Piero Angela si racconta...

I segreti del suo successo e il futuro della divulgazione scientifica

Piero Angela festeggerà il prossimo anno 50 anni di giornalismo: un'occasione per ripercorrere insieme a lui le tappe più significative di questa strada, per capire quali sono i segreti del successo della sua formula di comunicazione con il pubblico e per lanciare uno sguardo sul futuro della divulgazione scientifica.

"La mia passione per la scienza è sempre esistita, ma era sommersa, nascosta". Così Piero Angela racconta il suo primo incontro con quello che sarebbe poi diventato il filo conduttore della sua professione - e anche un po' della sua vita - avvenuto quando era giornalista del Tg. "È affiorata quando ho seguito dagli Stati Uniti, per il Telegiornale, il progetto Apollo, realizzando dirette in occasione dei lanci, servizi per Tv 7 e quattro documentari. È nata così la mia passione per la tecnologia spaziale, ma soprattutto la ricerca di base che vi stava dietro e che coinvolgeva discipline come l'astronomia, l'astrofisica, l'esobiologia, la cosmologia. Al progetto Apollo lavoravano 600 mila persone, ricercando in ogni direzione e campo, da quello dei propellenti alla fisiologia umana: allora mi sono reso conto di quanto potesse essere forte il rapporto tra scienza e tecnologia, e ho incontrato nei laboratori americani un mondo della ricerca ricco di risorse umane, vivace, aperto. Per una persona curiosa come me è stata un'esperienza affascinante, che mi ha dato modo di scoprire che cosa veramente volevo fare; per quanto infatti il Tg delle 13.30 fosse più vivace e meno ingessato di quello serale, mi sono reso conto che preferivo andare a fondo e scavare in una sola notizia, piuttosto che darne tante senza soffermarmi su nessuna.

"Così, sono passato ai servizi speciali del Tg, e ho realizzato dieci documentari sullo stato della ricerca, sulla biologia, il cervello umano e così via, un anno e mezzo di lavoro. Da allora, non mi sono mai fermato: da ogni documentario nasceva la curiosità, lo spunto per quello successivo, esplorando in questo modo tutti i campi del sapere, a 360 gradi. Mi sono occupato dello sviluppo mentale nella prima infanzia, poi delle crisi imminenti nel mondo - prima che arrivasse la crisi energetica, con un gruppo di tredici documentari realizzati in tre riprese - poi dell'astronomia, poi della parapsicologia: realizzando in questo caso una serie di programmi assai critici, che hanno dato anche l'avvio alla nascita del CICAP. Fino all'80 realizzavo io stesso i documentari, ma la produzione restava necessariamente limitata: eppure c'era molta richiesta di questo tipo di programmi. Così, ho avuto l'idea di creare una rubrica-magazine in grado di creare una sinergia tra esperienze di altri autori: ed è nato Quark. Del nucleo storico di autori di Quark alcuni si sono persi per strada, ma altri lavorano con me da allora: sono Lorenzo Pinna, Giangi Poli e Marco Visalberghi".

Ma anche lo stesso Quark è stato lo spunto per altre esperienze, e per altri programmi...

"Sì, ha avuto molti figli, nipoti, cugini... Nell'81 - il primo anno di programmazione - andavamo in onda alle 21.30, dopo Dallas: formalmente era considerata una seconda serata, ma si trattava sostanzialmente di un prime time. Abbiamo realizzato 18 puntate, con una media di oltre sette milioni di telespettatori; poi, visionando materiale per il programma, mi è capitato di trovare dei bellissimi documentari naturalistici, ed è nata l'idea di Quark speciale, di cui abbiamo realizzato dieci puntate. Da allora, ogni anno è andata in onda sia la rubrica di scienza che quella estiva".

Qual è il segreto della longevità di Quark?

"Quello di rinnovarsi sempre, di trovare ogni volta formule differenti. Scelgo i giornalisti e gli autori che lavorano in redazione in base alle loro capacità professionali, alla loro voglia di fare, alla loro inclinazione al lavoro di gruppo. Lo spirito di equipe è fondamentale: in redazione c'è entusiasmo, c'è la voglia di lavorare insieme: questo dà aria e vivacità al programma, e i risultati si vedono, anche in termini di ascolto. L'obiettivo è quello di esplorare sempre nuovi campi, ma con la costante preoccupazione di non stancare mai il pubblico. È stato questo il filo conduttore di tutto ciò che è nato da Quark. Quando mi sono reso conto che era difficile trovare altre collocazioni ai documentari, ho avuto l'idea delle Pillole di Quark: trenta secondi ciascuna, da infilare qua e là nel palinsesto. Ne abbiamo realizzate 200, di cui circa una trentina con i cartoni animati di Bozzetto, e hanno avuto all'incirca 5.000 passaggi: il pubblico le ha apprezzate moltissimo, e avere il gradimento dei telespettatori è fondamentale. Quando un programma va c'è richiesta, e puoi ottenere anche le prime serate. Ma non bisogna mai fermarsi al già fatto: dopo Quark sono arrivate le Serate Quark con il pubblico in diretta dal Foro Italico, e personaggi dello spettacolo contrapposti a scienziati; le Serate Natura, l'Enciclopedia di Quark, Quark Europa e Quark economia, Superquark che ha abbinato al documentario naturalistico le rubriche sui più disparati argomenti - dal sesso alla cucina alla psicologia dell'insolito - affrontati però sempre con un'ottica scientifica, e infine i Viaggi - nel corpo umano, nel mondo dei dinosauri, nel cosmo - che sono un altro modo ancora di raccontare la scienza".

Esiste oggi una produzione documentaristica italiana?

