Storia di un cavallo e dell'uomo che gli insegnò a contare

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Anche voi avete un cane, un gatto o un cavallo che sembrano capire quello che dite e, talvolta, persino rispondervi? Magari non capite esattamente cosa vi stanno rispondendo, i linguaggi delle loro specie sono diversi dal nostro, è chiaro, eppure la sensazione che la loro risposta sia più saggia di quella che vi hanno dato amici e familiari è forte.

All’inizio del 1900, un certo von Osten, pensionato di Berlino, acquistò un cavallo con l’intento di renderlo il suo miglior alunno: era stato, infatti, insegnante di matematica, ed era convinto che i cavalli potessero dargli grandi soddisfazioni, se educati con le stesse tecniche che aveva usato con i suoi alunni umani. Il cavallo che scelse per il suo esperimento si chiamava Hans ed era dotato di una fronte particolarmente bombata.

Von Osten iniziò proprio dalla matematica: con dei birilli cercò di insegnargli a contare[1]. Prendeva un birillo e lo poneva di fronte al cavallo, dopo di che gli prendeva una delle zampe anteriori, la alzava e abbassava facendogli battere lo zoccolo a terra: “uno!”, diceva contemporaneamente indicando il birillo. E allo stesso modo, con grande pazienza e per un totale di quattro anni, gli insegnò gli altri numeri.

Il 7 luglio 1904 kluge Hans, ovvero l’intelligente Hans, fece la sua comparsa su un quotidiano e iniziò a esibirsi pubblicamente, diventando ben presto noto in Europa e in America.

Cosa sapeva fare Hans? Innanzitutto contare ed eseguire le quattro operazioni aritmetiche: se gli si chiedeva, per esempio, quanto fa 3×6 rispondeva battendo a terra lo zoccolo 18 volte. Ma era in grado anche di fare conti più complessi, per esempio con le frazioni.

Negli spettacoli, von Osten gli chiedeva di indovinare quale numero avesse in mente, sapendo che, sottratto un certo numero, se ne otteneva un terzo come resto: sostanzialmente la risoluzione di una semplice equazione con una incognita.

Non è tutto: Hans conosceva anche le figure geometriche: sapeva distinguere un cerchio da un quadrato e se gli si chiedeva quanti lati ha il cerchio scuoteva il capo, dato che il cerchio non ha lati, mentre se gli si chiedeva quanti lati ha il quadrato batteva quattro volte lo zoccolo a terra.

Anche con il tedesco scritto il cavallo se la cavava bene, non altrettanto si poteva dire del latino e del francese. In tedesco, però, riusciva a riconoscere una serie di parole scritte di fronte a lui, spostandosi vicino a quella che veniva pronunciata.

Von Osten poteva essere ben fiero del suo alunno a quattro zampe. Certo, anche Hans ogni tanto sbagliava, ma chi non sbaglia mai? Von Osten riteneva quindi di aver dimostrato che i cavalli pensano allo stesso modo degli esseri umani, se educati adeguatamente.

Le doti di Hans arrivò al punto da sembrare quasi paranormale: il cavallo, infatti, riusciva a indovinare anche un numero solamente pensato! In molti credettero che non ci fosse altra spiegazione se non la trasmissione telepatica diretta delle soluzioni dal cervello del suo padrone. Qualcuno parlò di ipnosi, di influenza magnetica dell’uomo sul cavallo o formulò teorie ancora più strampalate.

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Secondo i più scettici, invece, von Osten riusciva a indirizzare le risposte del cavallo con dei segnali nascosti, che però nessuno riusciva a individuare, come succedeva invece con gli altri cavalli che venivano esibiti nei circhi nello stesso periodo e di cui si millantavano analoghe capacità. In tutti gli altri casi, infatti, era evidente che l’addestratore comunicava con il proprio animale facendo qualche segnale, in questo no. Nonostante ciò, von Osten fu accusato di frode e, qualche mese dopo la prima esibizione, una commissione scientifica esaminò lui e il suo alunno equino. L’ipotesi di frode cadde non appena Hans dimostrò di essere in grado di rispondere correttamente anche in assenza del padrone. Venne formata, allora, una seconda commissione, di cui faceva parte lo psicologo Oskar Pfungst, il cui lavoro con Hans aprì la strada della psicologia sperimentale.

