Il mio lungo viaggio, Le piramidi le ha costruite Bigfoot, I poteri della mente, L'ordine del tempo, Antichi astronauti


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Il mio lungo viaggio
Piero Angela
Mondadori editore, 2017
pp. 224, € 16,15


recensione di Sonia Ciampoli

La prima volta che si vede questo volume, a colpire è subito il primissimo piano di quel sorriso lieve, un po’ sghembo e un po’ sardonico, che tutti riconosciamo come uno dei marchi di fabbrica del più grande divulgatore scientifico italiano. E poi quel titolo, che evoca così volutamente i grandi successi televisivi ed editoriali del passato, dal Viaggio nel cosmo al Viaggio nel corpo umano a quello nella scienza o nella storia. Insomma, una sola copertina e già la storia ha cominciato a raccontarsi da sé.
Il contenuto, ovviamente, non delude: finalmente Piero Angela decide di regalare ai suoi ammiratori uno spaccato sulla vita di quel conduttore così amato, così familiare, di cui però non si è mai saputo tantissimo, schivo come è sempre stato e attento a non mescolare immagine pubblica con vita privata. La storia comincia proprio dall’inizio, nella Torino di fine anni ’20, e si dipana attraverso tutte quelle rivoluzioni storiche nelle quali il nostro si è trovato a vivere: i morsi della fame durante la guerra, la paura, lo sfollamento nella clinica dove suo padre nascose e salvò decine di ebrei, il dopoguerra a Parigi, l’avvento della televisione, i tg e le prime dirette, poi la Rai divisa in tre, la tv commerciale e l’immensa rivoluzione tecnologica di questi ultimi due decenni.
Piero Angela racconta la sua vita con quello stile piano, avvincente e lieve che ritroviamo in tutti i suoi libri; raramente cede alla vanità (anche quando ne avrebbe ben donde) e approfitta invece di questa occasione per rendere omaggio a quanti l’hanno accompagnato lungo la strada, con ringraziamenti e riconoscimenti per tecnici, registi, autori, collaboratori… Le poche parole dedicate alla moglie, che sposò nell’arco di qualche mese dopo averla conosciuta, in un colpo di cuore che ci rende ancora più caro il vate della razionalità, così come quelle che usa per descrivere sua figlia, e la moglie di Alberto, sono toccanti nella limpidezza di sentimento che ne emerge; ma altrettanto emozionanti sono quelle che riserva alla storia del CICAP, che provocano un moto d’orgoglio in chiunque graviti nell’universo del Comitato.
Angela non approfitta di questa occasione per togliersi qualche sassolino dalla scarpa, anzi, in almeno un paio di casi tende a rimanere piuttosto vago invece di rivelare richieste inaccettabili o pretese di compromessi politici. Al contrario, sceglie in queste pagine di riassumere tutta la propria eredità, morale e culturale prima ancora che scientifica e divulgativa, ribadendo costantemente l’importanza di spostare l’attenzione politica sulla scuola pubblica, sulla necessità di cominciare a pensare a una filosofia della tecnologia che ci metta veramente in condizione di usarla, su come sia necessario continuare a comunicare la scienza in una maniera che la renda fruibile a tutti.
Se un difetto vogliamo trovare, in questa autobiografia, è che è veramente troppo breve: dai 90 anni di un uomo simile vorremmo almeno il triplo degli aneddoti, dei retroscena, dei trucchi tecnici, delle strizzate d’occhio. Ma ce n’è comunque abbastanza per confermarci quello che sapevamo già: Piero Angela non è solo il nonno che tutti vorremmo avere, è anche un uomo dalla vita e dall’umiltà estrema. E noi del CICAP ne siamo doppiamente orgogliosi.

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Le piramidi le ha costruite Bigfoot!
Claudio Casonato
La Torretta edizioni, 2016
pp. 158, € 14,00


