I dubbi su uno studio pro-omeopatia

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Figura 1
Il 10 settembre 2018 è stata una data importante per chi cerca di fornire evidenza scientifica all’omeopatia.

La rivista Scientific Report ha pubblicato un lavoro[1], in cui si afferma che un rimedio omeopatico basato su diluizioni elevatissime della pianta Rhus toxicondendron (il sommacco velenoso) risulta efficace almeno quanto un farmaco (il gabapentin) nel ridurre il dolore e i suoi correlati molecolari, sia in esperimenti su cellule sia su un modello animale (il ratto).

Anche in Italia, sono seguite dichiarazioni entusiastiche di alcune associazioni. Per esempio, il Centro Ricerche Biomediche SIMOH - Scuola Italiana di Medicina Omeopatica Hahnemanniana ha scritto:

«Con buona pace dei negazionisti dell’omeopatia, a Settembre 2018 la rivista scientifica Nature ha pubblicato un importante lavoro che dimostra in modo inequivocabile gli effetti delle alte diluizioni omeopatiche e la loro efficacia terapeutica. […]»[2]

Il lavoro non è stato pubblicato da Nature[3]. È stato comunque ripreso il 25 settembre 2018 da articolo siglato, senza firma estesa, apparso su La Repubblica. In questo articolo si afferma che:
«Una ricerca pubblicata su Scientific Reports conferma l’efficacia delle ultra-diluizioni omeopatiche: il medicinale omeopatico funziona e ha effetti biologici statisticamente significativi nell’alleviare il dolore neuropatico nei ratti. L’azione delle diluizioni dinamizzate è risultata simile all’effetto del “Gabapentin” […]»[4]

Uno studio che descriva l’efficacia dell’omeopatia superiore al controllo in un modello animale (in cui ci aspettiamo che l’effetto placebo sia assente) è contraddittorio rispetto a tutto ciò che sappiamo. Perché sia vero, cioè, si richiede un cambiamento radicale del modo in cui fisica, chimica e biologia molecolare descrivono il mondo (non solo la medicina). È vero che questo studio ha superato la peer-review e il quotidiano ne riporta il contenuto; ma quello che conta è il consenso scientifico complessivo, non il singolo articolo pubblicato[5], che spesso si rivela inesatto e non replicabile.

Lo studio in questione presenta parecchie inaccuratezze.

Per esempio, consideriamo la Figura 1 del lavoro (esperimenti in vitro su cellule), riprodotta di seguito, ed in particolare i pannelli da E a K.

Oltre ad un’etichettatura sbagliata del pannello H (che dovrebbe corrispondere ad una diluizione di 1 X 10-12) e che scopre l’erroneo riuso dei pannelli G e H, si nota immediatamente la duplicazione dei pannelli I e J (box rosso) che invece dovrebbero corrispondere a concentrazioni diverse[6].

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Figura 2
Consideriamo poi la Figura 2, in cui sono riportati i risultati degli esperimenti sui ratti. I pannelli A e B della figura in questione sono riprodotti di seguito.

I due pannelli dovrebbero rappresentare esperimenti su ratti completamente diversi, in cui si misura il tempo che trascorre tra l’applicazione di uno stimolo doloroso alla zampa di un ratto e la ritrazione della zampa da parte dell’animale. In particolare, il pannello A misura la risposta dopo uno stimolo di freddo estremo, quello B dopo lo stimolo con un oggetto molto caldo. Ebbene, come si può notare, ogni punto sperimentale presente nel grafico A è quasi perfettamente conservato nel grafico B, come dimostrano le congiungenti colorate tra i punti sperimentali nei due pannelli; in pratica, i due grafici si riferiscono a dati numerici quasi tutti identici, fatti salvi alcuni pochi punti sperimentali. Trattandosi di esperimenti diversi, questa coincidenza così elevata è impossibile.

