La doppia vita (involontaria) di Leonardo

Leonardo da Vinci, da artista indagatore della natura a maestro iniziatico segreto

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  • 26-04-2019
  • di Paolo Cortesi
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Era un omosessuale dichiarato e un adoratore del divino ordine della natura, due caratteristiche che lo ponevano costantemente in stato di peccato contro Dio. (...) esumava i cadaveri per studiare l’anatomia umana; teneva misteriosi diari scritti in calligrafia invertita che risultavano illeggibili; credeva di possedere il potere alchemico di trasformare il piombo in oro e anche di potere ingannare Dio creando un elisir che allontanava la morte. (...) dipingeva i suoi soggetti cristiani non per manifestare la sua fede, ma per motivi puramente venali: erano il mezzo che gli permetteva di condurre una vita dispendiosa. (...) In molti dei suoi quadri cristiani aveva inserito simbolismi nascosti che non erano affatto cristiani, come tributo alle proprie convinzioni e come sottile presa in giro della Chiesa».

Chi è questo tenebroso alchimista pittore neopagano e mercantesco che avanza verso noi, sbigottiti, dalle pagine del best seller mondiale di Dan Brown?

Chi è mai questa figura ambigua e sfuggente?

Nessuno che lo conosca abbastanza vi riconoscerà Leonardo da Vinci, eppure è proprio di lui che il fortunato scrittore americano, attraverso un suo personaggio, sta parlando.

Ed è un record assoluto la densità di grossolane falsità, arbitrii pacchiani e goffe inesattezze compressi in così poche righe; tuttavia Dan Brown dichiara esplicitamente al lettore, ad inizio del romanzo, che le sue descrizioni di opere e documenti «rispecchiano la realtà».

Per il grosso pubblico (grosso in numero ma anche, diciamolo, di grana grossa) oggi Leonardo è un uomo dell’ombra che ha sparso nei suoi quadri indizi e segni e simboli che alludono ad una verità indicibile: per Dan Brown sarebbe il divino femminile, una sorta di religione arcaica che il cristianesimo maschilista prima e la chiesa cattolica poi avrebbero soppresso e perseguitato (ecco le ragioni di tanta segretezza!...)

Ma quasi un secolo prima di Dan Brown, è Paul Vulliaud, con il saggio Il pensiero esoterico di Leonardo (1905), a fare del genio di Vinci un maestro iniziato a dottrine ermetiche.

Il lionese Vulliaud (1875-1950) crede che Leonardo sia stato sostenitore di una spiritualità esoterica che aveva in Bacco, ossia Pan, il suo demiurgo e che riconosceva l’unità essenziale e vivente del cosmo.

E dopo Vulliaud, un altro francese, Paul le Cour (1871-1954), nel 1935 legge la Vergine delle Rocce nella versione custodita al Louvre come una prova del fatto che Leonardo era un seguace del giovannismo. Sarebbe questo un insegnamento iniziatico che avrebbe avuto origine da San Giovanni Battista: «Questa dottrina, questa gnosi giovannita è essenzialmente basata sui rapporti misteriosi della luce e della vita (alchimia), sui misteri della parola (cabala) e sulla marcia del sole attraverso lo zodiaco (astrologia). (...) La chiesa di Giovanni, il giovannismo, si è concretizzata nell’ordine di San Giovanni di Gerusalemme, di cui i Templari furono i continuatori. È la continuazione di questa corrente esoterica alla quale si collegano anche Virgilio, Dante e i Catari». Paul le Cour così commenta il quadro del Louvre, che confronta con la versione custodita a Londra: «È facile constatare che uno di questi quadri ha un carattere esoterico in rapporto precisamente con il giovannismo, è quello del Louvre ove si vede il piccolo san Giovanni, seduto presso la sorgente del Giordano, benedire il fanciullo Gesù tenuto dalla madre».

Dunque, non è da ieri che Leonardo da Vinci ha stuzzicato la curiosità e soprattutto la fantasia degli appassionati di mistero ed esoterismo. Ma è con Dan Brown che si è, purtroppo, imposta ad un pubblico vastissimo l’idea, per tanti una certezza, che il genio di Vinci aveva una doppia vita: gentile pittore amante della musica, ma anche oscuro maestro di sette segrete o chiese neopagane o priorati occulti.

