, perché in un Paese che apprezza più la seriosità della serietà, può essere considerato non consono con l’immagine professionale.

Solo persone di grande intelligenza e prestigio se lo possono permettere.

In occasione della sua scomparsa si è tornati a parlare molto del suo romanzo Il nome della rosa, e del film che ne è stato tratto, diretto da Jean-Jacques Annaud e interpretato da Sean Connery. Il film era molto bello, ma certamente poteva provocare qualche reazione poco positiva negli ambienti cattolici, per come veniva presentata la vita in quel monastero. Come reagì Eco quando vide il film? Ci fu una primissima visione privata a casa di Franco Cristaldi, il produttore. Cristaldi mi disse che Eco lo commentò con questa battuta: «Questo film è di un anti-clericalismo stalinista!»

Cristaldi impallidì, anche perché il giorno dopo avrebbe presentato, sempre a casa sua, il film a un altissimo esponente democristiano ed era bene che questa battuta non circolasse. Quella sera partecipai alla cena e a quella visione privata; con grande sollievo di Cristaldi, l’alto personaggio (molto intelligente) reagì con eleganza: «C’è molta poesia in questo film...»

L’ultima volta che ho visto Umberto Eco è stata al Festival della Comunicazione di Camogli, nel settembre scorso. Un Festival durato vari giorni, e al quale ha partecipato un gran numero di scrittori, intellettuali, giornalisti, filosofi, tutti affettuosamente felici di rispondere alla sua chiamata.

Eco, con il suo bastone, era attorniato dai suoi familiari e nipoti, e si spostava nelle varie sale per ascoltare i tanti conferenzieri. Nessuno di noi poteva immaginare che sarebbe stato quello l’ultimo omaggio a un uomo che tanto ha dato alla cultura italiana, e che ovunque nel mondo è stato letto e celebrato.

Anche il CICAP vuole ricordarlo e ringraziarlo per l’aiuto che ha voluto darci.
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