Tullio De Mauro e l'insegnamento capovolto

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©Tulliodemauro.com
Il 5 gennaio 2017 è scomparso Tullio De Mauro. Nato a Torre Annunziata il 31 marzo 1932, De Mauro è stato un insigne linguista. Professore di Linguistica Generale alla Sapienza di Roma, ha diretto dapprima il Dipartimento di Scienze del Linguaggio nella Facoltà di Lettere e Filosofia e successivamente il Dipartimento di Studi Filologici Linguistici e Letterari nella Facoltà di Scienze Umanistiche del medesimo ateneo.

De Mauro ha fornito importantissimi contributi nell’ambito del suo specifico settore disciplinare. Ma, soprattutto, ha sempre prestato una particolare attenzione all’analisi del livello culturale della popolazione italiana, denunciando ripetutamente il pericoloso diffondersi del fenomeno dell’analfabetismo funzionale. Per questo motivo egli ha sempre ritenuto fondamentale il ruolo della scuola, di cui si è costantemente occupato nel corso della sua carriera. In tale ambito ha anche ricoperto incarichi istituzionali e dal 26 aprile 2000 all’11 giugno 2001 è stato ministro della pubblica istruzione nel Governo Amato II.

Notevole eccezione nel poco edificante panorama italiano, De Mauro è stato uno dei pochi intellettuali e politici che si è occupato di scuola, sapendo di cosa si stesse parlando. Nei suoi oramai memorabili interventi sul settimanale Internazionale (cui spesso abbiamo fatto riferimento anche nella presente rubrica), De Mauro ha sempre dimostrato una grande competenza in fatto di problematiche scolastiche, accompagnata da una costante attenzione all’evoluzione dei tempi e della società. E ha spesso proposto interessanti e innovative possibili soluzioni.

Una singolare idea che De Mauro ha in diverse occasioni difeso e che ha contribuito a diffondere nel nostro Paese è quella della cosiddetta “classe capovolta”.

Come scrisse lo stesso De Mauro:

«In molti paesi una sacra trinità ha presieduto da secoli alla vita della scuola: 1) silente ascolto in classe della lezione dell’insegnante che tra cattedra e lavagna racconta quel che nel libro è già scritto; 2) a casa studio (del libro) ed esercizi di applicazione dello studio; 3) di nuovo in classe, interrogazioni “alla cattedra” per verificare lo studio del libro»[1].

Il concetto di classe capovolta (flipped classroom) scardina questa “sacra trinità”. I primi tentativi in tal senso vennero effettuati, negli anni novanta, da Eric Mazur, professore di fisica presso l’Università di Harvard. Nell’ambito dell’insegnamento secondario di secondo grado, fu invece pioniere la Khan Academy, organizzazione educativa americana senza scopo di lucro. Tuttavia la paternità di questo innovativo sistema didattico viene solitamente attribuita a Jonathan Bergmann e Aaron Sams, insegnanti di chimica in una scuola del Colorado.

L’idea della classe capovolta nasce dalla constatazione dei profondi mutamenti che la società ha subito negli ultimi decenni e ai quali ha contribuito in maniera determinante l’avvento delle nuove tecnologie informatiche. Mentre in passato la scuola era la principale fonte di conoscenza e informazione, oggi i giovani possono disporre di moltissimi altri canali di apprendimento. Il web, se correttamente usato, consente ad esempio a chiunque di ottenere rapidamente informazioni su qualsiasi argomento. Perché allora non sfruttare efficacemente questi canali a fini didattici? Nell’insegnamento capovolto si cerca innanzi tutto di stimolare la curiosità dei ragazzi nei confronti di determinati argomenti. Questo è fondamentale per attivare la componente emotiva senza la quale ogni apprendimento risulta difficile. Le nozioni calate dall’alto, infatti, hanno ben poca presa sui discenti, mancando da parte loro la motivazione all’apprendimento. Successivamente si invitano i ragazzi a un lavoro di tipo individuale o di gruppo che consiste nel ricercare informazioni e conoscenze su quel determinato argomento, sfruttando le opportunità che le nuove tecnologie offrono. Questo lavoro può essere condotto in classe, ma soprattutto a casa, rappresentando una valida alternativa ai tradizionali compiti assegnati ai ragazzi e spesso subìti contro voglia[2]. Infine vi è una fase di rielaborazione e di valutazione di quanto raccolto dai ragazzi. Si tratta di un’attività collettiva che deve coinvolgere l’intera classe, in un confronto tra pari che preveda discussioni, critiche, successivi aggiustamenti e ulteriori approfondimenti.

