La paleoastronautica di Erich von Däniken

image
Erich von Däniken
Erich von Däniken è uno dei maggiori produttori e propagatori della teoria pseudoscientifica nota come «paleoastronautica», o «paleocontatto», secondo la quale degli extraterrestri, in tempi remoti, sarebbero arrivati sulla Terra, intervenendo nello sviluppo biologico dell’umanità e nella sua storia. Diversi articoli di Query e del CICAP si sono già concentrati su singoli aspetti delle sue tesi[1]. Qui vogliamo piuttosto, a mezzo secolo dal suo primo libro, tracciare un profilo della produzione di von Däniken, cercando di capire come i suoi testi, che contengono una miriade di idee sbagliate per ragioni scientifiche e logiche, siano costruiti in modo da sembrare convincenti.

Chi è Erich von Däniken?


Von Däniken nasce a Zofingen, in Svizzera, nel 1935. Frequenta il Collège St-Michel di Friburgo, scuola internazionale cattolica. Come racconta, non è portato per gli studi, né convinto dell’insegnamento religioso[2]. Ha però una curiosità molto viva, si dedica allo scoutismo[3], e scrive con il fratello Otto storie di avventura e fantascienza, in cui loro stessi sono protagonisti[4]. Entra in seguito nell’industria alberghiera e continua a dedicarsi ai suoi interessi culturali mentre fa carriera passando da cuoco e cameriere a gestore d’hotel. Un elemento della sua biografia che ne aumenta l’aura di mistero è un’esperienza paranormale, una sorta di visione, che avrebbe avuto verso i vent’anni e che lo avrebbe ispirato o confermato nelle sue tesi[5]. Durante il lavoro presso l’Hotel Rosenhügel a Davos, a trentun anni, scrive il primo libro, che viene accettato, dopo numerose risposte negative da altri editori, da Econ-Verlag. Questo editore però ne affida una vigorosa riscrittura a Wilhelm “Utz” Utermann (1912-1991), sceneggiatore e giornalista con lo pseudonimo Wilhelm Roggersdorf, che ha alle spalle una carriera sviluppata a braccetto con il nazismo e che guadagnerà una percentuale sulle vendite[6]. Il titolo tedesco si traduce come Memorie del futuro e quello della versione inglese Carri degli dèi? ma in traduzione italiana è Gli extraterrestri torneranno (Ferro, 1969). Le aspettative dell’editore non sono da best-seller: la stampa è di seimila copie. Il libro, però, decolla; dal dicembre 1968 (anno di pubblicazione[7]) al marzo del 1969 è il più venduto in Germania Ovest[8]. La traduzione inglese, apparsa nel 1969, venderà milioni di copie. Nel 1969 esce il secondo libro, che si traduce come Ritorno alle stelle: Argomenti per l’impossibile. È pubblicato in italiano come Noi extraterrestri (Ferro, 1970). L’entusiasmo suscitato dai primi due libri viene definito sulle pagine dello Spiegel la «Dänikite»[9]. Nel corso di mezzo secolo von Däniken pubblica una quarantina di libri che vengono tradotti in numerose lingue e trasposti in documentari[10].

Mille e una storia


image
Le storie di von Däniken sono una sorta di mosaico poco omogeneo. La «creazione aliena» degli esseri umani è come una cornice, che viene gradualmente riempita con altre narrazioni da lui presentate come ipotesi «scientifiche», «alternative» alle «opinioni correnti». Nel corso del tempo, alcuni temi vengono ampliati (o meglio, von Däniken li gonfia) e diventano il soggetto di libri a sé, altri vengono abbandonati. Lo scrittore svizzero non è mai particolarmente chiaro nelle sue transizioni e, se letta di seguito, la sua opera è piuttosto ripetitiva e contraddittoria. Non abbiamo spazio sufficiente per ricostruire in dettaglio il suo sviluppo come autore o le influenze che ha subito, ma è importante osservare che ciascuna narrazione (come del resto la stessa «creazione aliena») a sua volta si aggancia a temi presenti in altri autori. Come è tipico degli scrittori pseudoscientifici, von Däniken è un grande «riciclatore» e «coordinatore» di tesi già in circolazione, anche se cerca spesso di presentarsi come originale, oltre che isolato ed emarginato[11].

Nel primo libro von Däniken insiste sulla possibilità di spiegare artefatti e testi antichi solo con la visita aliena sulla Terra. Vediamo alcuni esempi, facendo seguire ciascuno da un accenno alle ragioni per cui l’interpretazione di von Däniken non è plausibile[12]. La mappa dell’ammiraglio ottomano Piri Reis (1465/1470 - 1553/4) presenterebbe una conoscenza delle coste americane superiore a quella dell’epoca, consentita solo a chi le osservasse da un velivolo (von Däniken esagera però la precisione del documento)[13]. I giganteschi disegni, o «piste», che ricoprono la piana peruviana di Nazca, oltre ad essere tecnicamente «impossibili» per i popoli antichi a meno di non presupporre che conoscessero tecniche di volo, sarebbero stati tracciati per imitare o attirare dei «visitatori dall’alto» (il terreno in questione, però, non si presta a decolli e atterraggi, è stato plausibilmente mostrato che le linee si potevano creare con un sistema basato su reticolati di corde, e comunque la tesi dei «visitatori volanti» è quella generale di von Däniken la cui debolezza complessiva constateremo nell’articolo)[14]. Una pietra tombale di Palenque, nel Chiapas, rappresenterebbe un astronauta (in realtà contiene elementi iconografici tipici delle raffigurazioni di quel genere e di quell’epoca)[15]. I racconti biblici della distruzione di Sodoma e Gomorra riporterebbero esplosioni nucleari[16], quello dell’ascesa al cielo del profeta Ezechiele sarebbe l’eco di un viaggio in astronave[17], l’Arca dell’Alleanza sarebbe stata un dispositivo usato per comunicare con gli alieni, molto pericoloso se manipolato senza accorgimenti[18]. L’epopea babilonese di Gilgameš (2600 a.C.-2500 a.C) e il poema indiano Mahabharata (IV secolo a.C - IV secolo d.C.) riporterebbero gli scontri degli alieni su velivoli dotati di armi ipertecnologiche[19]. Ovviamente, sostiene von Däniken, gli antichi interpretavano quelle tecnologie, sofisticate e culturalmente estranee, come miracoli, proprio come accadrebbe se oggigiorno una tribù africana vedesse un elicottero[20]. Persino i racconti delle Mille e una notte devono avere un fondo di verità «tecnologica», secondo lui[21] (in tutti questi casi von Däniken semplicemente propone una lettura selettiva e forzata dei testi in questione). La Piramide di Cheope, oltre che essere inspiegabile con le sole competenze architettoniche degli Egizi, presenterebbe misure corrispondenti a distanze planetarie: ad esempio, l’altezza moltiplicata per cento milioni darebbe, «approssimativamente», la distanza tra la Terra e il Sole (qui von Däniken va a pescare in vecchie interpretazioni numerologiche delle piramidi, basate su valori numerici forzati o approssimativi, e su coincidenze di cui esagera l’importanza)[22]. Altrettanto inspiegabili sarebbero i moai, statue monolitiche dell’Isola di Pasqua (la tecnica impiegata per costruirli è stata invece dimostrata in loco con gli stessi materiali e con strumenti disponibili all’epoca)[23]. Tra gli «artefatti fuori luogo» che dimostrerebbero conoscenze tecnologiche superiori a quelle comunemente attribuite agli antichi, elenca la pila di Baghdad, oggetto del II sec. a.C. che potrebbe generare corrente elettrica (un oggetto certamente curioso ma non «ipertecnologico» al punto da poter solo essere alieno)[24]; una colonna di ferro situata a Delhi che non presenterebbe ossidazione nonostante i suoi 1500 anni (l’assenza di ruggine non corrisponde a verità, e la tecnica di fabbricazione dell’oggetto è nota)[25]; il «meccanismo di Anticitera», calcolatore meccanico dei movimenti planetari risalente al 150 - 100 a.C. (per cui vale la stessa osservazione appena formulata a proposito della pila di Baghdad)[26].

