Matematica e metodo scientifico applicati all’Affaire Dreyfus

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  • 26-04-2019
  • di Davide Passaro
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“L’affaire Dreyfus” è probabilmente il più famoso caso di errore giudiziario della storia dell’Occidente. Il caso ebbe una vasta eco e mobilitò l’opinione pubblica.

In quel contesto, un ruolo importante venne svolto dagli intellettuali che si schierarono in modo più o meno pubblico appoggiando uno dei due fronti. Il più noto fra gli interventi è stato quello di Émile Zola che con il suo celebre editoriale “J’Accuse”, pubblicato nel 1898 sul giornale socialista L’Aurore, denunciò pubblicamente le illegalità commesse nel processo che aveva portato nel 1894 alla condanna per alto tradimento del capitano dello stato maggiore Alfred Dreyfus.

Si tratta di una lettera aperta al Presidente della Repubblica Félix Faure, che denuncia l’accanimento dello Stato Maggiore francese nei confronti di Dreyfus e la copertura del vero colpevole, l’ufficiale Esterhazy, sul quale convergono prove schiaccianti.

In questo numero della rubrica vedremo che un ruolo poco noto nella vicenda lo ebbe la matematica e, in termini più ampi, l’applicazione del “metodo scientifico”, grazie al quale fu possibile elaborare un ragionamento in grado di smontare il castello accusatorio costruito in modo del tutto artificioso contro Dreyfus.

A differenza dei precedenti articoli di questa rubrica curata dallo staff del progetto divulgativo www.mathisintheair.org , questa volta si è deciso di mostrare la potenza della matematica come strumento della ragione, scegliendo un esempio che appartiene alla storia.

Ad essere smontate dal rasoio della razionalità affilato dall’uso della matematica furono, in questo caso, le perizie calligrafiche (pseudo)scientifiche che attribuivano ad Alfred Dreyfus la realizzazione di un testo, unico elemento accusatorio in mano all’accusa.

L’affaire Dreyfus e il ruolo delle perizie calligrafiche (pseudo)scientifiche


La storia ha inizio nel 1894 quando i servizi segreti francesi entrano in possesso di una lettera strappata in diversi pezzi (indicati anche con il termine di bordereau), ritrovata presso l’Ambasciata tedesca, che provava la presenza di un traditore ai vertici dell’esercito.
Il documento anonimo, indirizzato all’ufficiale tedesco Maximilian von Schwarzkoppen, preannuncia l’arrivo di documenti segreti provenienti dallo Stato Maggiore francese.
Alfred Dreyfus, ufficiale di origine alsaziana e di religione ebraica, viene individuato come capro espiatorio e accusato di essere l’autore del testo.
Solo un ufficiale di Stato Maggiore avrebbe potuto aver accesso a quei documenti e tali ufficiali appartenevano a una casta selezionata, di origine prevalentemente nobiliare. I sospetti, in modo del tutto aprioristico, caddero sui giovani ufficiali e fra questi l’attenzione si diresse su Dreyfus.
A seguito di un processo contrassegnato da diverse irregolarità, questi venne condannato alla deportazione a vita nell’Isola del Diavolo, famigerata colonia penale al largo della Guyana francese.
Qualche anno dopo, Georges Picquart, nuovo capo dell'ufficio informazioni dello Stato Maggiore, si convinse dell’innocenza di Dreyfus e si attivò per far riconoscere che tale condanna era stata ingiusta.
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Alphonse Bertillon
Le successive vicissitudini, con tutti gli addentellati di natura politica e sociale, sono lunghe ed intricate e non vi sarebbe qui lo spazio per trattarle nel dettaglio. Riportiamo, però, un brano tratto da un articolo di Indro Montanelli pubblicato il 16 ottobre 1994; in poche righe descrive l’importanza della vicenda e tutti i suoi collegamenti di natura politica e ideologica con risvolti ben più ampi della condanna della singola persona:
«Essa non fu soltanto il più appassionante “giallo” di fine secolo. Fu anche l’anticipo di quelle “deviazioni” dei servizi segreti che noi riteniamo – sbagliando – una esclusiva dell’Italia contemporanea. Ma fu soprattutto il prodromo di Auschwitz, perché portò alla superficie quei rigurgiti razzisti e antisemiti di cui tutta l’Europa, e non soltanto la Germania, era inquinata. Allora, grazie soprattutto alla libertà di stampa che smascherò l’infame complotto, quei rigurgiti furono soffocati. Ma la vittoria dell’antirazzismo, che lì per lì sembrò definitiva, fu, come sempre quella della Ragione, soltanto momentanea. Le cronache di oggi dimostrano che nemmeno i forni crematori dell’Olocausto sono riusciti a liberarci dal mostro che si annida nel subconscio delle società (con rispetto parlando) cristiane, e che proprio nell’affare Dreyfus diede la misura più eloquente della sua abiezione. Ma quell’affare – destinato a passare alla Storia come l’Affaire per antonomasia – segnò una svolta epocale anche per un altro motivo: per gli effetti che provocò nella coscienza di un piccolo giornalista ebreo della Neue Freie Presse di Vienna, Theodor Herzl, destinato a diventare l’apostolo e il fondatore spirituale dello Stato d’Israele»[1]

