La costruzione di un articolo scientifico

img
©Pixabay
Nell’ultimo numero della rubrica avevamo iniziato a scoprire come è fatto un articolo scientifico, occupandoci principalmente di tutte le parti “di servizio” che precedono il testo vero e proprio. In questo numero arriviamo al dunque: il corpo dell’articolo, che descrive in dettaglio quello che era solo suggerito dal titolo e riassunto nell’abstract.

Se ricordate, dicevamo che un articolo scientifico ha tre funzioni: portare la comunità scientifica a conoscenza del risultato di una ricerca, garantirne l’attribuzione agli autori e permettere il controllo e la replicazione dei risultati da parte di altri ricercatori. È soprattutto questo terzo scopo che detta le regole per la costruzione del testo: qui non si tratta tanto di fornire una lettura accattivante, quanto di trasmettere le informazioni rilevanti nel modo più efficiente, anche se chi si trova a leggere spesso articoli scientifici ha imparato ad apprezzare la qualità della scrittura. L’organizzazione del discorso è quindi sempre più o meno la stessa, e di solito si riflette nella suddivisione del testo in sezioni.

In una prima parte introduttiva si spiega come il lavoro descritto si colloca nel quadro generale della ricerca in quel particolare campo. Si fa una piccola rassegna degli studi già pubblicati sull’argomento, avendo cura di elencarli nella bibliografia; si sottolineano le mancanze che ci si propone di colmare; si illustrano eventuali presupposti teorici; infine, si delineano gli scopi che la ricerca si prefiggeva. Al di là dell’utilità pratica di chiarire il contesto, questo serve anche a dichiarare come il lavoro derivi anche dai risultati di altri lavori precedenti (il numero di queste citazioni può servire a stimare l’importanza, o “impatto”, di un particolare articolo: v. "Alto impatto" su Query numero 10).

Nelle sezioni successive si descrivono le tecniche usate con il massimo dettaglio compatibile con lo spazio a disposizione. In casi particolarmente complessi, oppure se l’articolo descrive solo uno dei risultati di un progetto di ricerca che ne prevede molti, la descrizione dettagliata delle tecniche può essere fatta in un articolo separato, e solo riassunta qui. Per esempio, su un grande esperimento di fisica al CERN tipicamente si pubblicano moltissimi articoli, ciascuno con i risultati di misure diverse, e sarebbe ridondante ripetere ogni volta una descrizione del complicatissimo rivelatore usato. In questi casi si può pubblicare separatamente un articolo che descriva gli apparati usati per l’esperimento (esistono riviste apposite, come Nuclear Instruments and Methods) e rimandare a questi per i dettagli negli articoli sui risultati di fisica (che saranno invece pubblicati per esempio sulla Physical Review), eventualmente riprendendo solo gli aspetti più importanti o specifici per quel particolare lavoro.

Quindi si riportano i risultati dello studio, se è il caso anche sotto forma di grafici o immagini, avendo naturalmente cura di documentare, quando necessario, gli errori sulle misure, la significatività statistica dell’esperimento e tutto quello che possa essere utile a valutare il risultato ottenuto. Naturalmente tutto questo cambia un po’ a seconda delle discipline; per esempio, non avrebbe senso parlare di significatività statistica in un articolo che descrive la dimostrazione di un teorema matematico, ma l’idea di base è sempre quella di descrivere il lavoro fatto nel modo più onesto e dettagliato possibile.

Segue, generalmente, una sezione in cui il risultato può essere discusso, mostrando eventuali limiti del metodo usato, mettendolo in relazione con i risultati di altri studi simili, eventualmente suggerendo ulteriori possibili approfondimenti. L’ultima sezione è quella delle conclusioni, che riassume nuovamente i risultati trovati. Nell’esempio che avevamo utilizzato nello scorso numero della rubrica, quello di un articolo su un argomento molto particolare, sono insolitamente sintetiche e sarcastiche:

In sintesi, gli splendenti risultati del nostro studio eclissano un altro mito lunatico.