Ritorno alle stelle e... Sole a sacchi


Il secondo libro di von Däniken viene scritto, come lui stesso riporta, in carcere[27]. Lo scrittore è stato arrestato dall’Interpol in Austria nel novembre 1968, per inadempienza fiscale, poi si è scoperto un ingente debito in contraddizione con quanto ha dichiarato per ottenere dei prestiti. È condannato a tre anni e mezzo di prigione e a un’ammenda. Viene però scarcerato anticipatamente. Cercherà di fare cassare la sentenza, ma senza successo[28]. Racconta lui stesso questo guaio con la legge (in realtà non l’unico[29]), sostenendo di essere perseguitato in quanto «sovversivo»: le autorità avrebbero esagerato la rilevanza di comportamenti che sarebbero normali tra gli imprenditori svizzeri; sarebbe stato dovere degli istituti di credito verificare le sue reali disponibilità finanziarie. Insiste anche, in tribunale, che un autore appassionato alla ricerca può ben sacrificare i principi morali: era a corto di denaro, infatti, anche a causa dei viaggi legati ai suoi interessi paleoastronautici. Secondo la replica dei giudici, invece, i «sacrifici» di un autore non devono ledere i diritti altrui[30]. Le vendite del libro gli consentono di pagare l’ammenda[31] e in seguito diviene piuttosto ricco, tanto da permettersi un assistente che lo segue anche in viaggio. Userà spesso l’immagine del «processo» per descrivere metaforicamente la propria situazione di fronte ai critici[32].

La creazione degli esseri umani


image
Erich von Däniken
Il primo libro riguarda la presenza degli alieni sulla Terra nella remota antichità, e l’autore svizzero tratta in particolare della plausibilità della loro esistenza e del viaggio interplanetario che avrebbero intrapreso, oltre che delle presunte prove della loro permanenza, che ho già elencato. Ma in due o tre pagine[33] comincia a speculare su un tema che gradualmente assume maggiore rilievo, tanto per lui quanto per altri autori simili. Gli esseri umani sarebbero stati generati, nella loro forma presente, proprio da quegli «dèi» che avrebbero visitato la Terra. Questo spiegherebbe il riferimento, nelle sacre scritture e negli antichi miti, all’accoppiamento di «giganti» e «figli del cielo» con donne, ma anche il racconto del diluvio universale, che sarebbe stato un atto di «sterminio selettivo» da parte degli dèi; e, soprattutto, si spiegherebbe, secondo von Däniken, il riferimento biblico agli umani creati a «immagine e somiglianza di Dio».

Nel primo libro si parla solo di «fertilizzazione» e «allevamento», e al tema vengono dedicati un paio di paragrafi, ma nel secondo von Däniken, per così dire, alza l’asticella. Questa volta dedica al tema un intero capitolo, il secondo, e si lancia in speculazioni più ardite e articolate. Sostiene che, pur essendo gli ominidi, in epoca preistorica, gli esseri più intelligenti sul nostro pianeta, tra i 40.000 e i 20.000 anni fa cominciarono a svilupparsi in modo (a suo vedere) anomalo, con la scoperta della clava come arma, l’invenzione dell’arco per la caccia, l’uso del fuoco e degli utensili di pietra, e le pitture nelle caverne[34]. Von Däniken farcisce il capitolo di informazioni scientifiche (di livello divulgativo) sia appunto sulla comparsa dell’Homo sapiens, sia sulle ipotesi riguardanti la comparsa delle prime cellule, sia sul DNA. Insiste poi che il cambiamento deve essere stato indotto artificialmente, e aggiunge, secondo quella struttura narrativa che ho richiamato più sopra, una serie di considerazioni, o «sotto-tesi». Varie pitture nelle caverne (von Däniken non precisa quali) rappresenterebbero «oggetti come storte recipienti da laboratorio in prossimità degli uomini primitivi[35]». Già nel primo libro von Däniken scrive che la Genesi sarebbe straordinariamente accurata, dal punto di vista scientifico, nel descrivere la precedenza dei minerali rispetto alle piante, e di queste rispetto agli animali[36]. Ora aggiunge che la creazione di Eva dalla costola di Adamo echeggerebbe il fatto, ovviamente noto a intelligenze superiori, che il midollo osseo può essere usato come coltura, e che l’importanza di Eva spiegherebbe le frequenti rappresentazioni di figure femminili dell’Età della Pietra[37]. La «caduta» di Adamo potrebbe essere interpretata come il suo accoppiamento con gli ominidi del «vecchio tipo»; a quel punto gli dèi sarebbero intervenuti geneticamente una seconda volta, tra il 7000 e il 3500 a.C., per migliorare la loro creazione[38]. Von Däniken ipotizza anche che gli dèi abbiano programmato, a livello genetico, lo sviluppo mentale e intellettuale dell’umanità[39].

In un libro del 1972, pubblicato in Italia lo stesso anno col titolo Il seme dell’universo (Ferro), von Däniken racconta di un sistema di tunnel sotterranei in Ecuador, che, in seguito, sarà al centro di una controversia con un personaggio piuttosto sfuggente, l’ungherese-argentino Juan Moricz. Costui sarebbe stato lo scopritore originario; avrebbe mostrato a von Däniken solo un tunnel secondario e dato il suo assenso alla comunicazione della scoperta, salvo poi lamentarsi di essere stato ingannato da von Däniken, che avrebbe rivelato al grande pubblico più del pattuito. L’esistenza stessa dei tunnel, e di incredibili oggetti metallici (che von Däniken descrive come se li avesse visti, salvo precisare in seguito di essersi solo basato su un racconto di Moricz e di non averli osservati lui stesso nel famoso tunnel), è più che dubbia. Ma quel che conta è che von Däniken parte dalla «scoperta» per elaborare un’aggiunta alla «grande narrazione». Gli alieni giunti sulla Terra sarebbero stati solo una fazione della loro civiltà, fuggiti in seguito alla lotta con un’altra. Avrebbero scelto la Terra, ambiente per loro non ideale (dovevano infatti indossare dei respiratori) per ingannare i nemici e si sarebbero nascosti in quei tunnel. Avrebbero poi collocato dei trasmettitori sul quinto pianeta del sistema solare. Gli inseguitori, tratti in inganno, lo avrebbero distrutto: il che spiegherebbe il «vuoto» tra Marte e Giove e l’esistenza della cintura di asteroidi. La fazione inseguitrice si sarebbe ritirata, ma l’esplosione avrebbe causato cataclismi anche sulla Terra. In seguito gli alieni avrebbero creato gli esseri umani, che a loro volta si sarebbero nascosti da loro in dimore sotterranee. I cataclismi, la presenza aliena e la creazione degli umani sarebbero poi echeggiati nei poemi epici e nei testi religiosi dell’antichità[40].

Nel libro del 1977 il cui titolo tedesco si traduce come Dimostrazioni, e che in italiano è pubblicato come Gli extraterrestri hanno inventato l’uomo? (Rizzoli, 1978) von Däniken scredita l’evoluzione biologica: per lui è statisticamente impossibile, non verrà mai provata in laboratorio, e di fatto richiede di credere in un miracolo. Darwin stesso, a suo dire, avrebbe ammesso di non averne le prove. Non spiegherebbe né come gli animali avrebbero potuto incrociarsi, né che cosa avrebbero potuto farsene di organi «intermedi». L’evoluzione darwiniana sarebbe un «dogma», in nome del quale chiunque abbia dei dubbi viene ridicolizzato. Sarebbe inoltre contraddetta dalla scoperta di orme umane presso orme di dinosauro. Insomma, l’autore svizzero usa gli argomenti classici dei creazionisti per attestarsi su quella che lui presenta come una tesi a metà strada tra scienza e religione. Le leggi dell’evoluzione, sostiene, sono valide: però nel loro decorso naturale si deve essere inserito l’intervento di esseri superiori[41]. Ipotizza anche che l’esistenza di diverse razze umane originarie, con abilità diverse, fosse dovuta al fatto che gli extraterrestri le crearono per compiti specifici, e poi ne scelsero una come «eletta» o meglio riuscita delle altre[42]. Altre sue speculazioni sono che gli esseri chimerici descritti in antichi miti fossero il risultato di sperimentazioni genetiche[43], e che la mummificazione e la sepoltura degli animali da parte degli antichi Egizi fossero in realtà tentativi di non far tornare in vita quelle creature[44].

