I sepolti vivi di Gdynia

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  • 02-08-2017
  • di Paola Dassori
Nel giugno del 1951 una notizia eccezionale si diffuse dalla Polonia in tutto il mondo: nella città di Gdynia, durante lo sgombero delle macerie di un edificio crollato in un bombardamento, due uomini erano usciti dalle viscere della terra dopo sei anni trascorsi in un bunker. Uno dei due era subito morto per un attacco cardiaco, mentre l’altro era ricoverato all’ospedale “Akademii” di Danzica.

La notizia era stata raccolta da Ormonde Godfrey, corrispondente dell’Associated Press a Varsavia, e segnalata alla stampa. Godfrey aveva attinto da informatori locali tutti i particolari della terribile e commovente vicenda. La tragedia della ritirata tedesca, un gruppo di sei soldati tedeschi che spinto dalla fame era andato a cercare provviste nel deposito di un bunker, il crollo dell’edificio che aveva bloccato ogni accesso; due dei sei sepolti vivi, presi dalla disperazione, erano impazziti e si erano suicidati, i quattro superstiti avevano cercato di organizzarsi attingendo dalle riserve di viveri, di vino e di candele ammassate nel bunker. Due di loro erano in seguito morti ed erano stati sepolti sotto cumuli di farina, gli ultimi due, dopo l’esaurirsi delle candele, erano vissuti nel buio assoluto finché i lavori di sterro degli operai polacchi non li avevano liberati.

Per incredibile che potesse apparire la storia, la notizia ebbe un larghissimo credito in tutto il mondo. I giornali riferirono che l’aria filtrava sottoterra attraverso condotti resistenti, e che la temperatura veniva mantenuta costante per la natura sabbiosa del terreno su cui sorgeva la costruzione.

Chi era l’unico redivivo? Di lui i giornali avevano detto soltanto che aveva trentadue anni, era alto un metro e ottanta ed era originario di Berlino. I corrispondenti esteri avevano cercato di intervistarlo, fotografarlo, ma l’ospedale aveva opposto un netto rifiuto, e pertanto qualcuno cominciò a chiedersi se la cosa fosse successa davvero.

Intervenne quindi un settimanale londinese, il Reynolds News, con rivelazioni esplosive. La storia ricalcava tutti i particolari di un articolo apparso nell’aprile del 1931 su di una rivista berlinese; a parte il fatto che nel 1931 il soldato era russo e non tedesco, le circostanze erano praticamente identiche.

All’epoca erano in corso lavori di sterro per ristrutturare la fortezza di Ossowietz, quando dalle macerie emerse un uomo in condizioni spaventose. Era un soldato russo che da nove anni era sepolto in un deposito sotterraneo di viveri, dove era sceso per rifornirsi; il brillamento di una mina aveva fatto crollare una parte della fortezza bloccandolo sottoterra. L’uomo era sopravvissuto grazie ai viveri conservati nel deposito e da anni ormai viveva nel buio assoluto dato che la scorta di candele era terminata. Quando apparve agli sterratori il russo aveva un aspetto terribile: aveva i capelli e la barba lunghissimi, sembrava vecchio, e i suoi occhi non tolleravano i raggi del sole. Lunghe e difficili cure gli avevano ridato in seguito la vista, e le autorità polacche lo avevano rinviato ai suoi familiari in un villaggio sul Don.

Come si vede, le differenze tra le due storie erano poche; nel 1951, si trattava di sei soldati anziché uno, ma il resto era identico. Il Reynolds News sosteneva che si trattasse semplicemente di un mito che si era diffuso a partire da un evento realmente accaduto; la stampa polacca, dal canto suo, non reagì alle rivelazioni del settimanale inglese, semplicemente le notizie sul redivivo si fecero sempre più vaghe e scarse, finché non fu annunciata la sua morte senza altri particolari.

La storia ebbe però conseguenze rilevanti in Germania, dove tante famiglie aspettavano da anni un marito o un figlio dato per disperso durante il conflitto. In particolare, una parrucchiera di Berlino, Frau Lafeld, si convinse che si trattasse di suo figlio Werner, geniere della Wehrmacht e disperso durante la ritirata tedesca del 1945 nel settore Gdynia-Danzica. Secondo i giornali il redivivo aveva 32 anni, l’età che avrebbe avuto suo figlio; era di Berlino, dove era nato Werner. Il ritrovamento era avvenuto a Gdynia, e il giovane le aveva scritto l’ultima lettera il 2 febbraio 1945 da Gotenhafen, che era il nome tedesco di Gdynia.

Un controllo presso la Croce Rossa Internazionale a Ginevra segnalò l’esistenza di un solo Werner Lafeld tra i dieci milioni di tedeschi dati per dispersi o fatti prigionieri dagli Alleati durante le ultime fasi della guerra, che risultava catturato dai francesi nel settembre del 1944 e trattenuto in un campo di concentramento fino alla fine del conflitto, cosa che però contrastava con la data della lettera di Werner... insomma, un vero rompicapo che pian piano cadde nel dimenticatoio.

Così, un articolo scritto da qualcuno che aveva letto una storia di vent’anni prima e l’aveva diffusa cambiandone soltanto qualche particolare, alimentò inutili speranze in tante famiglie già duramente colpite.

La storia dei sopravvissuti di Gdynia ispirò probabilmente il romanzo Le Blockhaus dello scrittore francese Jean-Paul Clébert, da cui fu tratto nel 1973 un film con Peter Sellers, intitolato Il Bunker.

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