Come anticipato, visto che l’unica prova a carico dell’imputato era un testo scritto a mano, le perizie calligrafiche svolsero da subito un ruolo importante.

In realtà le perizie non furono unanimi, ma, a dimostrazione della parzialità del processo, in quel contesto vennero presentate solamente quelle di colpevolezza.

Uno degli esperti chiamati a eseguire la perizia calligrafica fu Alphonse Bertillon, impiegato del Servizio d’Identità̀ Giudiziaria della Prefettura di Parigi, noto per aver messo a punto un sistema di identificazione dei criminali.

Bertillon, che in realtà non era un vero esperto calligrafico specializzato, propose la teoria dell’autofalsificazione, secondo la quale Dreyfus avrebbe scritto il testo che era stato ritrovato modificando la sua scrittura attraverso un metodo che Bertillon presumeva di aver ricostruito.

L’approccio di Bertillon si basava sull’individuazione di coincidenze geometriche prodotte volontariamente dall’autore all’interno del testo, dovute alla modalità utilizzata per scrivere il testo e sul calcolo delle probabilità̀ di queste coincidenze.

Durante il processo di revisione del 1899, Bertillon sosterrà in tribunale la tesi secondo cui «se si eseguisse un’analisi altrettanto accurata su un documento qualsiasi, sarebbe impossibile trovare delle coincidenze geometriche simili a quelle trovate nel bordereau».

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Secondo Bertillon, il testo ritrovato mostrerebbe tutte le caratteristiche di un documento scritto mediante ricalcatura e, sempre secondo questi, la presenza di numerose anomalie permetterebbe di concludere che non si tratta di scrittura naturale. In base alle sue analisi, egli, a suo dire, dimostrava che le parole di una stessa riga non occuperebbero posizioni casuali, ma sarebbero state scritte a mano libera seguendo un tracciato in trasparenza; inoltre le righe non sarebbero disposte in maniera casuale sulle due facciate del documento, ma avrebbero una distanza rigorosamente costante sulla seconda facciata, e distanze diverse ma ripetute per gruppi di tre sulla prima. Il bordereau sarebbe dunque un documento costruito appositamente in modo che, se fosse stato trovato in mano al traditore prima della sua consegna, egli avrebbe potuto dire di essere di fronte ad un complotto, in quanto la scrittura del testo era stata contraffatta dalla sua e, se fosse stato trovato successivamente, questi avrebbe potuto dichiarare che la scrittura utilizzata nel testo non coincideva con la propria.

In tutto questo ragionamento (evidentemente abbastanza contorto) la chiave di volta era rappresentata da una lettera, scritta da Mathieu Dreyfus e sequestrata a casa di Alfred. La parola intérêt (interesse), contenuta nella lettera, sarebbe la matrice utilizzata dal traditore per scrivere il bordereau. Pertanto l’autore sarebbe Dreyfus, in quanto possessore della lettera.

Si noti come la scelta della parola intérêt (interesse) non sia del tutto casuale nel contesto di antisemitismo in cui si svolge la vicenda.