Mi sono riproposto di non seguire nei dettagli le confutazioni delle idee di von Däniken, ma le speculazioni sulla «creazione aliena» impongono un’eccezione vista l’importanza del tema. Ronald Story, che ha dedicato alla precisa confutazione delle teorie di von Däniken un intero libro, The Space-Gods Revealed (1976), rileva vari punti deboli. Intanto, a seconda dei passaggi, von Däniken sostiene che gli umani siano stati «allevati», o «inseminati» dagli alieni, o che ne sia stato manipolato il «codice genetico». Oltre alla scarsa coerenza della narrazione, che già è un problema, tutte queste versioni presentano delle difficoltà. Ipotizzare rapporti sessuali tra alieni e donne umane presuppone una compatibilità anatomica che appare ancora più inverosimile tenendo conto che von Däniken descrive i primi come giganti. Inoltre, sia in caso di rapporto sessuale «classico» sia di inseminazione artificiale, i cromosomi delle due specie avrebbero dovuto avere la stessa forma e lo stesso numero, e i geni avrebbero dovuto avere la stessa disposizione: ma allora extraterrestri e umani sarebbero già stati specie simili! E non è tutto. Story osserva che spiegare l’origine dell’umanità con gli extraterrestri «rimanda» solo il problema della creazione, perché i sofisticatissimi extraterrestri dovrebbero a propria volta essere stati creati. Un altro problema è che i cambiamenti avvenuti tra 30.000 e 40.000 anni fa furono sì drammatici, ma rimangono prove che gli esseri umani praticassero ancora il cannibalismo: quindi il «miglioramento» attribuito all’intervento alieno sarebbe stato parziale. Von Däniken non considera che dei cambiamenti radicali sono avvenuti anche negli ultimi cinquecento anni, ma nessuno si sogna di spiegarli con un intervento extraterrestre. Allora, perché gli alieni avrebbero contattato solo i popoli che non sapevano scrivere e che erano appunto, stando ai canoni di von Däniken, «sottosviluppati»? Infine, von Däniken sembra non avere una chiara percezione della gradualità dello sviluppo umano e dei tempi lunghissimi che per tale sviluppo occorrono[45].

La critica al paranormale religioso


image
Nel 1974 von Däniken pubblica un nuovo libro, che due anni più tardi esce in italiano come Messaggi dall’ignoto (Longanesi). Rappresenta una svolta: forse intende seguire un nuovo filone, anche se sempre inquadrato nel mondo del paranormale. In seguito però tornerà agli «antichi alieni» e il libro rimarrà come un’anomalia nella sua produzione. Nella prefazione sostiene di averlo portato «dentro di sé» per dieci anni, fin dal tempo di una visita a Lourdes, che descrive come un «caravanserraglio» dove fioriscono speranza, disperazione e consumismo[46]. Sostiene di non avere mai sperimentato in prima persona un’apparizione religiosa e di essere disgustato dallo sfruttamento economico che di tali visioni generalmente si fa[47]. Tutto il libro è un’analisi delle apparizioni che punteggiano la storia cristiana. Von Däniken riporta, con il suo consueto stile ironico, una serie di racconti di visioni, di miracoli, di guarigioni, e in alcuni casi riferisce le proprie visite sul posto, inclusa quella a San Damiano (Piacenza), nota per le visioni di Mamma Rosa, cominciate nel 1961[48]. Parla anche di Padre Pio[49]. Dopo la rassegna, si mette a criticare, secondo argomenti arcinoti, l’accuratezza storica della Bibbia, e l’ignoranza dei cristiani rispetto al fatto che gli evangelisti non furono contemporanei di Gesù e testimoni dei suoi atti[50]. Se la prende anche con «il filologo sovietico Vyatcheslav Saitsev, dell’Università di Minsk» criticando l’inverosimiglianza della sua tesi che Gesù fosse un astronauta. Assurdo, secondo von Däniken: se Gesù fosse stato parte di una missione aliena, perché non ce ne sarebbero state altre in altri punti del pianeta? Perché i compagni non lo avrebbero salvato? Perché, se lo avessero resuscitato con metodi scientifici, non lo avrebbero fatto pubblicamente? Inoltre, fa notare, a quanto pare senza accorgersi che l’argomento si applica anche alle sue tesi, per credere all’interpretazione di Saitsev occorre anzitutto leggere il testo dei vangeli in modo letterale[51]...

Von Däniken non nega le guarigioni straordinarie, ma fa notare che oggigiorno sono chieste e attribuite ai santi come nell’antica Grecia al dio Asclepio[52]. Si tratterebbe di fenomeni psicosomatici (e curiosamente, per corroborare questa tesi «razionalista», von Däniken «arruola» le idee di Paracelso, insieme a quelle di Aristotele, John Locke, David Hume e Carl Jung[53]). Fin qui, si potrebbe anche argomentare che il discorso di von Däniken resta pur sempre nell’ambito di una critica razionalista al paranormale religioso, un po’ confusa e viziata dalla tipica smania di von Däniken di invocare «grandi nomi» a sostegno delle proprie idee. Il problema è che poi quella che parte come una confutazione diventa una teoria strampalata e ancora più implausibile dei racconti che intende criticare. Rispetto alle visioni dei santi von Däniken sostiene infatti che «sono reali, esistono»; secondo lui l’«impulso» che le produce «nei cervelli intelligenti» è «di origine extraterrestre[54]». In altre parole, sarebbero il risultato di contatti extraterrestri, interpretati, da chi ne è protagonista, attraverso le forme dell’immaginario religioso che la sua cultura gli mette a disposizione. Così spiega anche le intuizioni di geni come Leonardo da Vinci, che portano ad avanzamenti scientifico-tecnologici[55]. Simile, secondo von Däniken, è il caso dei sogni[56]. Sono proprio le visioni che apportano progresso quelle in cui lui crede, conclude[57]. In libri più recenti sostiene che i profeti siano influenzati o programmati dagli alieni per preparare il loro ritorno[58], avvenimento che altrimenti sarebbe troppo traumatico[59].

image
Erich von Däniken
Una biografia di von Däniken, scritta dall’austriaco Peter Krassa (1938-2005), lui stesso sostenitore della «paleoastronautica», riporta nella prima pagina che all’autore svizzero si deve «la rivelazione più stupefacente dopo quella di san Giovanni»[60]. Krassa è ovviamente un «tifoso» di von Däniken; la sua osservazione suona paradossale, visto il rapporto ambiguo e complicato che von Däniken ha con la religione. Prese nel complesso, le sue interpretazioni delle diverse sacre scritture sono, praticamente, un solvente micidiale per le religioni tradizionali. È anche vero, però, che, di fatto, con le sue critiche all’evoluzione si allinea alle posizioni del creazionismo, come abbiamo visto. Solo che il suo è un creazionismo in chiave extraterrestre. Al tempo stesso invoca le tesi del gesuita paleontologo Pierre Teilhard de Chardin (1881-1955) che elaborò una riconciliazione di fede ed evoluzione, salvo venire vigorosamente criticato e ostracizzato dalla Chiesa Cattolica[61].

Ma le contraddizioni di von Däniken non finiscono qui. Se, come abbiamo visto, per un verso ci tiene a raccontare che fin da piccolo trovava inverosimili gli insegnamenti religiosi trasmessi dalla scuola, descrivendosi come lettore dell’Anticristo di Nietzsche[62], e se è molto attento a contestare gli interessi economici delle religioni[63], riferisce, per un altro verso, di essere un uomo religioso, che prega tutti i giorni, anche se il suo Dio non è quello delle scritture[64]. Scrive «non sono un ateo» e nella stessa pagina riconosce che ai fini della «salvezza» i «dogmi [sic] e i princìpi» di Buddha e Muhammad sono «di non minor valore»[65] di quelli cristiani. Rimane da capire quale sia, nello specifico, la sua concezione di Dio[66], e anzi come possa averne una, se ha tagliato ogni collegamento con la religione organizzata, che scredita sia nel suo aspetto teologico[67] (per esempio spiegando le resurrezioni come rispondenti a un bisogno psicologico[68]), sia nell’aspetto morale[69], sia in quello epistemologico (descrivendola come una forma di sapere che blocca o uccide il pensiero[70]). Afferma che Dio dev’essere qualcosa di straordinario, e che deve essercene solo uno, come insegnano le «grandi religioni del mondo»[71]. È un «qualcosa» di indefinibile, una «forza» che ha creato gli umani e l’universo, al cui concetto poi gli umani stessi hanno aggiunto attributi arbitrari e «umani»[72], che per von Däniken però sono offensivi[73]. Al tempo stesso ne mette in dubbio la bontà, viste le crudeltà e le tragedie della storia[74]. Suggerisce, in termini positivi, che religione e scienza dovrebbero imparare l’una dall’altra, poiché condividono punto di partenza e scopo, cioè la conoscenza, anche se si muovono su piani diversi[75]. Ovviamente a noi non interessa sapere se von Däniken sia, in fondo, religioso o no, e non criticheremmo la sua «teologia» se ne avesse una: il punto è che, sostenendo tutto e il contrario di tutto, riesce a tenere un piede in due scarpe, accattivandosi sia il lettore antireligioso sia quello religioso (posto ovviamente che tali lettori non siano troppo analitici).