recensione di Luca Menichelli

Non c’è nulla di più vasto di ciò che ruota intorno al mondo della pseudoscienza, che, come un pianeta, attrae orbitanti intorno: ufo, profezie, fenomeni paranormali, superstizioni mascherate da religione e chi più ne ha più ne metta. Come capita spesso di dover riscontrare, negli scaffali delle librerie i testi che trattano di materie pseudoscientifiche pullulano, intasando ogni ripiano, e duole un po’ constatare che si tratta di libri molto richiesti. Gli autori nascono come funghi nel sottobosco e mascherano le loro credenziali con fantomatiche qualifiche acquisite sul campo, che fanno presa sul pubblico dei lettori. Anche quando si tratta di qualifiche tutt’altro che sensate, come nell’improbabile caso del terapista quantistico emozionale. È difficile trovare buoni libri che tendano a “sbufalare” con rigore queste affermazioni pseudoscientifiche e chi ha la fortuna di trovarne qualcuno non ha certo l’imbarazzo della scelta perché si contano sulle dita di una mano.
Tutto è nato, come afferma l’autore, da «un esperimento narcisistico per mettere su carta le mie elucubrazioni letterarie». Claudio Casonato, appassionato di indagine critica sui fenomeni paranormali e la pseudoscienza, socio CICAP di lunga data, aveva inizialmente deciso di mettere su carta quello che scriveva nel suo blog. La cosa ha preso piede e quello che era un semplice esperimento si è trasformato in un libro gradevole e ben scritto che analizza, in maniera dettagliata, vari fenomeni legati alla pseudoscienza. Dagli alieni ai cerchi nel grano, dalle piramidi alle scie chimiche fino a parlare di fantasmi e paranormale religioso. Già dal titolo si evince che il linguaggio tende all’ironia, ove necessario, ma non si deve pensare che si tratti di un testo frivolo e di poco spessore. Anzi, è proprio grazie a questo linguaggio amichevole e alla portata di tutti che Claudio Casonato riesce a guidare il lettore in un mondo affascinante, spiegando i presupposti che portano a credere e non credere ai vari fenomeni. Il libro è rivolto a tutti coloro che – scettici o meno – abbiano voglia di approfondire tematiche a volte scomode, ma raramente affrontate in maniera critica. Potrebbe rappresentare anche un buon testo di affiancamento ai progetti scolastici, per insegnare agli studenti che, facendo leva sul senso critico e lo spirito di ricerca, la scienza può essere più affascinante dei fenomeni misteriosi, che sono appannaggio di santoni e pseudoscienziati. Dopo la lettura sarà più facile comprendere come sia agevole districarsi nel mondo della pseudoscienza avendo gli strumenti giusti, scoprendo forse che, tra le varie teorie che infestano la rete... quella del Bigfoot che ha costruito le piramidi potrebbe essere la più plausibile!

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I poteri della mente. Realtà o illusione?
Massimo Polidoro
Mondadori, 2017
pp. 263, € 9,90


recensione di Anna Rita Longo

Il telefono di quella stazione radio di Phoenix, Arizona, iniziò a squillare già cinque minuti dopo l’inizio del programma. Al pubblico era stata annunciata la presenza di un potentissimo sensitivo che avrebbe fatto sì che accadessero episodi paranormali nelle case degli ascoltatori. E, in effetti, sembrava proprio che l’oscuro fluido propagato attraverso le onde radio stesse facendo effetto: in una casa il televisore si era acceso da solo, in un’altra era caduto un quadro, in un’altra ancora il gatto si comportava in modo strano e altrove erano accaduti altri fatti anomali… Strano, perché il sedicente sensitivo era, in realtà, Massimo Polidoro, notissimo esploratore dell’insolito oltre che segretario nazionale del CICAP. L’episodio, che si può ritrovare in quest’ultimo libro, offre un ottimo esempio dei “poteri della mente” cui allude il titolo. È questa, infatti, l’origine comune di tutti i fenomeni paranormali: la nostra mente.
Ma la responsabilità non è, come vorrebbero i parapsicologi, di oscure forze che ancora si sottraggono all’analisi razionale della scienza, bensì risiede nel profondo bisogno di credere che molti avvertono e che li porta ad attribuire un’origine paranormale a fenomeni spiegabili senza scomodare misteriose entità. Nel parlare di questa predisposizione all’irrazionale, Massimo Polidoro non rinuncia al debunking anche del mito della supposta universalità del pensiero magico, che è diffuso ma non riguarda tutti. Ne esamina, quindi, le diverse componenti, facendo riferimento alle conclusioni dei più recenti studi scientifici.
Con questo saggio l’autore ha sortito il duplice risultato di soddisfare sia il neofita della letteratura scettica sul mistero sia il suo lettore più affezionato. Il primo si troverà, infatti, di fronte a un’opera in sé conchiusa, che affronta l’analisi critica dei presunti fenomeni paranormali da tutti i punti di vista, mettendo in luce meccanismi psicologici e legami con la prestidigitazione, elementi di fisica, biologia, teoria dell’evoluzione, antropologia... Nulla viene dato per scontato, ma ogni argomento è illustrato in modo chiaro e senza pedanteria, partendo da casi esemplari utili per rendere il discorso più concreto e tirando le somme in modo schematico al termine di ogni unità. Il secondo apprezzerà particolarmente il fatto che i casi più noti si alternino a figure ed episodi meno conosciuti, che non di rado fanno riferimento a indagini svolte in prima persona dai volontari del CICAP.
L’immagine d’insieme è quella di un lavoro molto ricco, un prezioso bagaglio di esempi e nozioni che, però, si legge senza sforzo perché tutto viene mediato dalla narrazione.
Il Polidoro romanziere ha lasciato, così, la sua chiara impronta anche in un testo che in teoria esula dall’ambito narrativo. Ma vi troverà pane per i propri denti anche chi desidera approfondire la tecnica dell’indagine critica di un fenomeno apparentemente inspiegabile: oltre a una sintesi delle “regole del mestiere”, tratta dall’esperienza dell’autore e di altri celebri debunker, gli si offriranno anche ottimi modelli ai quali ispirarsi.