Appell, Darboux e Poincaré: una commissione di matematici per analizzare le perizie


Nel 1904 la Corte di Cassazione, pur essendo ormai emerse evidenze che portavano ad acclarare l’innocenza di Dreyfus, ritenne necessario interpellare alcuni esperti della comunità scientifica per chiarire ulteriormente la questione. A questo punto il governo aveva deciso di porre fine alla questione e la “garanzia” della scienza fu giudicata indispensabile per un giudizio completo.

In qualche modo, visto che alcuni periti, invocando l’obiettività scientifica del loro lavoro, avevano incolpato Dreyfus, si voleva verificare se queste perizie fossero in realtà sbagliate. Questa vicenda in effetti mise chiaramente in evidenza il problema rappresentato da delle perizie “scientifiche” che non seguano basilari criteri di scientificità. Analizzando quelle prodotte nell’ambito del caso Dreyfus emerge, infatti, come gli esperti avessero spacciato delle convinzioni personali per certezze scientifiche.

Gli scienziati di “chiara fama” chiamati ad esprimersi sulle prime perizie furono i matematici Paul Émil Appell, Jean Gaston Darboux e Jules Henri Poincaré. In particolare quest’ultimo si occupò di redigere gran parte del rapporto richiesto dalla Corte. La presenza di Poincaré era particolarmente significativa, non solo per la chiara fama riconosciuta universalmente al matematico, ma anche perché, a differenza degli altri due scienziati, non si era mai pubblicamente schierato, garantendo un profilo di obiettività̀.

Il rapporto degli esperti del 1904 mette chiaramente a nudo le numerose contraddizioni e i grossolani errori delle precedenti perizie; letto con gli occhi di oggi rappresenta un vero esempio di applicazione del metodo scientifico e della razionalità.

Le critiche alle perizie si possono sintetizzare come segue:
  • le misure non sono corrette poiché sono state eseguite su riproduzioni della lettera non conformi all’originale;
  • le tecniche matematiche vengono utilizzate impropriamente ed erroneamente;
  • l’uso del calcolo delle probabilità non è legittimo nelle questioni morali.

Il primo punto, nella nostra epoca in cui tecnologie come scanner e fotografie sono diffuse a tutti i livelli, può sembrare inverosimile eppure, come dimostrerà la commissione, gli autori delle perizie avevano davvero lavorato su una copia non corrispondente all’originale.

Utilizzando un adeguato approccio scientifico, il bordereau fu sottoposto ad una serie di misure di grande precisione realizzate con il macromicrometro, uno strumento utilizzato nello studio delle fotografie delle carte celesti. Da queste misure emerse, come anticipato, che la copia non era fedele e già questo contribuiva ad inficiare buona parte della tesi di Bertillon, fondata su presunte considerazioni di natura geometrica.

Il testo scritto dai matematici inoltre si dedica a demolire anche le osservazioni di natura probabilistica ipotizzate da Bertillon. Per prima cosa vengono esplicitati i grossolani errori di applicazione del calcolo delle probabilità commessi dall’esperto (non entriamo nel dettaglio in questo articolo, invitiamo i lettori interessati a vedere il rapporto degli esperti riportato in bibliografia).

Appell, Darboux e Poincaré evidenziano, inoltre, che in ogni caso la presenza di qualche coincidenza fra le lettere nel testo non potrebbe dimostrare nulla. Il ragionamento può essere semplificato nel seguente modo: supponiamo che un evento abbia una bassa probabilità a priori di verificarsi. Se quell’evento si verifica siamo autorizzati a concludere che esso non potesse essere l’effetto del caso?

Per esempio, l’uscita di un numero al lotto è un caso di evento la cui probabilità a priori è bassa. Ma se quel numero esce non possiamo certo affermare che l’estrazione è stata truccata, poiché uno dei 90 numeri doveva pur essere estratto!

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Bordereau
Nel caso Dreyfus, quindi, dalla presenza di coincidenze nelle lettere del testo tali da rendere l’evento poco probabile non si può dedurre alcunché, visto che potrebbero anche essere solo frutto del caso.