La stessa strategia del piede in due scarpe si ritrova nella discussione del Mormonismo, religione originata dalle rivelazioni ricevute dallo statunitense Joseph Smith (1805-1844), su cui von Däniken si concentra particolarmente. Secondo i mormoni, un angelo avrebbe rivelato a Smith l’ubicazione di un libro composto di lamine d’oro, scritto in «geroglifici egiziani riformati» e sepolto nello Stato di New York, che Smith stesso, con l’aiuto di due misteriosi oggetti chiamati urim e thummim, avrebbe tradotto. Dopodiché libro e oggetti sarebbero stati restituiti all’angelo e sarebbe circolata la sola traduzione. Poiché il libro tratta della (a dir poco controversa) migrazione di popolazioni semitiche nelle Americhe, narrazione che si accorda con quelle di von Däniken, e siccome (come gli stessi mormoni sostengono per corroborarne la validità) contiene informazioni che Smith non avrebbe potuto inventare, von Däniken respinge il Mormonismo come religione organizzata, ma considera la sua rivelazione come genuina e di origine aliena[76].

Un’altra interessante saldatura tra l’autore svizzero e il mondo delle religioni, e un esempio di come von Däniken spacci per autorevole una fonte che non lo è per nulla, è il suo riferimento al Libro di Dzyan, antichissimo testo tibetano contenente un racconto della creazione, che convergerebbe con quello del Mahabharata e con i testi dell’esoterismo ebraico (e quindi con le tesi di von Däniken)[77]. Il Libro di Dzyan non è noto però che grazie alla presunta trascrizione da un originale in «lingua senzar» effettuata dalla medium Helena Blavatsky (1831-1891), del cui libro La dottrina segreta (1888) è parte. Blavatsky, la cui vita avventurosa e le cui tesi richiederebbero un articolo a parte, fu la fondatrice della Società Teosofica (1875). La sua dottrina si basa sull’idea che le diverse religioni e le filosofie veicolino tutte un antico e segreto insegnamento e che una serie di «Maestri» guidino l’umanità. Il problema è che l’originale del Libro di Dzyan non è mai stato visto da nessuno e che la «lingua senzar», che secondo Blavatsky sarebbe una specie di antico sanscrito, non è attestata da nessuna parte.

Un dilettante, le sue domande e l’odio-amore per gli scienziati


image
Erich von Däniken
Con un gioco retorico tipico degli autori pseudoscientifici, lo scrittore svizzero si presenta come il dilettante, il ricercatore «della domenica» (l’espressione è sua[78]), il «vagabondo tra le scienze»[79], che, ostracizzato dalla scienza «ufficiale», pone quesiti impertinenti, senza tabù, e che fa affidamento sulla capacità di ragionare, indipendente dal possesso di titoli accademici[80]. Scrive: «i dilettanti sono persone pagate nulla per far molto, i professionisti sono persone che non fanno nulla per nulla»[81]. A suo dire, «tre prerequisiti formano la base di tutta la ricerca: libertà di pensiero, il dono dell’osservazione, e un senso del contesto», a cui si aggiunge «la capacità di superare lo spirito dei tempi»[82]. Una figura con cui si identifica è il tedesco Heinrich Schliemann (1822-1890), l’imprenditore, viaggiatore, e archeologo autodidatta che, affascinato da Omero, di cui prendeva i poemi alla lettera, scoprì le rovine di Troia[83]. Altri paragoni che von Däniken usa (come del resto molti autori «alternativi») sono quelli con le streghe perseguitate nel Medioevo e con Galileo[84] e in generale con grandi scienziati che furono ostacolati dalla comunità scientifica loro contemporanea[85]. Von Däniken suggerisce spesso che l’accettazione delle sue idee da parte degli scienziati sia questione di apertura mentale, pazienza e simpatia da parte loro, e viceversa che ogni critica sia espressione di antipatia e chiusura mentale. Non mancano pagine in cui usa questi argomenti contro lo CSICOP[86]. Nessuno nega che scienziati e altri critici abbiano debolezze umane. Ma von Däniken fa sempre e soltanto scivolare il discorso sul piano emotivo o psicologico. Sembra sfuggirgli che l’accettazione (o non) di un’idea da parte di uno scienziato, al di là della maggiore o minore diplomazia che questi può avere nelle relazioni interpersonali, è questione di logica e metodo: ed è sulla base di logica e metodo che von Däniken è stato respinto (anche se non si può negare che la sua insistenza e le sue specifiche narrazioni possano aver finito con l’attirargli una qualche antipatia «a pelle»: a nessuno, in fondo, va di confutare sempre le stesse idee strampalate per filo e per segno...).


Von Däniken turista indefesso, curioso e fantasioso


Le storie dei sostenitori della paleoastronautica si assomigliano tutte, ma ciascuno si distingue per l’immagine con cui si propone al pubblico. A differenza, per esempio, di Sitchin [vedere articolo principale], che, con l’eccezione di due libri esclusivamente dedicati ai suoi viaggi[87], si presenta soprattutto come studioso «da biblioteca», o di Mauro Biglino (1950), che si propone come «conferenziere-filologo» ripudiato per le sue idee sovversive da un editore cattolico con cui aveva collaborato, von Däniken dopo il primo libro ha teso a presentarsi come viaggiatore, di volta in volta interessato a un antico popolo o a delle rovine, che intraprende lunghi spostamenti e conduce una «ricerca» in prima persona, raccontando poi gli incontri con le persone del luogo, i contrattempi, e soprattutto scattando fotografie. Von Däniken comincia a raccontare questi viaggi in anni in cui il turismo non è paragonabile a quello attuale, e quindi l’impressione suscitata è maggiore. Alcune sue mete, come le isole Kiribati, in Micronesia, o l’Isola di Pasqua, cilena, ma situata in Polinesia, sono tuttora proibitive ed esotiche per un turista europeo dalle finanze non straordinarie; altre invece, come l’Egitto (in cui si recò per la prima volta a diciannove anni[88]) e la Grecia, sono piuttosto inflazionate. Indipendentemente dal valore delle sue tesi, i racconti di viaggio di von Däniken sono discretamente vivaci e interessanti. Tipica è l’immagine di lui che si aggira tra le rovine con un metro flessibile. È sicuro di vedere in antiche raffigurazioni caschi, antenne, l’elica del DNA[89], robot[90], circuiti elettronici[91]... La pareidolia gioca un ruolo non indifferente nelle sue osservazioni sul campo e nei commenti alle fotografie, aiutata dal fatto che lo scrittore non è abbastanza competente per inquadrare le figure che gli stanno davanti. Esempio «da manuale» è quello dell’«astronauta» di Palenque [vedere articolo principale].

Citazioni dotte e citazioni dimenticate


Ho già accennato ad alcuni casi di «arruolamento forzato», nei testi dello scrittore elvetico, di autori della grande tradizione filosofica o letteraria occidentale. Il “citazionismo” di von Däniken è incontenibile, e nei suoi libri troviamo frasi o accenni a idee di Francis Bacon[92], Dostoevskij[93], Eraclito[94], Feyerabend[95], Goethe[96], Kant[97], Thomas Mann[98], Molière[99], Montaigne[100], Schopenhauer[101], Seneca[102], Sofocle[103], Tacito[104], Voltaire[105], e persino Guareschi[106]. Al «citazionismo», che crea un’impressione di profondità e cultura, non corrisponde però altrettanto zelo quando si tratta di riconoscere autori minori che sostennero tesi «paleoastronautiche» simili o coincidenti prima del libro di esordio di von Däniken; in particolare Louis Pauwels (1920-1997) e Jacques Bergier (1912-1978) con Il mattino dei maghi, del 1960, e Robert Charroux (1909-1978), il cui Centomila anni di storia sconosciuta dell’uomo è del 1963. Secondo un altro critico di von Däniken, Ronald H. Fritze, alcuni riferimenti a questi autori furono aggiunti a edizioni successive di Gli extraterrestri torneranno e ad altri libri solo dopo le accuse di plagio e comunque senza chiarire bene la questione della precedenza[107]. Nella premessa al secondo libro, Roggersdorf ammette che lo svizzero non è stato il primo ad occuparsi di antichi astronauti, ma sostiene che le sue domande sono «più imparziali, più dirette e più audaci»[108]. Un altro autore paleoastronautico che von Däniken potrebbe avere letto è Peter Kolosimo (pseudonimo di Pier Domenico Colosimo, 1922-1984), il cui primo libro, Il pianeta sconosciuto, risale al 1959. Non abbiamo la prova diretta, in forma di dichiarazione scritta, che von Däniken lesse Kolosimo, ma sappiamo che Kolosimo se la prese molto per non essere stato citato[109].

