La tragica storia delle trote pelose

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  • 04-06-2018
  • di Lisa Signorile
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Vecchia cartolina raffigurante una trota impellicciata ©www.paleogreetings.com
I primi resoconti sull’esistenza dell’enigmatica “trota impellicciata” risalgono alla mitologia islandese. Il Lodsilungur (che significa “trota arruffata”) è un pesce aberrante creato da demoni e giganti per punire gli umani e le cui scaglie sono sostituite da pelo. La trota si troverebbe infatti a volte in grandi quantità nei fiumi e nei laghi islandesi e sarebbe così tossica da non essere consumata neanche da cani o rapaci. Un resoconto di seconda mano di un avvistamento di questa trota pelosa islandese ci viene da un articolo sulla Scottish Review del 1900[1]. L’autore, Olaf Davidsson, riporta di una illustrazione apparsa sul giornale locale Nordri nel 1855, a seguito del rinvenimento di un esemplare sulla costa del lago Svinavatn, nel nord dell’Islanda. Secondo Davidsson l’illustrazione ritraeva una trota perfettamente normale, salvo che per dei peli rossicci sulla mandibola inferiore e sul collo, come una specie di barba, su alcune zone del corpo e sulle pinne. Lo scrittore islandese Sjón racconta[2] di far risalire la sua passione per il surrealismo alla sua giovanile ossessione per le trote pelose. La versione del folklore locale che ci racconta, da lui appresa a nove anni (con relativi traumi infantili annessi, si suppone), è inquietante. A sentir lui, le trote pelose nuotano insieme alle altre e se un uomo accidentalmente ne pescasse una e ne mangiasse le carni rimarrebbe incinto. Dopo nove mesi, non vi è altra scelta, dice il folklore islandese, che stendere l’uomo su un tavolo, aprirgli le gambe e incidere lo scroto, quindi da lì entrare ed estrarre il bambino. Ecco spiegata la preferenza degli islandesi per il Kæstur hákarl, la carne di squalo marinata con la pipì per mesi: sempre meglio così che correre il rischio che sia pelosa.

Il secondo riferimento noto alla mitologica trota impellicciata ci giunge da una lettera scritta da un immigrante scozzese in Canada nel XVII secolo. L’uomo, le cui generalità restano ignote, scrisse ai suoi parenti che in Canada c’era abbondanza di «furred animals and fish» (pesci e animali pelosi). A riprova, dicono alcune versioni della storia, spedì un esemplare alla sua famiglia. In questa storia mancano i riferimenti esatti, nomi, luoghi, date precise e quindi essa appare una leggenda metropolitana nella migliore delle ipotesi. Ma anche a voler pensare che la storia sia vera, siamo in presenza di un problema grammaticale più che di uno zoologico. Come grammatica inglese vorrebbe, manca infatti una virgola dopo “animals”, che renderebbe la frase “furred animals, and fish”, che ha molto più senso sia logico che grammaticale. In pratica la versione ittica della famosa frase “The panda eats, shoots, and leaves” (Il panda mangia, spara e se ne va) contro la corrispondente frase sprovvista di virgole “The panda eats shoot and leaves” (Il panda mangia germogli e foglie). Potere criptozoologico della punteggiatura.

La storia della trota pelosa si spostò quindi negli USA, dove è tuttora molto popolare e fonte di innumerevoli avvistamenti, bufale, pesci di aprile etc. Una popolare versione dell’origine della trota pelosa, raccontata da Sandy E. Schlosser, una esperta di folklore americano, sostiene che la storia risalga al 1870 circa e abbia origine a Salida in Colorado, lungo il fiume Arkansas, una cittadina mineraria dove pare la calvizie fosse piuttosto diffusa. Secondo il folklore, un venditore del Kentuky di lozioni per far ricrescere i capelli si diresse verso la cittadina per business, ma arrivatovi inciampò e quattro bottiglie (o due, a seconda della versione) caddero nell’acqua del fiume. Le trote pelose cominciarono ad apparire subito dopo e, secondo la leggenda, per pescarle i minatori non dovevano far altro che avvicinarsi all’acqua e far finta di essere barbieri portando con sé i caratteristici pali bianchi e rossi e le forbici: le trote sarebbero saltate fuori dall’acqua nella speranza di essere rasate.

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La spiegazione più popolare della presenza di trote pelose è però che negli Stati Uniti settentrionali l’acqua dei fiumi è così fredda che per poter sopravvivere in inverno alle trote cresce la pelliccia, ma la perdono in estate col caldo, motivo per cui i pescatori raramente se ne accorgono, dal momento che in inverno i fiumi sono ghiacciati e non si può pescare. Sembra che questa versione sia stata messa in giro da Wilbur Foshay nel 1938 nella speranza di incentivare il turismo.