Perché è nata questa strana leggenda? Perché Leonardo è stato trasformato da indagatore della natura a mago?

Non certo per giustificare, ma per comprendere l’origine di questo vero e proprio travisamento o scippo culturale, va osservato che il modo che Leonardo aveva scelto di rapportarsi con i suoi contemporanei ha facilitato la nascita di questa leggenda.

Leonardo stesso si allontanava dalla folla, cercava per sé una dimensione appartata, umbratile: «Io farò a mio modo» scrisse «e mi tirerò da parte per potere meglio speculare le forme delle cose essenziali».

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Si può definire un atteggiamento esoterico, ma nel senso culturale di selettivo, esclusivo, non operativo: Leonardo non cerca l’approvazione, la condivisione, la comunanza; egli si isola nella sua attività di filosofo naturale perché sa che non troverà nessuno che abbia, o cerchi, le sue stesse conoscenze; egli si vede solo nel suo cammino.

Anche nei secoli scorsi, questa solitaria unicità di Leonardo era riconosciuta e ne scrivono i suoi primi biografi:

Il Vasari:

«Et tanti furono i suoi capricci che, filosofando delle cose naturali, attese a intendere le proprietà delle erbe, continuando e osservando il moto del cielo, il corso della luna e gli andamenti del sole: per il che fece nell’animo un concetto sì eretico, che è non s’accostava a qualsivoglia religione, stimando per avventura assai più lo esser filosofo che cristiano».

Parole chiare e scomode, tanto che lo stesso Vasari, nella seconda edizione delle Vite, eliminò l’accenno all’indifferenza di Leonardo verso il cristianesimo.

Baldassarre Castiglione, a proposito del grande toscano, affermò: «Un altro de’ primi pittori del mondo sprezza quell’arte, dove è rarissimo, ed éssi posto ad imparar filosofia; nella quale ha così strani concetti e nuove chimere, che esso con tutta la sua pittura non sapria dipingere».

E Francesco Scannelli, nel 1657, scrisse di Leonardo che aveva «operato molto più nella speculatione delle cose difficultose, che nell’espressione delle stesse difficultà».

Gli scrittori antichi dichiarano che Leonardo spesso trascura la pittura e si dedica, con avida passione, a strane speculazioni, a ricerche di cui non trapela quasi nulla, a concetti astrusi, difficili: nasce da queste testimonianze l’immagine di un Leonardo che si dedica ad un sapere occulto, cioè letteralmente nascosto alla moltitudine.

Leonardo non fu affatto estraneo alla cultura del suo tempo. Pur essendo «omo sanza lettere», oggi diremmo che non aveva seguito un corso di studi regolare, egli frequentava importanti intellettuali del suo tempo, primo dei quali Luca Pacioli, suo amico, autore del De divina proportione, il testo che recupera la dottrina pitagorica; quasi certamente conobbe la Theologia platonica che Marsilio Ficino pubblicò nel 1482; ma vi attendeva dal 1469, a Firenze, prima che Leonardo partisse per Milano.

Nel pensiero vinciano sono ben presenti e forti i concetti della filosofia neoplatonica che affermava, tra l’altro, l’unità ontologica di cosmo e uomo, in quanto creazioni/emanazioni della divinità. L’uomo è un microcosmo, diceva Ficino, perché esso rispecchia e compendia la complessità dell’universo; esso partecipa alla natura divina, in quanto possiede, pur depotenziate, le peculiarità divine: conoscenza e amore.

«L’omo è detto da li antiqui mondo minore» scrive Leonardo «e certo la dizione d’esso nome è ben collocata, imperoché, sì come l’omo è composto di terra, acqua, aria e foco, questo corpo della terra è il simigliante».

E la vita umana è animata dallo spirito, il quale ha bisogno di un corpo come sostegno materiale, come strumento per agire nella materia: «L’anima non può corrompersi nella corruzione del corpo; ma tuttavia essa desidera stare col suo corpo, perché senza li stromenti organici di tal corpo nulla può oprare né sentire».

Altro caposaldo del pensiero ficiano che Leonardo ha fatto suo è la ciclicità inesauribile della vita e della morte: vita e morte si alimentano a vicenda, in una perenne trasformazione della potenza di una nell’altra: «Il corpo di qualunque cosa la qual si nutrica, al continuo more e al continuo rinasce, la qual morte è continua».
Ma è una morte che contiene in sé il germe della vita, della rinascita, tanto che legge di natura è, per Leonardo, «far vita dell’altrui morte».