Polemiche, biografismo e narrativa


image
Spesso von Däniken, invece di discutere la sostanza delle proprie tesi, sposta tutto sul piano personale, riempiendo pagine di dispute e spaccando il capello per dimostrare che ci sono stati malintesi, esacerbati da pregiudizi e animosità[110]. Già questo gonfia considerevolmente certi libri. Di tanto in tanto, inoltre, si ricorda di essere uno scrittore e fa valere il suo diritto a inventare: a un’edizione inglese del 1999 del primo libro, come pure all’edizione del cinquantenario, è premessa la dicitura: «questa è un’opera di finzione»[111]! Von Däniken scrive che «un libro di non-fiction [sottinteso: come i suoi] è diverso da un romanzo. Ovviamente lo scrittore di non-fiction può anche immaginare un po’, e certamente può teorizzare, ma deve prima fare le sue ricerche»[112]. O ancora: «Vorrei ricordare che i miei libri non sono trattati scientifici e che a uno scrittore deve essere data un po’ di libertà artistica»[113]. Alcuni libri presentano narrazioni e parti creative dichiaratamente tali. Per esempio una conversazione con Verne[114], o il racconto di come i leader delle tre grandi religioni monoteiste vengono contattati e riuniti dall’umanità futura, ormai certa dell’esistenza degli extraterrestri, per favorire l’unità delle fedi[115] o, ancora, la descrizione della Terra da parte di un alieno che ne descrive storture e stranezze, incluso il fatto che parte dei terrestri «adora un cadavere appeso a una croce»[116].

Von Däniken inventore di una religione?


Racconta von Däniken che in tribunale si è tentato di screditarlo descrivendolo come una specie di leader religioso; gli accusatori si rifacevano a un articolo del settimanale elvetico Zürcher Woche del 29 febbraio 1969 nel quale era citato il teologo Marcel Beck. Oltre a sostenere che il libro di von Däniken fosse, dal punto di vista scientifico-naturale, «un prodigio di insipienza e insensatezza», Beck asseriva che appartenesse «alla moderna categoria degli scritti occulti e quasi-religiosi con cui persone eccezionali, o imbroglioni -scegliete voi- cercano regolarmente di svelare i reconditi segreti della Natura a uso delle anime semplici»[117]. Carl Sagan, nella Prefazione al libro di Story menzionato nell’articolo principale, scrive: «La popolarità di von Däniken è, penso, di matrice teologica. I nostri sono tempi difficili. La rilevanza immediata delle religioni tradizionali rispetto ai problemi contemporanei non è più ovvia come un tempo. [...] La tesi di von Däniken è una religione “pop” con lo stesso livello intellettuale di Superman ma senza la sua verve»; Secondo Sagan le tesi di von Däniken sarebbero religiose perché suggeriscono che «degli esseri provenienti da qualche altre parte ci salveranno da noi stessi»[118]. La stessa idea è ripresa più cautamente da Ronald H. Fritze articolo principale : anche lui fa riferimento all’analogia con le religioni, ma allo stesso tempo sostiene che i libri dell’autore svizzero sono accattivanti a causa sia delle spiegazioni non convenzionali di artefatti già di per sé curiosi, sia dello stile semplice, che incoraggia la lettura anche da parte di chi non è troppo interessato al tema[119]. Von Däniken si dice indignato: la sua non è una religione, ma una teoria testabile[120], sostiene. Fa notare, con comicità involontaria, o con cinismo, che ai suoi scritti manca, per essere una religione, una dottrina morale, per la quale non ha il minimo interesse[121]. Ma suggerisce anche che i Dieci Comandamenti, per lui ovviamente di origine extraterrestre, sarebbero, se applicati, una perfetta ricetta per la pace, e renderebbero la Terra un paradiso[122]. In effetti la tesi «forte» su von Däniken autore neoreligioso non è del tutto convincente perché l’aspetto salvifico e l’idea del ritorno degli extraterrestri sono temi marginali. Marginali: ma non assenti. In fatto di avvistamenti contemporanei di UFO von Däniken è come sempre ambiguo. Sottolinea di non esserne un fan, non avendone mai visto uno, ma dedica spazio a racconti di contatti, lasciando intendere che, esclusi errori e visionari, qualcosa di vero ci dev’essere[123]; avvalora anche i racconti di «rapimenti alieni» ottenuti attraverso l’ipnosi[124].

Alleanze tra pseudoscienziati e... Critica della pseudoscienza!


image
Erich von Däniken
Un’altra strategia di von Däniken consiste nel dare importanza ad autori pseudoscientifici, come il celebre (o famigerato) Immanuel Velikovsky (1895-1979), secondo il quale nelle antiche mitologie e religioni si troverebbe la narrazione di cataclismi realmente avvenuti[125]. Di lui von Däniken afferma: «quasi tutte le sue affermazioni sono state scoperte essere corrette»[126]. Velikovsky è per così dire un decano, e uno dei primi rappresentanti, degli autori pseudoscientifici, e in lui si ritrovano più o meno puntualmente errori e strategie testuali analoghi a quelli che stiamo rilevando in von Däniken. In particolare, Velikovsky si basava su semplificazioni e generalizzazioni dei testi antichi, amava presentarsi come ingiustamente negletto, glissava sui propri errori, sguazzava nella polemica, e millantava un contatto amichevole con Einstein che sì esisteva ma non era certo prova che il grande scienziato appoggiasse le idee di Velikovsky stesso[127].

Più tardi, von Däniken menziona anche Zecharia Sitchin (1920-2010)[128], il cui primo libro, The Twelfth Planet, fu pubblicato nel 1976 (si noti che Sitchin, a propria volta, cita von Däniken[129]). Sitchin è un altro autore pseudoscientifico “archetipico”, anche se arrivato in epoca più tarda (e in anni non più verdissimi), in cui si ritrovano gli stessi difetti di von Däniken; in particolare, essendosi laureato in storia economica e non in archeologia o linguistica, era molto meno competente in fatto di civiltà e lingue mesopotamiche antiche di quanto non desse a intendere nei suoi libri.

Un altro favorito di von Däniken è Joseph Blumrich (1913-2002) con il libro Da tat sich der Himmel auf (“E allora si aprì il cielo”, 1973), pubblicato in Germania da Econ, e apparso l’anno seguente in inglese come The Spaceships of Ezekiel (“Le astronavi di Ezechiele”)[130]. L’autore, austriaco, si qualifica come ingegnere che lavora per la NASA. Scrive di essersi inizialmente apprestato a confutare i libri di von Däniken, salvo accorgersi che aveva ragione: le visioni di Ezechiele potevano solo essere dovute all’incontro con astronavi, descritte nel libricino in dettaglio, con tanto di calcoli, illustrazioni e gergo tecnico[131]. Un altro libro, di simile tenore, che von Däniken cita, è The Manna Machine (“La macchina della manna”), pubblicato nel 1978 dai britannici George Sassoon (1936-2006), ingegnere elettronico, e Rodney Dale (1933), autore eclettico. Sostengono che la manna che nutrì gli ebrei nel Sinai fosse un’alga prodotta da una macchina alimentata da un reattore nucleare custodito nell’Arca dell’Alleanza. Von Däniken riporta questa bizzarra interpretazione dello Zohar (testo cabalistico in cui, secondo i due autori, si descriverebbe appunto la macchina) e le fotografie che riproducono il modellino della macchina costruito da Sassoon e Dale[132]. Con Blumrich, Sassoon e Dale si passa però dalla pseudoscienza che cerca di “darsi un tono” (Velikovsky, Sitchin) ai voli di fantasia più sfrenati; gli autori in questione non pare cercassero di costruire un personaggio o una produzione paragonabile a quelli di von Däniken, Velikovsky, e Sitchin, e i loro libri rimangono curiosità isolate.