L’unica “trota pelosa” esistente è un esemplare-burla posseduto dal Museo Reale di Scozia, sembra portato da una cittadina americana che aspirava a scoprire una nuova specie, e che lo lasciò lì delusa dai risultati. L’etichetta dice:

Trota impellicciata.

Molto rara.

Catturata pescando al traino nel Lago Superiore nei pressi di Capo Gros, vicino Sault Ste. Marie, Distretto di Algoma.

Si pensa che la grande profondità e il freddo estremo e penetrante dell’acqua in cui vivono questi pesci abbia indotto la crescita della loro densa e (solitamente) bianca pelliccia.

Montato da Ross C. Jobe, tassidermista di Sault Ste. Marie, Ontario


Si tratta naturalmente di una comune trota rivestita di pelo di coniglio.

Ma perché gli americani sono ossessionati dalle trote impellicciate e le vedono dappertutto? Sono solo burloni o c’è un fondo di verità? Come in tutte le leggende la storia è almeno parzialmente vera, e non è a lieto fine. Quasi tutti gli acquariofili si sono dovuti confrontare, almeno una volta nella vita, con una fastidiosa malattia dei pesci chiamata Saprolegnosi. Il modo di dire “sano come un pesce” è del tutto falso, poiché le malattie dei pesci sono innumerevoli, e spesso devastanti. La Saprolegnia è una muffa acquatica normalmente saprofita, cioè che si accontenta di residui organici, ma se un pesce accidentalmente si ferisce e la ferita è attaccata da batteri che causano necrosi, può venire attaccato secondariamente dalla muffa. Il parassita cresce quindi le sue ife bianche fuori dal corpo del pesce, formando una specie di peluria intorno alle lesioni, come quelle sotto il mento formate da un amo strappato. Se il pesce muore e si spiaggia, si osserva un organismo in decomposizione completamente circondato di peluria bianca. C’è del vero quindi in questa storia, e per il pesce deve essere terribile venire consumato internamente dalla muffa mentre è ancora vivo.

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Finto trofeo di trota impellicciata ©Wikimedia
La saprolegnia è un organismo molto interessante. Malgrado io l’abbia dovuta definire una “muffa” per mancanza di altri termini, non ha niente a che fare coi funghi. Non è infatti né un fungo, né un vegetale, e nemmeno un animale. Appartiene al recente e misconosciuto regno dei Chromista, che è suddiviso in tre sottogruppi: gli Eterokonti, a cui appartiene la saprolegnia, e gli ancora più misteriosi haptofiti e criptomonadi. La saprolegnia in particolare appartiene al grosso raggruppamento (detto phylum) degli oomiceti, che sono Chromista sprovvisti di clorofilla e che assomigliano molto ai funghi, inclusa l’abitudine di formare spore e ife. Molti oomiceti causano malattie delle piante come la peronospora, ma la saprolegnia è specializzata a parassitare i pesci, in particolare a basse temperature in acque dolci. A differenza dei funghi, gli oomiceti si distinguono in maschi e femmine come gli animali, sebbene siano asessuati in parte del loro ciclo vitale.

Una infezione da saprolegnia è di solito fatale per il pesce. Negli anni tra il 1960 e il 1980 ci fu in Europa settentrionale una moria di salmonidi causata da una patologia chiamata necrosi dermica ulcerativa (UDN), che colpiva salmoni e trote al loro ingresso in acque dolci: la saprolegnia e gli altri parassiti fungini e batterici connessi alla malattia non tollerano le acque salate. Questa patologia colpiva e colpisce tuttora pesci molto stressati per condizioni sbagliate delle acque, mancanza di cibo o stanchezza. L’inquinamento e l’eccesso di pesca che causa la desertificazione dei mari è quindi da ritenersi la causa prima della UDN.

Negli USA, tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, cominciarono le grandi opere di sbarramento dei fiumi, associate a gravi forme di inquinamento causate dall’estrazione del carbone e dagli scarichi industriali incontrollati, specie nella zona dei Grandi Laghi. Non è strano quindi che contemporaneamente si sia assistito a un incremento di UDN e quindi di Saprolegnia, che è poi entrata a far parte del folklore locale, dato che i minatori e i pescatori non si rendevano all’epoca certamente conto degli enormi danni ambientali che stavano causando.

La leggenda della trota pelosa ci ricorda dunque che alla fine il vero mostro siamo noi: le nostre azioni sconsiderate stanno portando all’estinzione l’80% della fauna ittica di acqua dolce!


Note

1) Olaf Davidsson, The Folklore of Icelandic fishes, in The Scottish Review, Vol XXXVI, July and October 1900. Alexander Gardiner, London
2) David Bukszpan (2013) Sjón, Björk and the furry trout. The Paris Review. May 16 2013
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