Se ci limitiamo alle sole figure del lavoro, quindi, 2 su 3 presentano problemi di gravità variabile; in realtà, anche la rianalisi numerica dei risultati porta ad evidenziare numerose possibili di-screpanze – anche se non è questa la sede per discuterle in dettaglio.

A ciò si aggiungono alcuni dubbi metodologici, quali quelli per esempio evidenziati dal Prof. Silvio Garattini[7].

Oltre ai problemi descritti, vi sono poi altri dubbi, che riguardano questa volta l’indirizzo e-mail usato da uno degli autori. In particolare, un autore corrispondente (Chandragouda R. Patil) fornisce come proprio indirizzo e-mail il seguente: [email protected]

Dopo una rapida verifica, risulta tuttavia che questo indirizzo è usato in altri lavori pubblicati da almeno un altro autore, di nome Pritee V. Karwa[8].

Chi è dunque il reale proprietario dell’indirizzo e-mail fornito? E perché esso corrisponde in letteratura ad almeno due autori diversi?

Questo lavoro, in definitiva, prova una sola cosa: che anche riviste qualificate, di tanto in tanto, sono permeabili alla cattiva scienza. Ed è per questo che nessuno può assumere per vero e provato qualcosa di così straordinario come il funzionamento dell’omeopatia oltre l’effetto placebo, prima di aver considerato nei dettagli i dati presentati e l’insieme della letteratura disponibile, chiedendo l’aiuto degli esperti o basandosi sulle numerose e rigorose meta-analisi disponibili; soprattutto se chi si assume l’onere di rilanciare un lavoro ha delle responsabilità etiche nei confronti dei propri lettori e dei cittadini che magari pagano gli scienziati e gli esperimenti con le tasse, responsabilità che non possono essere trascurate per creare o stimolare artificiosamente un dibattito con la tecnica del “false balance”.

Note

1) Magar, S. et al. Ultra-diluted Toxicodendron pubescens attenuates pro-inflammatory cytokines and ROS- mediated neuropathic pain in rats. Sci. Rep. 8, 13562 (2018).
4) M.C.T. “Supponiamo che la Scienza cambi idea”, La Repubblica, pagina 54, 25-09-2018
6) Per i non esperti, val la pena di ricordare che questi pannelli rappresentano i risultati di un tipo di esperimenti che gli autori fanno per “contare” cellule che rilasciano alcune sostanze pro-infiammatorie dopo che siano state esposte ad un composto irritante (LPS, pannello F) o ossidante (acqua ossigenata/pannello K). Quanto più la “montagnola rossa” è posizionata a destra nei grafici riprodotti in ogni pannello, tante più cellule sono state “attivate” dal composto infiammante. I pannelli G, H, I e J rappresentano secondo gli autori il risultato dopo che le cellule sono state trattate non solo con il prodotto irritante, ma anche con diluizioni via via maggiori del preparato omeopatico; si vede che in presenza del prodotto omeopatico, le “montagnole” rimangono a sinistra, invece di spostarsi a destra, nonostante la presenza del prodotto irritante. Gli autori ne deducono quindi che il prodotto ultra-diluito blocca l’azione di noti ossidanti e irritanti (in vitro). Ma davvero? Osserviamo bene: innanzitutto, il pannello H è etichettato con la stessa concentrazione che si osserva in G. Probabilmente un errore; però c’è di peggio. Il pannello I risulta infatti l’esatta copia del pannello J, nonostante i pannelli si riferiscano ad esperimenti diversi; si tratta di un classico esempio di duplicazione di immagini, che porta immediatamente ogni ricercatore serio a dubitare della realtà di ciò che sta vedendo (e a chiedere i dati originali). Casi di duplicazione includono errori onesti – collegati cioè a sciatteria nel preparare il lavoro – fino a casi di frode veri e propri (in cui gli autori duplicano le immagini volontariamente per coprire il fatto di non aver eseguito alcuni esperimenti); in questo caso, si vedrà cosa accadrà dopo un’investigazione accurata.
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