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L’ordine del tempo
Carlo Rovelli
Adelphi, 2017
pp. 207, € 14


recensione di Renato Serafin

Riprendendo uno dei suoi libri precedenti, La realtà non è come ci appare, (si veda Query n. 21), l’autore esplora le diverse concezioni del tempo, attraverso la storia e le più recenti congetture che sembrano emergere dalla “gravità quantistica a loop” (LQG = Loop Quantum Gravity), quel particolare approccio alla gravità quantistica (la disciplina che cerca di trovare una sintesi tra la relatività generale di Einstein e la meccanica quantistica), che è il campo di ricerca specifico di Rovelli.
La Terra non è piatta come ci appare, ma è una sfera; il Sole non gira intorno alla Terra come ci appare; anche i concetti di passato, presente e futuro, ci ricorda Rovelli, non sono nella realtà fisica come ci appaiono.
Einstein aveva compreso che il tempo è rallentato dalla velocità (teoria della relatività ristretta) e dalle masse (teoria della relatività generale). Se ci sono due gemelli, uno dei quali rimane fermo mentre l’altro si muove per poi tornare dall’altro gemello, quello che si muove invecchia meno di quello che sta fermo. Se un gemello vive in montagna e l’altro al mare, quello che vive al mare invecchia di meno perché la gravità al mare è più forte della gravità in montagna e di conseguenza il tempo scorre più lentamente al mare che in montagna. Quindi ogni evento è caratterizzato da un suo orologio locale che va alla sua specifica velocità; il “tempo proprio” dipende dalla vicinanza o meno di masse e dalla velocità a cui ci muoviamo: non esiste più un tempo assoluto. Ma anche il concetto usuale di “adesso”, quello che noi chiamiamo “presente”, non esiste.
Nella nostra esistenza pensiamo al tempo come composto dal passato (la nostra memoria), presente (quello che ci accade ora) e futuro (quello che ci crea speranze ma anche ansie), nel contesto di un fluire regolare e costante, dove il presente è quell’attimo che separa il passato dal futuro. Ma la realtà non è come ci appare. La struttura temporale del mondo è assai diversa dalla visione ingenua che ne abbiamo. Abbiamo già osservato che gli orologi vanno a ritmi diversi, ma un altro aspetto rilevante del tempo è che dobbiamo rivedere anche il concetto di presente, come elemento separatore istantaneo tra passato e futuro. Il presente in fisica non è più un istante, ma un intervallo di tempo che comprende tutti gli eventi che non sono né passati né futuri rispetto a noi e che Rovelli chiama «presente esteso».
Perché non ci accorgiamo del presente esteso? Perché siamo abituati a piccole distanze, mentre il “presente esteso” si manifesta nei confronti di eventi lontani tra di loro.
Così lo descrive Rovelli: «Il nostro presente non si estende a tutto l’universo. È come una bolla vicino a noi. Quanto è estesa questa bolla? Dipende dalla precisione con cui determiniamo il tempo. Se è di nanosecondi il presente è definito solo per pochi metri, se è di millisecondi il presente è definito per chilometri. Noi umani distinguiamo a malapena i decimi di secondo e possiamo tranquillamente considerare l’intero pianeta Terra come un’unica bolla, dove parliamo del presente come un istante comune a tutti noi. Non più in là».
