Medicine alternative: a cosa?

  • In Articoli
  • 08-11-2007
  • di Giorgio Dobrilla
«Ormai è tempo che la comunità scientifica interrompa la corsa sfrenata delle medicine alternative. Non ci possono essere due tipi di medicina: convenzionale e alternativa. Esiste soltanto la medicina che può essere adeguatamente verificata e la medicina che non lo è, la medicina che (oggettivamente) funziona e la medicina che può funzionare oppure no. Una volta che l'efficacia di un trattamento sia stata rigorosamente testata non si pone più la questione se all'inizio esso era considerato alternativo. Se si prova che il trattamento è ragionevolmente sicuro ed efficace, questo sarà accettato. Ma affermazioni, speculazioni e testimonianze non sostituiscono le prove. Le terapie alternative dovrebbero essere soggette a verifiche scientifiche non meno rigorose di quelle che sono richieste per le terapie tradizionali». Queste considerazioni non sono di chi scrive, ma di Marcia Angell e Jerome Kassirer in un editoriale pubblicato già nel 1998 sul New England Journal of Medicine, il top delle riviste medico-scientifiche internazionali (di cui la Angell è stata per anni la direttrice). Oltre al modesto scriba (come direbbe Gianni Clerici) pure la stragrande maggioranza della comunità scientifica mondiale condivide appieno il contenuto dell'editoriale, anche perché da una lettura equo animo di esso traspare l'onestà e l'imparzialità dei concetti espressi. Infatti, l'editoriale risulta critico nei confronti non solo delle terapie alternative ma pure di quei trattamenti convenzionali che di fatto difettano di un adeguata documentazione di efficacia e sicurezza. Non a caso Marcia Angell è odiatissima non dagli "alternativi" ma da Big Pharma, il pool delle grandi industrie produttrici di farmaci convenzionali. Un'altra informazione presente nell'articolo che viene raramente riportata, e che pertanto la gente ignora, è che nel 1994, in risposta unicamente a "pressioni lobbistiche" (così nel testo), il Congresso degli Stati Uniti ha stabilito che le industrie produttrici di integratori alimentari potevano essere esonerate da ogni controllo di efficacia e sicurezza previsto invece dalla Food and Drug Administration (obbligatorio invece per i farmaci convenzionali). Identica esenzione e analoghe pressioni l'aveva ottenuta l'omeopatia già nel 1938, contro il parere della American Medical Association. Deregulation di questo tipo hanno favorito il diffondersi di altre terapie alternative diverse dalle più gettonate omeopatia, agopuntura e fitoterapia (che impropriamente viene collocata tra le medicine alternative), per le quali la mancanza di scientificità si fa ancora più pronunciata. Di fronte a questa situazione non può che destare molta perplessità e preoccupazione la notizia di una possibile futura attivazione a Bolzano di un "Primariato di Medicina Complementare Alternativa" e la stessa progettazione di corsi (anche pluriennali!) di perfezionamento in tale ambito. Questi aspetti, che sottintendono tra l'altro risvolti economici non indifferenti mentre i soldi per la sanità scarseggiano, andrebbero affrontati ben più ampiamente e ci torneremo di sicuro, ma un rilievo essenziale si impone già ora. Non esiste scienza che, se tale è, non accetti di correggere in continuazione i propri presupposti e le proprie verità in base alle nuove acquisizioni e scoperte. Quello che sembrava logico o plausibile ieri può essere comprensibilmente rivoluzionato oggi. Pur piena di limiti ed errori, la medicina convenzionale questa rettifica la fa di continuo e non obtorto collo, ma perché così sta scritto nel suo codice genetico. Al contrario, le medicine alternative basate su teorie nate secoli o millenni fa, sono rimaste immutabili, indifferenti a ogni nuova scoperta e alla mancanza di ogni prova oggettiva della propria validità specifica. Ovviamente, se per qualche medicina alternativa si dimostrerà l'efficacia "specifica" (quella placebica è fuori discussione), nessuna preclusione, anzi: la medicina scientifica non potrà che essere ben lieta di veder aumentare il suo bagaglio terapeutico.

Giorgio Dobrilla
Primario Gastroenterologo Emerito, Ospedale
Regionale di Bolzano
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