Infine, i matematici chiariscono un ulteriore errore concettuale, ovvero quello di confondere,quelle che loro indicano come,probabilità delle cause e probabilità degli effetti. Per spiegarlo, offrono il seguente esempio:,un’urna contiene 90 palline bianche e 10 nere. Qual è la probabilità di estrarre dall’urna una pallina nera? In questo caso ovviamente la risposta è 10/100 ovvero 1/10.

Le cose cambiano se, invece, si considerano,due urne identiche nell’aspetto esteriore (ma il ragionamento si più generalizzare ad un numero arbitrario di urne) tali che una contiene 90 palline bianche e 10 nere e l’altra contiene 90 palline nere e 10 bianche; si,immagini di estrarre da una delle due urne, senza sapere quale, una pallina bianca. Qual è la probabilità che sia stata estratta dalla prima urna? Questo calcolo è meno banale.

Nel primo esempio la causa è nota (la composizione dell’urna) e si vuole calcolare la probabilità di un determinato effetto. Nel secondo esempio, invece, l’effetto è noto (per esempio il colore bianco della pallina estratta) e si vuole calcolare la probabilità di una determinata causa, ovvero capire da quale urna è stata estratta la pallina.

Tenendo conto di questa differenza, nello studio delle coincidenze del bordereau, è corretto applicare il ragionamento relativo alla probabilità delle cause: in questo caso, infatti, l’effetto è noto ed è rappresentato dalle coincidenze rilevate sul testo ritrovato, mentre la causa è sconosciuta (il fenomeno è dovuto ad una scrittura naturale, ad un particolare metodo di contraffazione o deriva da una autofalsificazione dell’autore stesso del testo?).

Per poter stimare la probabilità, quindi, è necessario conoscere tutte le possibilità che avrebbero potuto agire da causa. È evidente che ciò nel caso Dreyfus è impossibile.

Chi fra i lettori di questa rivista è abituato a ragionamenti probabilistici riconoscerà in questo modo di ragionare proposto dai matematici quello che, attualmente, è indicato come approccio bayesiano, che, dati due eventi A e B, dimostra la differenza fra la probabilità che si verifichi un evento A dato uno B (p(A|B))e la probabilità di B dato l’evento A (p(B|A)), così come mostrato nella figura seguente che contiene la nota formula di Bayes.
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Questa vicenda storica è in realtà ancora molto attuale, perché mostra come sia possibile, utilizzando degli argomenti pseudoscientifici, portare avanti alcune tesi e, forti di questa presunta scientificità, convincere altre persone della correttezza dei propri ragionamenti.

A sua volta, il lavoro della commissione dei matematici è un esempio di come l’uso corretto della scienza possa spesso dirimere questioni controverse.

L’attualità è ancora purtroppo piena di presunti esperti che, sostenendo di utilizzare metodi e strumenti derivanti dalla scienza, agiscono in realtà a danno della collettività.

La riabilitazione di Dreyfus è anche un esempio di come, anche se con il tempo, sia possibile porre rimedio a errori giudiziari inficiati da pratiche pseudoscientifiche.

Note



Riferimenti bibliografici

  • Kaye, D. H. 2006. "Revisiting Dreyfus: A More Complete Account of a Trial by Mathematics". Minnesota Law Review.
  • Ricostruzione del processo: https://bit.ly/2XyJKZQ
  • Traduzione in lingua inglese del documento redatto da Paul Émil Appell, Jean Gaston Darboux e Jules Henri Poincaré: https://bit.ly/2C3MhBY
  • L. Mazliak, “Poincaré and Probability” Lett Mat Int (2013) 1:33–39 DOI 10.1007/s40329-013-0004-2
  • R. Mansuy, L. Mazliak, “Introduction au rapport de Poincaré pour le procès en cassation de Dreyfus en 1904”, Electronic Journal for History of probability and Statistics, disponibile qui https://bit.ly/2Her8IL
  • Link a raccolta di storici casi giudiziari in cui il ragionamento probabilistico (in particolare Bayesiano) ha avuto un ruolo importante: https://bit.ly/2IPDbio
  • C. Umani, “La critica di Henri Poincaré del metodo di Bertillon nell’ambito del caso Dreyfus”. Tesi di Laurea in Matematica, Università La Sapienza, A.A. 2009/2010.
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