Quindi tra il nostro passato (le cose avvenute senz’altro prima) e il nostro futuro (le cose avvenute senz’altro dopo) c’è un intervallo che non è né passato né futuro, la cui ampiezza dipende dalla separazione spaziale: 15 minuti per il pianeta Marte, 8 anni per Proxima b, un pianeta scoperto di recente nell’agosto 2016 che si trova a circa 4 anni luce dalla Terra, milioni di anni per la galassia di Andromeda. Tutto questo dipende dal fatto che nulla può essere più veloce della luce e quindi nessuna informazione può essere trasferita tra due oggetti a una velocità superiore a quella della luce. Se gli oggetti sono vicini, questo ritardo è trascurabile e non avvertibile, ma se gli oggetti sono lontani questo ritardo diventa significativo e non può essere trascurato. C’è un’altra dimensione del tempo che è stata oggetto di approfondimento nella fisica. Le equazioni elementari che governano gli eventi del mondo non distinguono tra il passato e il futuro: sono leggi perfettamente simmetriche, che funzionano in entrambe le direzioni, sono leggi completamente reversibili. Ma c’è poi il secondo principio della termodinamica che dice che l’entropia dell’universo non può che aumentare, introducendo quindi un processo irreversibile, in cui “il futuro è diverso dal passato”. Un bicchiere che si rompe è un fenomeno macroscopico irreversibile che fa aumentare l’entropia, ma le particelle elementari che hanno partecipato a questo evento sono soggette a leggi completamente reversibili. Come si conciliano questi due aspetti del mondo?
Quanto descritto sopra – gli orologi che vanno a diverse velocità, influenzati dalla velocità e dalle masse, il concetto di presente esteso, la relazione tra entropia e direzione del tempo – è solidamente accertato e condiviso dalla comunità scientifica, anche perché verificato sperimentalmente negli ultimi 100 anni. Esistono poi delle congetture nel campo della gravità quantistica su cui si sta lavorando, supportate, per ora, solo da argomenti teorici ma prive di evidenze sperimentali.
Una congettura condivisa, ci dice Rovelli, è che il campo gravitazionale abbia proprietà quantistiche; esisterebbe una scala minima per tutti i fenomeni, a cui non sfuggirebbero né il tempo né lo spazio. La quantizzazione del tempo significa che il tempo – a scale molto piccole, intorno a valori della scala di 10**(-44), per chi può apprezzare questa quantità – prende solo dei valori discreti speciali, in altre parole esisterebbe un intervallo minimo di tempo; la percezione intuitiva che abbiamo del tempo continuo dipenderebbe solo dalla nostra visione “sfocata” del tempo che non ci consente di vedere i suoi più minuti dettagli. Analogamente lo spazio sarebbe quantizzato a scale molto piccole, dell’ordine di grandezza di circa 10**(-33) centimetri. Anche qui la nostra percezione di uno spazio continuo dipende solo dalla nostra visione “sfocata” (a grana grossa) dello spazio, che non ci consente di vedere i dettagli più minuti. Trattando in quest’ultima parte delle più recenti congetture relative alla LQG, Rovelli non può che aggiungere quanto segue: «Sono certo che questa sia la giusta descrizione del mondo? Non lo sono ma è l’unico modo coerente e completo che oggi conosco per pensare lo spazio-tempo senza trascurare le proprietà quantistiche».
Poiché il tempo fisico risulta essere così diverso dal tempo percepito da noi umani, il libro si conclude con un doveroso e utile tentativo di riconciliare la visione della fisica con la nostra visione emotiva; questa bella parte finale del libro sconfina, quindi, in riflessioni di carattere filosofico, non potendo mancare qualche considerazione su come gli esseri umani affrontano il pensiero della morte, inesorabilmente legato al loro futuro.

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Il mistero degli antichi astronauti
Marco Ciardi
Carocci editore, 2017
pp. 220, € 19,00