"Esiste una tradizione italiana, ed esistono dei bravi registi; ma certo per realizzare dei documentari devono esistere anche le condizioni di mercato. Vale comunque e sempre il problema dell'ascolto: la cultura e la scienza hanno bisogno di un tramite per arrivare al grande pubblico, a milioni di persone, e gli esperimenti riusciti in questa direzione non sono molti.

"Esiste, nell'offerta di documentari, un problema di linguaggio: bisogna saper inventare prodotti che siano scientificamente corretti, ma nello stesso tempo accessibili al grande pubblico. Io stesso, quando realizzo una trasmissione, mi metto dal punto di vista dello scienziato per quanto riguarda i contenuti, e poi dal punto di vista del pubblico per il linguaggio da adottare. Ad esempio tutti i miei programmi e i miei libri vengono rivisti da scienziati proprio per garantire la correttezza dei contenuti; in una professione come questa si è sempre sul filo del rasoio, perché è necessario essere allo stesso tempo chiari e avvincenti. Un'idea come quella di entrare nel corpo umano per raccontarlo e spiegarne il funzionamento è certo avvincente, ma per realizzarla mi sono avvalso della collaborazione del direttore dell'Istituto di Anatomia dell'Università di Roma. E devo dire che questa mia linea ha avuto moltissimi riconoscimenti dalla comunità scientifica, incluse tre lauree honoris causa".

Quali sono gli ingredienti del successo di Quark?

"Lavorare molto, con onestà e competenza. È necessario avere l'autonomia intellettuale per poter dire le cose con cognizione di causa, ma senza schierarsi: soprattutto quando si lavora nella televisione pubblica. Io mi sento realmente al servizio del pubblico, e credo che la gente se ne accorga. Sono un po' come un insegnante, e sento questa responsabilità che per me è fondamentale: sono convinto che oggi un Paese si salvi se punta sull'educazione, sulla scuola, la ricerca, l'innovazione, se mira a formare persone che siano in grado di adattarsi a un mondo che cambia. La vera ricchezza da distribuire è questa; ed è giunto il tempo di capire quanto la scienza e la tecnologia siano in grado di influire in modo diretto e forte nell'economia di un Paese. Pensiamo ai problemi della società occidentale: alla denatalità dovuta al benessere, al progressivo invecchiamento della popolazione dovuto ai passi avanti della medicina, alla disoccupazione dovuta alla sempre più forte automazione dei processi di lavoro. Nella mia vita ho visto cambiare radicalmente l'Italia: cinquanta anni fa esisteva un quasi totale analfabetismo, oggi la tecnologia ha cambiato tutto: ha rivoluzionato la nostra economia, ha cambiato l'educazione, e anche la democrazia. Non si può ignorare questa realtà: eppure oggi in Italia solo l'1,2 per cento del Pil [Prodotto Interno Lordo] viene destinato alla ricerca, mentre negli altri Paesi occidentali è il doppio. E i nostri ricercatori vanno all'estero... tranne poche isole felici. Esiste nel nostro Paese una diffusa arretratezza culturale che impedisce di emergere anche a chi ne avrebbe le capacità".

Quali sono gli argomenti scientifici che più riescono ad attirare l'attenzione del pubblico?

"Gli animali sono sempre i preferiti, insieme ai grandi spettacoli della natura: si tratta però dei documentari più costosi da realizzare. Ma oggi affascina molto anche l'astronomia, e risulta come sempre coinvolgente il tema dei progressi della medicina".

Che prospettive vede per la divulgazione scientifica?

"È un po' come giocare a scacchi: non so cosa succederà alla quindicesima mossa, ma so che se giocherò al meglio mi troverò comunque in una buona posizione. Insomma bisogna stare attenti alle mosse, inventare sempre, guadagnarsi sul campo gli spazi. La nascita dei canali tematici potrebbe aprire nuove strade, ma ho in proposito non poche perplessità: c'è il rischio che si crei un ghetto, un bacino di utenti molto motivato ma ristretto, mentre alla massa del pubblico la scienza non arriverebbe più. E invece lo scopo del mio lavoro, e del lavoro di tutta la redazione di Quark, è proprio il contrario: raggiungere quante più persone possibile".

Cosa la preoccupa di più nel futuro?

"L'incultura scientifica. Semplificando, la scienza è il piacere di conoscere e di scoprire il grande libro della natura, e di rispondere così anche alle grandi domande della filosofia, come la ricerca delle origini della vita; la tecnologia, a sua volta, utilizza le scoperte della scienza per fare l'industria, l'economia e anche la politica. La tecnologia dunque deve essere gestita da persone competenti, che ne conoscano vantaggi e rischi; ma ho la sensazione che la classe politica italiana - del resto a immagine del Paese - sconti ancora una visione idealista e crociana, in cui la scienza e la tecnologia non sono viste come motore dei cambiamenti, ma solo come ancelle della cultura alta. Così si rischia però di non capire il proprio tempo. Nella mia professione mi sono occupato di tutto, dalla paleontologia alla genetica; ma ognuno dei campi che ho toccato ha illuminato gli altri e ne ha ricevuto a sua volta luce. Sono scoraggiato nel vedere invece come su queste tematiche continui a esserci poco interesse intellettuale, perché ancora prevale la cultura umanistica: è vero, io traggo un grande piacere dalla musica, dalla pittura, dalla letteratura... ma, estremizzando, questo non mi aiuta a capire il mondo in cui vivo e a rispondere ai suoi problemi. Rischiamo che la nostra vita si allunghi sempre più, ma che le nostre conoscenze invece si fermino: ed è a questo rischio che la tv può ovviare, dandoci nuovi stimoli e nuove curiosità".

© RAI.Per gentile concessione

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