Con la solita ambiguità, von Däniken dichiara anche di essere contro la pseudoscienza; è facile, afferma, smascherare i ciarlatani che cercano di ammantarsi di scienza: sono riconoscibili dal «loro attaccamento al presente e a specifiche ideologie»; ma un paio di righe dopo spiega (e conferma) le doti di profeti tra cui Sai Baba (1926-2011) rifacendosi alle tesi (filosofiche e controverse) del fisico francese Jean-Émile Charon (1920-1998) secondo il quale «in ciascun elettrone è contenuta tutta l’intelligenza dell’universo»[133]. Inoltre, von Däniken attacca teorie che presenta come strampalate in modo da far sembrare le proprie più ragionevoli, come ad esempio quella secondo cui le linee di Nazca sarebbero state create sotto l’influenza di sostanze allucinogene[134].

Un’immagine frammentaria ed elastica della scienza


image
L’autore svizzero accusa gli scienziati di accettare solo i risultati che si inquadrano in teorie precedenti[135], e al tempo stesso descrive i risultati della scienza come continuamente cangianti. Così da un lato la presunta «rigidità mentale» degli esperti spiega perché lui è ostracizzato, ma al tempo stesso la mutevolezza della scienza è invocata come fattore di ottimismo. Ammette anche che la sua «speculazione» è «piena di buchi» e che lui non ha «la verità»[136], è il futuro che riempirà quei buchi. «La fantascienza di ieri è la realtà di domani»[137]: un giorno si avrà la scoperta decisiva che gli darà ragione. Non prende però in considerazione l’ipotesi che tutta la sua teoria possa essere sconfessata. Cerca anche di sostenere che le sue «ricerche» soddisfano criteri scientifici. All’obiezione per cui le sue letture dei testi sacri sono selettive, lo scrittore svizzero controbatte che tutte le ricerche lo sono[138]. In un’occasione menziona una serie di «esperimenti» sui manufatti piramidali e le loro presunte capacità di conservazione come esempio di ripetibilità richiesta dal metodo scientifico a cui lui si conformerebbe. Peccato si tratti di una serie di testimonianze inviate da iscritti alla Ancient Astronauts Society dopo che erano stati invitati a «sperimentare» con le loro piramidi «caserecce»[139]! Si tratta, in tutti i casi, di ipersemplificazioni della costruzione, struttura e trasmissione del sapere scientifico. In generale, il problema non sono le specifiche asserzioni di von Däniken sulla scienza, che, se accuratamente contestualizzate e spiegate, potrebbero anche essere considerate corrette (la scienza in effetti cambia e si corregge: entro certi limiti e entro certe regole). Il problema è che lui non si dà mai il tempo di chiarire la struttura del metodo scientifico per filo e per segno, e ne impiega dei «frammenti» quando gli conviene.

Von Däniken ama lamentare l’assenza di studi interdisciplinari: sostiene che gli archeologi dovrebbero confrontarsi con ingegneri, geologi, fisici, chimici, o semplicemente con esperti di altri popoli rispetto a quelli su cui si sono specializzati[140]. Dimentica, però, che l’archeologia è già una disciplina largamente interdisciplinare, e che, comunque, lui non ha credenziali per nessuna di queste categorie: un dilettante che ficchi il naso ovunque non potrà mai sostituirsi a un gruppo interdisciplinare di esperti. O, ancora, insiste che i governi dovrebbero investire più soldi nelle ricerche archeologiche[141]! Il che è anche condivisibile, ma nulla fa pensare che poi quelle ricerche confermerebbero i libri di von Däniken...

Von Däniken spesso riassume articoli scientifici divulgativi e suggerisce che determinate ipotesi cosmologiche, o certi avanzamenti scientifici, corroborino le sue idee. A volte si tratta di una presunta analogia (tenue, se non inesistente) tra le sue narrazioni e ipotesi scientifiche, come quella della panspermia, cioè l’idea che la vita possa essere arrivata sulla Terra in una cometa sotto forma di molecole organiche (il che però c’entra poco o nulla con lo sbarco di extraterrestri con tanto di caschi e tute)[142]. Altre volte (ed è l’ennesima tecnica tipica degli pseudoscienziati, che si ritrova però anche in una religione ufologica come il raelismo[143]) sostiene che il progresso umano, per esempio l’ingegneria genetica, dimostra che determinate tecniche, da lui attribuite agli extraterrestri in tempi non sospetti, sono perfettamente realizzabili. Altre volte ancora attribuisce a se stesso l’intuizione di avanzamenti scientifici che poi si sarebbero realizzati, come la creazione di un super-computer[144] o la sintesi artificiale di un gene[145]. Ma, ovviamente, si tratta di razionalizzazioni a posteriori di affermazioni che in origine erano vaghe e generali.
image

Alla ricerca… degli scienziati


All’elogio del dilettante e alle lamentele per il respingimento delle proprie idee da parte degli scienziati si accompagna la ricerca ed ostentazione del contatto con questi ultimi. La biografia di Krassa articolo principale fa riferimento a una lettera di Wernher von Braun (1912-1977), celebre ingegnere aerospaziale, come decisiva per la pubblicazione del primo libro[146]. Von Braun però aveva scritto che nessuno sapeva se von Däniken avesse ragione, e che nessuno aveva le conoscenze per sostenere che avesse torto: un’affermazione piuttosto vaga. I libri successivi sono pieni di interviste, racconti e fotografie di incontri con esperti che (ammesso ovviamente che le loro parole siano riportate fedelmente) pronunciano asserzioni non incompatibili con le idee di von Däniken, per esempio formulando ipotesi sulle possibilità di viaggi interstellari o sull’esistenza degli extraterrestri[147]. Von Däniken si serve persino di riferimenti a Carl Sagan (1934-1996), per esempio sostenendo che «non avrebbe escluso» una visita aliena preistorica[148], o che avrebbe affermato che Fobos, satellite di Marte, sarebbe artificiale, ma l’astronomo statunitense è stato uno degli oppositori a von Däniken più netti, e quella su Fobos è una citazione errata (von Däniken ne ha incolpato il traduttore)[149]. Ovviamente il fatto che le idee e opinioni di scienziati, e le teorie scientifiche citate, siano non incompatibili con le narrazioni di von Däniken non significa che le corroborino.

Un pizzico di complottismo


image
Erich von Däniken
Von Däniken afferma di non essere un complottista[150], e in effetti non sottoscrive una teoria della cospirazione come quella sul finto sbarco lunare[151]. Nonostante questo, un lettore attento può facilmente rintracciare nelle sue opere sia ipotesi complottiste specifiche, sia modi di argomentare tipici dei complottisti. Da un lato fa affermazioni strabilianti su presunti complotti o «nascondimenti» senza sostanziarle di alcuna prova. Per esempio, secondo la tradizione della Chiesa Ortodossa Etiope l’Arca dell’Alleanza fu portata ad Axum da Menelik I, figlio di Salomone e della regina di Saba; von Däniken, basandosi sul fatto che tra il 1935 e il 1936 l’Etiopia cadde sotto il controllo italiano, scrive: «gli italiani si sarebbero persi l’opportunità di portare l’Arca a Roma, in segreto, come trofeo? Certo, una speculazione audace. L’Arca potrebbe persino essere conservata, attualmente, nel Vaticano, come atto di omaggio da parte dei fascisti»[152]. Avanza il sospetto che nei musei non si possa fotografare perché «la corporazione degli archeologi non ama che gli oggetti siano messi in una luce che non ha la loro benedizione»[153]. E ancora, ipotizza che i genetisti potrebbero scoprire i geni impiantati negli umani dagli alieni ma potrebbe essere loro impedito di divulgarlo (non precisa da chi, né perché)[154]. Dall’altro lato usa affermazioni generiche o luoghi comuni a proposito della credulità e dell’inerzia intellettuale che caratterizzerebbero chi respinge o non conosce le sue tesi. Descrive i giorni nostri come una realtà orwelliana: certi temi e autori sono emarginati e repressi per evitare che scuotano le fondamenta dell’establishment religioso e politico, mentre altri, come l’evoluzione biologica, sono inculcati sistematicamente nella mente delle masse[155]. A questo aggiunge la polemica contro la pigrizia indotta da Internet, e la mancanza di «coraggio civile»[156].