Pfungst provò a interrogare egli stesso il cavallo, facendo attenzione a non suggerire le risposte. Dopo un primo momento di “turbamento” da parte di Hans, anche Pfungst riuscì a ottenere da lui risposte corrette, pur facendo attenzione a non suggerirgliele in alcun modo.

Ben presto si vide che, se chi poneva le domande non conosceva le risposte, le prestazioni di Hans calavano vertiginosamente, passando da un 98% di risposte corrette ad appena l’8%. Questi test dimostravano perciò che Hans non era dotato di pensiero astratto, ma interpretava qualche segnale inviatogli inconsciamente dall’uomo: quale non era ancora chiaro. Vennero fatte diverse prove e si notò che, per ottenere risposte corrette, era indispensabile che il cavallo potesse vedere chi lo interrogava, mentre era ininfluente che udisse o meno la domanda. Questa era la ragione - e non la telepatia - per cui riusciva a rispondere anche a domande solo pensate e non formulate ad alta voce!

La bravura di Pfungst fu nel riuscire a cogliere questo impercettibile segnale. Egli notò, infatti, che generalmente le persone, dopo aver formulato la domanda, piegavano in avanti testa e tronco: un movimento impercettibile che faceva capire a Hans che doveva iniziare a battere lo zoccolo. Raggiunto il numero giusto di battiti, la testa dell’interrogante eseguiva un movimento minimo verso l’alto, che indicava al cavallo di smettere. Hans, quindi, non era dotato di pensiero astratto e indipendente, pur mostrando una grandissima abilità nel riconoscere segnali apparentemente impercettibili.

È importante sottolineare che questi movimenti, spesso inferiori al millimetro, erano emessi inconsciamente. Pfungst verificò che, in assenza di questo segnale, Hans non riusciva più a dare risposte corrette, così come quando il segnale era dato nel momento sbagliato, e imparò lui stesso a rispondere in base a questi piccoli movimenti inconsci.

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Queste stesse tecniche potevano facilmente essere applicate (e infatti lo erano) nelle dimostrazioni di telepatia tanto in voga all’epoca. I risultati di questi test furono resi pubblici a dicembre e la notorietà di Hans scomparve rapidamente.

La sua storia, tuttavia, rimane nei manuali di psicologia sperimentale, dove il “clever Hans effect” denota come piccoli segnali da parte di chi pone delle domande influenzino il comportamento dell’interrogato. Queste scoperte, inoltre, hanno condotto all’adozione del metodo del doppio cieco in tutti quei casi in cui lo sperimentatore poteva, involontariamente, indurre un certo tipo di risposte nel soggetto testato.

Il povero von Osten non prese bene i risultati della commissione, rimanendo convinto delle incredibili capacità del suo allievo equino. Morì meno di cinque anni dopo, nel 1909, maledicendo quel cavallo che aveva distrutto la teoria da lui formulata, secondo la quale l’intelligenza dei cavalli era pari a quella umana e, pur in assenza di parola, poteva portare agli stessi risultati se stimolata da opportuni insegnamenti.

In realtà, prima di von Osten, qualcuno era già riuscito ad addestrare un animale in modo che sembrasse leggere nella mente. Mountjoy e Lewandowski ne parlano in un due documenti[2] pubblicati nel 1984, nei quali descrivono le tecniche usate per addestrare un animale affinché sembri sapiente. Queste prevedono varie tecniche tra cui rinforzi positivi e punizioni, l’esposizione a stimoli sempre meno evidenti da parte dell’addestratore, e così via. Tra gli esempi vi è quello di un maiale, addestrato all’inizio dell’800 a “leggere nel pensiero”.

Dite la verità: in confronto ad Hans, forse adesso i vostri amici a quattro zampe non vi sembrano più così brillanti...

Note

1) Assagioli R. (1912), I cavalli pensanti di Elberfeld, Psiche, 1, pagg. 419-450
2) T. Mountjoy, Paul & G. Lewandowski, Alan. (1984). The Dancing Horse, A Learned Pig, and Muscle Twitches, The Psychological Record, 34. 25-38.

Riferimenti bibliografici

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