recensione di Elisa Frei

Professore associato di Storia della scienza e delle tecniche presso l’Università di Bologna, Ciardi si occupa in questo volume della “teoria degli antichi astronauti”, entità extraterrestri che in epoche passate avrebbero raggiunto la Terra, lasciando tracce di sé sotto forma di eredità culturali o monumenti o “oggetti” apparentemente inspiegabili (OOPART, “out of place artifacts”). Ma si tratta solo di una teoria, o la Terra un tempo godette davvero di visite da parte di alieni intelligentissimi e scientificamente progrediti? Ciardi indaga sulla documentazione che potrebbe avvalorare questa teoria, giungendo però alla conclusione che la maggior parte di essa proviene… dalla letteratura.
Gli esseri umani hanno da sempre subito la fascinazione dell’universo, della sua infinitezza e dei misteri che racchiude, partendo dalla vicina Luna (pensiamo alle opere di Jules Verne o H. G. Wells) e giungendo fino ai pianeti vicini e lontani, anzitutto Marte (Voltaire, Edgar Allan Poe). Quando nel 1938 Orson Welles trasmise alla radio la notizia dello sbarco dei marziani sulla Terra (adattando il romanzo di Wells) gettò nel panico gli ascoltatori, convinti che si trattasse di una comunicazione veridica.
Ciardi si occupa soprattutto degli ultimi due secoli perché, dall’Ottocento in poi, lo sviluppo delle scienze permise di pensare in termini nuovi all’esistenza di entità extraterrestri e alla possibilità di comunicare con loro. Nikola Tesla, nel 1901, si dichiarò convinto di aver captato col suo telegrafo senza fili i segnali di alieni nello spazio; Einstein, dal canto suo, proclamava che era molto probabile che esistessero altre forme di vita nei pianeti vicini alla Terra. Notizie come queste accendevano immediatamente l’animo degli scrittori, e, del resto, comunicare con alieni o spiriti (cosa che all’epoca la Società teosofica di madame Blavatsky e altri sostenevano di fare) non doveva poi essere così diverso.
Da queste suggestioni, celebri autori dell’epoca (Jules Verne, Lev Tolstoj, Jack London) trassero romanzi molto noti, ma essi vanno apprezzati come opere di fantasia, senza confonderli con quella che è la realtà dei fatti. Howard Lovecraft creò un proprio mondo immaginario con relativa mitologia: nelle sue opere teorizzava che in un lontano passato fossero giunti gli abitanti di altri pianeti sulla Terra, dominandola e lasciando agli esseri umani tracce di sé in culti e opere sapienziali come il Necronomicon. Lo scrittore era appassionato di occulto ed esoterismo e vi attinse a piene mani, mantenendo però sempre uno scetticismo e materialismo di base e documentandosi sulle più aggiornate teorie scientifiche (ad esempio, la deriva dei continenti, all’epoca ancora in discussione). I suoi emulatori, che sorsero a decine, non fecero altrettanto e ampliarono questa mitologia con elementi sempre più improbabili e spesso spacciati per veri.
Una svolta nella teoria degli antichi astronauti si ebbe negli anni Cinquanta, quando negli Stati Uniti cominciarono a essere documentati sempre più avvistamenti di UFO (“oggetti volanti non identificati”). In Italia la “science fiction” venne importata e ribattezzata “fantascienza” da Giorgio Monicelli, che dal 1952 curò la celeberrima collana de “I romanzi di Urania”, dove il soggetto veniva trattato nei modi più disparati. Anche in Italia molti scrittori si dedicarono al genere, con risultati di varia qualità (Peter Kolosimo trattò il tema degli antichi astronauti, ma sempre lasciando scetticamente aperta la porta del dubbio).
Ciardi nota nelle ultime pagine del suo libro, con una certa amarezza, che a partire dalla seconda metà del Novecento Erich Von Däniken e altri autori di dubbia onestà intellettuale spacciarono per teorie scientifiche quelle che erano mere rielaborazioni di materiale preesistente e senza alcun fondamento razionale. Paradossalmente, simili operazioni commerciali non solo suscitano tuttora grande successo editoriale ma convincono parte del pubblico che esista un complotto da parte della comunità scientifica per nascondere queste “verità scomode”. In realtà, la scienza moderna non ha dogmi e ogni sua teoria si basa sulla presentazione di prove: teorie audaci e fantascientifiche come quella degli antichi astronauti non sono accettate non perché qualcuno dall’alto voglia boicottarle… ma semplicemente perché non reggono al vaglio della ragione.
Ciardi conclude il volume con una nota rivolta agli studiosi: una delle ragioni dello scarso interesse di parte dell’opinione pubblica per la scienza (e della tendenza a preferire la pseudoscienza) è imputabile anche a loro. Spesso gli accademici non si impegnano a divulgare e rendere appetibili i risultati dei propri studi a un contesto più ampio di quello specialistico. Ciardi dimostra ancora una volta di non cadere vittima di questo errore, dando alle stampe un libro davvero interessante e leggibile da chiunque.
accessToken: '2206040148.1677ed0.0fda6df7e8ad4d22abe321c59edeb25f',