Tiriamo le somme


Fatta la tara degli errori fattuali e logici, delle rappresentazioni fuorviate e fuorvianti della scienza, del riferimento «circolare» ad altre storie pseudoscientifiche, delle ripetizioni, delle polemiche, delle spiegazioni che creano più problemi di quanti non ne risolvano, l’abbondante produzione di von Däniken si scioglie come neve al sole. Di questo scrittore svizzero un po’ sornione si salvano forse solo alcuni vivaci racconti di viaggio e le belle fotografie. Giunti alla fine di questo percorso, lascio ai lettori più appassionati il compito di esplorare le analogie con altri sostenitori del paleocontatto, e di controllare quante delle critiche qui mosse a von Däniken si applichino anche a loro.

L’autore ringrazia Lorenzo Montali per il lavoro editoriale, e Marco Ciardi insieme al gruppo CISU di studi kolosimiani per i suggerimenti.

Note

1) M. Morocutti, «L’astronauta di Palenque» (Enciclopedia CICAP: https://tinyurl.com/y8qkdrn6 ); G. Galati, «Astronavi preistoriche» (Query 11: https://tinyurl.com/y8ewfm7p ); A. Ferrero, «Antichi astronauti? La fantarcheologia e l’importanza del contesto» (Query 23: https://tinyurl.com/yasaz8yg ). Il presente articolo è parte di una ricerca più ampia i cui risultati saranno pubblicati in inglese. Per questo i libri consultati e citati sono traduzioni inglesi. Per non appesantire le note scrivo «EvD» e non il nome completo dell’autore; suoi sono tutti i libri di cui non preciso un altro autore. Ogni volta che ripeto la menzione di un libro, indico, per quelli di EvD, il titolo (a volte abbreviato, per es. Miracles invece di Miracles of the Gods), per gli altri autore e anno. Le traduzioni sono mie. I siti internet sono stati controllati il 4 ottobre 2018.
2) Miracles of the Gods: A Hard Look at the Supernatural (Souvenir Press, 1975): 63-64 e 72-73; Peter Krassa, Erich von Däniken: Disciple of the Gods (W. H. Allen & Co., 1978): 111; The Gods Were Astronauts (Vega, 2001): 6. Vedere anche According to the Evidence (Souvenir Press, 1977): 206-210
3) The Stones of Kiribati (Souvenir Press, 1981): 146.
4) Krassa 1978: 108-109.
5) Krassa 1978: 124. A onor del vero, non è un tema su cui EvD ritorni insistentemente.
6) Lexikon Westfälischer Autorinnen und Autoren 1750 bis 1950: https://tinyurl.com/ycvoufqh .
7) Il biografo Krassa riporta che la prima copia del libro fu presentata a EvD a fine febbraio 1968 e che la prima stampa fu realizzata in marzo. Le copie vendute a fine 1968 (incluse altre edizioni) sarebbero state, secondo ECON, 146.372 (Krassa 1978: 80). Nel 2018 si celebrano quindi cinquant’anni dalla messa in commercio del libro, che però cominciò a essere redatto in precedenza (il che spiega perché EvD abbia celebrato il cinquantenario nel 2016: https://tinyurl.com/y6wqms72 ). L’esistenza di articoli di EvD anteriori al libro e di tema affine, tra il 1964 e il 1965 (Krassa 1978: 74), l’esistenza di bozze del libro anteriori al 1968, l’intervento di Roggersdorf, e, infine, le diverse edizioni apparse il primo anno sollevano tutta una serie di interrogativi «filologici» e storici a cui in questo articolo possiamo solo accennare.
8) Ronald D. Story, The Space Gods Revealed (Book Club Associates London, 1976): 2.
9) “Gläubige Gemeinde», Der Spiegel, 28-9-1970: https://tinyurl.com/ycukecmd .
10) Vedere la bibliografia ufficiale qui: https://tinyurl.com/yb3pgvjz . Vedere anche l’IMDB: https://tinyurl.com/y8479neq .
11) Per una ricostruzione completa della genesi e dello sviluppo dell’idea degli extraterrestri nel passato si veda Marco Ciardi, Il mistero degli antichi astronauti (Carocci, 2017).
12) La lista riporta solo una selezione. Per una critica puntuale agli errori fattuali contenuti in questo libro, vedere John T. Omohundro, «Von Däniken’s Chariots: A Primer in the Art of Cooked Science», Skeptical Inquirer 1.1, 1976: https://tinyurl.com/yauny94e .
13) Chariots of the Gods? (Souvenir Press, 1969): 28-30. La fonte per questa narrazione è lo statunitense Charles Hapgood (1904-1982); cfr. Ciardi 2017: 179-181.
14) Chariots: 30-32 A Nazca è dedicato per intero Arrival of the Gods (Element, 1998) e il terzo capitolo di History is Wrong (Macmillan, 2017).
15) Chariots: 121-122. Vedere l’articolo di Ferrero citato alla nota 1 ma anche Story 1976: cap. 9 e Kenneth L. Feder, Frauds, Myths, and Mysteries (Mayfield Publishing Company, 1990): cap. 9.
16) Chariots: 51-53.
17) Chariots: 54-56.
18) Chariots: 56-58.
19) Chariots: 62-67 e 74-77. Vedere anche Astronauts: cap. 4.
20) Chariots: 79.
21) Chariots: 84.
22) Chariots: 96-99.
23) Chariots: 111-117.
24) Chariots: 43. Vedere G. Comoretto, «La pila di Baghdad», (Enciclopedia CICAP, 4-11-2000: https://tinyurl.com/y785k946 ).
25) Chariots: 43. Vedere anche The Gold of the Gods (Souvenir Press, 1973): 167.
26) Chariots: 126-127.
27) Return to the Stars: 12.
28) Krassa 1978: 96-98 e 132-149. Vedere anche Richard R. Lingeman, «Erich von Däniken’s Genesis», The New York Times, 31-3-1974: https://tinyurl.com/y9oumvv8 .
29) Come raccontato da Krassa, EvD da ragazzo rubò i fondi del suo gruppo scout, di cui era tesoriere, iniziativa giustificata con l’aiuto a un amico la cui madre era sotto sfratto (Krassa 1978: 53-54).
30) Story 1976: 6.
31) Ronald H. Fritze, Invented Knowledge (Reaktion Books, 2009): 205.
32) Vedere per esempio Evidence: 2 (e tutto il cap. finale).
33) Chariots: 60; 69-70.
34) Return to the Stars (Souvenir Press, 1970): 27.
35) Return: 40.
36) Chariots: 50. EvD non tiene però conto che la creazione delle piante nella Genesi (1,11) precede quella del Sole (1,16-18), il che pone qualche problema in termini di plausibilità scientifica in caso di interpretazione letterale, se si considera la fotosintesi clorofilliana. È interessante che nella stessa pagina, un paio di righe prima di asserire che la Genesi è accurata su minerali e piante, EvD scriva «La Bibbia è piena di segreti e di contraddizioni».
37) Return: 40.
38) Return: 41.
39) Return: cap. 4.
40) Gold: cap. 2 e 180-181.
41) Evidence: cap. 5. Vedere anche The Gods and their Grand Design (Souvenir Press, 1984): 154-155.
42) Signs of the Gods? (Souvenir Press, 1979): 64-70. Tutto il ragionamento è svolto da EvD in forma cauta e al tempo stesso confusa. L’idea sembra essere che, se da un lato le «razze» si sono mescolate e gli alieni non sono più attivi, così che non ha più senso parlare né di razza né tantomeno di «razza eletta», dall’altro le razze sono esistite, e una «preferenza» da parte degli alieni c’è stata, il che sarebbe alla base delle differenze che vediamo tuttora, e del fatto stesso che certi gruppi associano al concetto di «razza» un’idea di distinzione e un sentimento di orgoglio.
43) The Return of the Gods (Element, 1997): 37-39.
44) The Eyes of the Sphinx (Berkley Books, 1996): 57-60.
45) Story 1976: cap. 6. Vedere anche M. Polidoro, «Copule extragalattiche: quanto sono probabili?» (https://tinyurl.com/ya62mbtb ).
46) Miracles of the Gods: A Hard Look at the Supernatural (Souvenir Press, 1975): 7.
47) Miracles: 11.
48) Miracles: 45-49.
49) Miracles: 115-118.
50) Miracles: cap. 2. Vedere anche The Return of the Gods: 22.