In questo innovativo processo didattico il ruolo dell’insegnante risulta profondamente modificato. Non è più un ruolo di semplice trasmettitore della conoscenza. Al contrario l’insegnante deve svolgere il compito di tutor, di guida, di consulente che stimola le capacità dei ragazzi, indirizzandole e correggendole opportunamente. Il ruolo dell’insegnante deve anche manifestarsi nella selezione (ed eventualmente nella produzione) dei contenuti da cui i ragazzi devono trarre informazioni. Come dichiarò lo stesso De Mauro:

«La classe capovolta chiede all’insegnante di essere in grado di produrre materiale efficace, altrimenti i ragazzi diranno chiaramente che non funziona. Insomma deve fare uno sforzo di elaborazione. Oppure, altra soluzione, deve scegliere nella rete dei materiali che siano adatti alla lezione su un qualche argomento che ha in programma di affrontare. Quindi un insegnante che deve salire un gradino nei livelli di preparazione. E questo è un primo aspetto interessante a mio avviso. Una sorta di aggiornamento continuo sul servizio che viene a prodursi»[3].

Gli altri possibili vantaggi della classe capovolta sono stati ben sintetizzati dallo stesso De Mauro:

«Il secondo aspetto interessante è che i ragazzi vedono, ascoltano, leggono il materiale in internet il giorno prima della lezione e il giorno dopo non è necessario che l’insegnante spieghi e ripeta l’argomento. Ma il lavoro si svolge attraverso la discussione sulle difficoltà che possono avere trovato o non trovato nella lettura e nell’ascolto del materiale del giorno precedente. Questo apre le porte a un’interazione tra il maestro ed i singoli allievi. Quindi apre le porte non solo al lavoro di gruppo orale ma al lavoro di scrittura nell’ora della lezione, cosa che non si fa mai. Anche perché in questo modo si risparmia molto tempo che viene tradizionalmente sprecato per l’interrogazione dell’insegnante ad un singolo allievo, mentre gli altri giocano a battaglia navale! La pratica della scrittura continua, non una volta ogni due mesi per il tema ma per scrivere ogni giorno quello che si acquisisce e si apprende. Di fatto si sta espandendo anche in Italia il numero di insegnanti interessati alla cosa»[4].

Nel nostro paese l’insegnamento capovolto non è ancora molto diffuso, anche se non mancano interessanti esperimenti. I pionieri in questo campo sono stati il professor Graziano Cecchinato dell’Università di Padova e il professor Giovanni Bonaiuti, dell’Università di Cagliari[5]. L’Associazione Docenti e Dirigenti scolastici Italiani ha cercato di pubblicizzare questa pratica didattica con il seminario “Il fascino indiscreto dell’innovazione”, tenuto a Lecce dal 29 agosto al 1 settembre 2012[6]. Nel 2014 è nata inoltre l’associazione degli insegnanti che praticano la didattica capovolta, chiamata FLIPNET[7]. Anche SuperQuark, nella puntata del 13 agosto 2015, dedicò un servizio alla didattica capovolta, intervistando anche alcuni docenti che la praticano[8].

Note

1) T. De Mauro, “La scuola capovolta”, Internazionale, 22 novembre 2012: https://tinyurl.com/hbschjf
2) Si veda: S. Fuso, “Compiti sì, compiti no”, Query n. 20, inverno 2014: https://tinyurl.com/gwft75f
3) E. Cappello, “Intervista inedita a Tullio De Mauro: un ultimo saluto al più grande linguista italiano”, Dolce vita, 6 gennaio 2017: https://tinyurl.com/gtew2py
4) Ibidem.
6) Gli atti del seminario sono disponibili qui: https://tinyurl.com/h4skxwz . Si veda anche: https://tinyurl.com/zm5x5fm
7) Si veda il sito: http://flipnet.it/
8) Si veda la registrazione del servizio di SuperQuark a questo indirizzo: https://tinyurl.com/z9wj92u .

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