L’ermetismo rinascimentale ha creato la dimensione operativa del neoplatonismo. Per i filosofi naturali, lo scopo fondamentale della loro attività era la pura conoscenza; per gli ermetisti lo scopo era agire sul mondo, piegarlo alla propria volontà tramite la conoscenza dei segreti che regolavano la vita del cosmo. Il mago è colui che si inserisce nel corso naturale dell’universo di cui stabilisce/inventa le leggi profonde e arcane e così può compiere cose a tutti gli altri impossibili.

Il mago vuole dominare la natura dandole un codice, un alfabeto; non c’è atteggiamento mentale più lontano di questo dalla consapevolezza di Leonardo.

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Egli afferma che la sola vera conoscenza deriva dall’osservazione e dall’esperienza sensibile: «A me pare che quelle scienze sieno vane e piene di errori, le quali non sono nate dall’esperienza, madre di ogni certezza, e che non terminano in nota esperienza, cioè che la loro origine o mezzo o fine non passa per nessuno de’ cinque sensi».

«E se tu dirai che le scienze che principiano e finiscono nella mente abbiano verità, questo non si concede, ma si niega, per molte raggioni, e prima che in tali discorsi mentali non accade esperienza, sanza la quale nulla dà di sè certezza».

Leonardo nega dunque senza incertezza la possibilità delle arti magiche, che chiama «stendardo ovver bandiera voltante, mossa dal vento, guidatrice de la stolta moltitudine, la quale al continuo è testimonia, collo abbaiamento, d’infiniti effetti di tale arte e n’hanno empiuti i libri». Immagine straordinariamente attuale della folla stupida che abbaia le lodi della magia e ne riempie libri su libri!

Per Leonardo, la sola vera rivelazione è l’esperienza: «Mia intenzione è allegare prima l’esperienza, e poi con la ragione dimostrare, perché tale esperienza è costretta in tal modo ad operare. E questa è la vera regola, come li speculatori delli effetti naturali hanno a procedere, e ancora che la natura cominci dalla ragione e termini nella sperienza, a noi bisogna seguitare in contrario, cioè cominciando -come di sopra dissi- dalla sperienza e con quella investigare la ragione».

E ancora: «Sapienza è figliola della (e)sperienza».

Ma allora, perché Leonardo è stato nominato, a sua insaputa e - se fosse vivo - contro la sua volontà, maestro iniziatico?

A Leonardo non interessò affatto divulgare la sua esperienza: egli ha lasciato alcune migliaia di fogli di studi e appunti, ma questa mole documentaria non fu fatta e pensata per il pubblico. Leonardo, com’è noto, scriveva in un modo decisamente oscuro: da destra a sinistra, in una scrittura speculare che probabilmente fu determinata dal suo mancinismo, ma che comunque non fece che accentuare il carattere segreto dei suoi lavori.

L’uomo Leonardo era schivo, solitario, non mostrava grande fiducia negli uomini, gran parte dei quali considerava solo «transito di cibo e riempitori di destri», ovvero buoni solo a riempire latrine.

Sorprendente contraddizione del più grande genio di tutti i tempi, Leonardo vuole scoprire tutto del mondo fisico e spirituale: dall’astronomia alla botanica, dall’idraulica all’anatomia, dalla fisica all’architettura alla psicologia, Leonardo ha qualcosa di nuovo e di illuminante da dire, ma i risultati delle sue ricerche sono affidati a fogli che tiene per sé, che non pubblicherà mai, che affiderà ad un solo uomo - il discepolo Francesco Melzi - in un rapporto dunque personale, esclusivo, in una trasmissione delle conoscenze che ha tutte le caratteristiche dell’esoterismo. Alla morte di Melzi, la massa dei documenti andò dispersa; molti manoscritti leonardeschi verranno scoperti solo secoli dopo la sua morte. E non sapremo mai quanti codici sono perduti per sempre.

Oggi, il mercato editoriale e la sotto-cultura popolare hanno fatto del potente genio di Vinci un personaggio grottesco di cui Leonardo, sereno e saggio, sarebbe il primo a ridere.
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