51) Miracles: 98-101. Su Saitsev (e simili autori sovietici, importante fonte della «paleoastronautica») vedere Vladimir Rubtsov, «Propaganda und Paläo-SETI», Sagenhafte Zeiten, 15 (4), 16–21. Tali interpretazioni in realtà non erano religiose ma «ateo-tecnologiche».
52) Miracles: 129-131.
53) Miracles: 136-137.
54) Miracles: 147.
55) Miracles: 193-199.
56) Miracles: 198.
57) Miracles: 203.
58) The Return of the Gods: 134-137. Fatima è discussa anche in Astronauts, cap. 2.
59) History is Wrong: 160.
60) Peter Krassa, Erich von Däniken: Disciple of the Gods (W. H. Allen & Co., 1978).
61) Chariots: 17; Return to the Stars: 66; Gold: 197; Astronauts: 63; Twilight of the Gods (New Page Books, 2010): 181-182.
62) Krassa 1978: 66 e 111.
63) Della visita a Lourdes scrive che il consumismo, visto ovunque, lo disgusta; Miracles: 104.
64) Astronauts: 14; Vedere anche Twilight: 19; History is Wrong: 147.
65) Miracles: 90. Vedere anche The Return of the Gods: 95-96. Nello stesso libro si apre a induismo, giainismo e buddhismo.
66) In Chariots afferma che è «QUALCOSA» [sic] che rimarrà quando avremo risposto a tutte le domande sul nostro passato (68).
67) “Sono convinto che il gran Dio dell’universo non abbia assolutamente nulla in comune con gli ‘dèi’ che infestano leggende, miti e religioni e che operarono la mutazione da animale a uomo» (Return to the Stars: 168).
68) The Return of the Gods: 86-87.
69) “Le religioni con i loro innumerevoli dèi frenano il progresso. Quanto spesso le religioni e le sette, ciascuna votata a un dio, sono state causa di guerre, miseria e abominio e se non cambiano visione, saranno uno dei fattori della fine dell’esistenza umana» (The Gold of the Gods: 199). Vedere anche Miracles: 66, 145 e 152; Astronauts: 108.
70) Evidence: 279; Astronauts: 58.
71) Astronauts: 14.
72) Gold: cap. 7.
73) The Return of the Gods: 66.
74) Gold: 190; Astronauts: 12.
75) Astronauts: 192-193.
76) Grand Design: cap. 1. Vedere anche Miracles: 42-44; The Return of the Gods: 39-41; History: cap. 2.
77) Return to the Stars: 149-154. Vedere anche Gold: 49.
78) Return to the Stars: 43.
79) Evidence: 163.
80) Evidence: 66. In Search of Ancient Gods (Souvenir Press, 1973): 89.
81) The Return of the Gods: 179.
82) Evidence of the Gods (New Page Books, 2013): 39.
83) Chariots: 88; Gold: 13; Grand Design: cap. 3; Odyssey of the Gods (Element, 2000): 94-97.
84) Chariots: 44-45. Si veda anche l’articolo di Marco Ciardi «Io sono come Galileo», Query 13, (2013): https://tinyurl.com/ybu9fjkj .
85) Evidence: cap. 1. La lista include Copernico, Keplero, von Guericke, Mendel, Lavoisier…
86) Astronauts: 167-168. Alle dichiarazioni di modestia EvD affianca spesso dei «moti d’orgoglio»: rivendica la sua pluriennale «esperienza» e sostiene di avere ispirato non solo numerosi libri (tra i quali alcuni scritti da «scienziati») ma anche film come Guerre Stellari (Kiribati: 8).
87) The Earth Chronicles Expeditions (Bear & Company, 2004) e Journeys to the Mythical Past (Bear and Company, 2007).
88) Sphinx: 2.
89) Search: 25.
90) Search: 80.
91) Search: 166.
92) Remnants of the Gods (Career Press, 2014): 100.
93) Sphinx: 65.
94) Return to the Stars: 56
95) Twilight: 112-113. Remnants: 100.
96) Evidence: 153-154; Signs: 234; Kiribati: 149; Grand Design: 131; The Return of the Gods: 83; Sphinx: 173.
97) Twilight: 171.
98) Chariots: 117.
99) Grand Design: 204.
100) Sphinx: 241.
101) Grand Design: 57.
102) Miracles: 111 (la citazione è sbagliata, perché felix qui potuit… è un verso virgiliano).
103) Gold: 189.
104) Sphinx: 270.
105) The Return of the Gods: 184.
106) Astronauts: 189.
107) Invented Knowledge (Reaktion Books, 2009): 209-210. In Twilight of the Gods (libro di EvD del 2010) sono definiti «due grandi giornalisti e pensatori francesi» (28).
108) Return to the Stars: 9.
110) History: cap. 3 (dedicato all’affaire dei tunnel in Ecuador, su cui si veda anche Story 1976: cap. 10).
111) Fritze 2009: 284. La pagina del copyright dell’edizione del cinquantenario è accessibile attraverso Amazon.
112) Arrival: 186.
113) History: 126.
114) Evidence: 43-44.
115) The Return of the Gods: cap. 3. EvD non considera il paradosso che scaturisce da questa situazione: se la missione dal futuro avesse successo allora la missione stessa sarebbe inutile...
116) The Return of the Gods: cap. 5.
117) Krassa 1978: 138. Anche i citati articoli di Omohundro e di Lingeman ricorrono al paragone di EvD con un nuovo leader religioso.
118) Story 1976: xiii.
119) Fritze 2009: 202.
120) Gold: 70.
121) The Return of the Gods: 45 e 53.
122) Signs: 228-231.
123) Chariots 141 e Evidence 19 e 289.
124) The Return of the Gods: 160-172.
125) Chariots: 154.
126) Evidence: 17-19.
127) Su Velikovsky si veda Fritze 2009: 168-193; Michael D. Gordin, The Pseudoscience Wars. Immanuel Velikovsky and the Birth of the Modern Fringe (University of Chicago Press, 2012).
128) Grand Design: 16-17. Sphinx: 207-210; Ciardi 2017: 121-122.
129) Zecharia Sitchin, The Lost Realms (Bear & Company, 1990): 71 e 131.
130) The Spaceships of Ezekiel (Corgi Books, 1974).
131) Blumrich 1974: Foreword. La storia è raccontata da EvD in Gold: 185-189 e Search: 41-45.
132) Evidence: 302-310; Signs: 16-20 (Sassoon e Dale sono definiti «scienziati”). Il libro, pubblicato da Sidgwick and Jackson, fu preceduto da un articolo dei due intitolato «Deus est machina?» pubblicato nel New Scientist, 70:994, il 1° aprile 1976.
133) The Return of the Gods: 89.
134) Arrival: 96.
135) Search: 66.
136) Chariots: 70-71.
137) Return to the Stars: 91.
138) The Return of the Gods: 53.
139) Sphinx: 185.
140) Signs: 93; Grand Design: 117; Sphinx: 225; Astronauts: 177; Twilight: 110.
141) Chariots: 38-39.
142) Evidence: 231-232. Twilight: 178-179.
143) Si veda S. Bigliardi, «Il fascino sfacciato del Raelismo. Conversazione con l’ex Raeliano Jiro Kambe» Query 21, primavera 2015, 27-32 (https://tinyurl.com/yat4cogs ).
144) Evidence: 61-62.
145) Evidence: 260.
146) Krassa 1978: 76. Von Braun è citato anche in Chariots of the Gods? 174-175 come intervistato da EvD. Occorre notare che la lettera in questione non è riportata da Krassa ma solo menzionata. Non è comunque inverosimile che vi sia stata una interazione, epistolare o di persona (durante un viaggio negli Stati Uniti) tra l’ingegnere e lo scrittore, visto che il primo, all’epoca di Chariots, da una quindicina d’anni andava rilasciando interviste a tappeto a tutti i soggetti e giornali del mondo, pur di diffondere le proprie idee. Sul rapporto EvD-von Braun si veda anche Ciardi 2017: 182-183.
147) Si vedano le interviste con il fisico Edgar Lüscher e con l’ingegnere Harry O. Ruppe (Evidence: 38-43 e 67-79).
148) Return to the Stars: 16-17.
149) Story 1976: 106. Di Sagan è la Prefazione al libro di Story, in cui scrive che le dottrine come quelle di EvD sono «un piccolo ma definito pericolo sociale» (Story 1976: xiii). Sul rapporto EvD-Sagan vedere anche Ciardi 2017: 189-191.
150) Arrival: 6; History: 137.
151) The Return of the Gods: 170; Twilight: 37-38.
152) Signs: 47.
153) Signs: 105. Vedere anche Grand Design: 166.
154) The Return of the Gods: 150.
155) History: 76-78. Twilight: 194.
156) Twilight: 168; Remnants: 68-70.
accessToken: '2206040148.1677ed0.0fda6df7e8ad4d22abe321c59edeb25f',