In questo caso, come spesso succede nelle riviste biomediche, la scansione delle sezioni è fissata: introduzione, metodi, risultati, discussione e conclusioni. In altri casi la suddivisione è meno formalizzata oppure, per articoli più complessi, possono esserci sotto-sezioni, ma la struttura generale dell’articolo è sempre più o meno la stessa.

Seguono due ulteriori brevi sezioni “di servizio”. Nella prima, tipica degli articoli biomedici, gli autori dichiarano eventuali conflitti di interesse. Per esempio, per le ragioni che abbiamo visto in diversi numeri precedenti della rubrica, è interessante sapere che lo stipendio di uno degli autori di uno studio clinico su un farmaco è pagato dalla casa produttrice del farmaco stesso. Nella sezione degli “acknowledgements”, invece, si riportano i ringraziamenti per eventuali contributi al lavoro, per esempio al personale tecnico del laboratorio o a una ditta che ha fornito uno strumento particolarmente importante. Quando la ricerca è finanziata da un ente che richiede poi una rendicontazione dei risultati (il MIUR, l’Unione Europea, una Fondazione,...) lo si segnala in questa sezione.

Infine, i riferimenti bibliografici. Ogni affermazione nell’articolo deve avere una fonte, sempre per permettere ai lettori di controllare tutta la catena che ha portato al risultato. Anche nel caso di un articolo di sole due pagine, la bibliografia prende quasi un terzo di pagina; per evitare di occupare troppo spazio, i riferimenti bibliografici sono in una forma abbreviata e standardizzata. Spesso il titolo è omesso; se gli autori sono numerosi di solito si indica solo il primo, magari con solo l’iniziale del nome proprio, seguito da et al., abbreviazione del latino et alii, “e altri”. Infine, anche il titolo della rivista è abbreviato in una maniera standardizzata e a volte buffa. In questo modo il riferimento[1] si riduce al molto meno perspicuo

Mahner, D. et al. (2009). Clin. Neurol. Neurosurg. 111:352–353

Le convenzioni sul formato della citazione dipendono dalla rivista o dalla casa editrice, e sono la croce e delizia degli autori (e dei revisori di bozze): il titolo va indicato o no? Va prima il numero di pagina o l’anno di pubblicazione? E quest’ultimo dev’essere tra parentesi o preceduto dalla virgola? Si indica solo la prima pagina o tutto l’intervallo? L’iniziale dell’autore va prima o dopo il cognome, e va fatta seguire dal punto? “Et al.” si usa se gli autori sono più di tre o più di quattro? Ogni rivista ha le sue idee su queste fondamentali questioni e le fa rispettare con puntiglio degno di miglior causa. Sopra abbiamo usato un formato diffuso e molto simile a uno dei molti standard chiamato APA, ma avrebbe potuto essere

Mahner D, Maihold F, Gruber A, Schramm W, Impact of the lunar cycle on the incidence of aneurysmal subarachnoid haemorrhage: Myth or reality? Clin Neurol Neurosurg 2009;111:352-3.

che è il formato adottato da Clinical Neurology and Neurosurgery. È da notare la mancanza dei punti a segnalare le abbreviazioni (non è un errore!) e la sottile perversione di indicare solo l’ultima cifra del numero della pagina finale, senza ripetere le cifre che non cambiano: probabilmente le due cifre risparmiate servono a compensare l’enorme sforzo di aver riportato il titolo per esteso, risparmiando al lettore di dover cercare ogni volta per capire di cosa si tratti.

Note

1) D. Mahner, F. Maihold, A. Gruber and W. Schramm “Impact of the Lunar Cycle on the Incidence of Aneurysmal Subarachnoid Haemorrhage: Myth or Reality?” Clinical Neurology and Neurosurgery 111:352–353 (2009)

accessToken: '2206040148.1677ed0.0fda6df7e8ad4d22abe321c59edeb25f',