Storia dei luoghi comuni

Berger Evans
Longanesi, 1948
pp.209

  • In Articoli
  • 11-03-2002
  • di Paolo Cortesi

Nel 1948, in pieno dopoguerra quindi, uscì in Italia la traduzione di un testo inglese, History of Nonsense, di Bergen Evans.

Pubblicata col titolo non felicissimo di Storia dei luoghi comuni, così l'autore presentava la sua opera in una delle prime pagine: "Fino ad un centinaio di anni fa gli uomini che ragionavano vivevano come spie in un paese nemico. Non si mostravano mai se non ben riparati dalla maschera dell'ironia o dell'allegoria. Rivelare il loro vero essere sarebbe stato forse fatale".

Il libro di Evans è un pioniere nella lotta contro la credulità, le false credenze, i miti che oggi definiamo metropolitani, le certezze popolari tanto tenaci quanto false.

Con uno stile brillante, molto personale (l'ho trovato in alcuni punti influenzato da quello di Charles Fort), Evans passa in rassegna una bella galleria di "teorie": dalla disputa se Adamo avesse o no l'ombelico (sembra uno scherzo, ma ci fu chi ne scrisse dei libri) fino alle credenze sulla meteorologia (le cannonate producono un aumento della piovosità85), fino alle opinioni non meno assurde, ma dagli effetti disastrosi: il razzismo, l'antisemitismo.

Una parte consistente del bel libro di Evans è dedicata proprio agli odiosi miti della razza, e ciò evidentemente fu dovuto alla situazione storica in cui lo scrittore agiva: era appena finita la Seconda Guerra Mondiale ed il mondo, sbigottito, apprendeva degli orrori disumani dei campi di concentramento e della ripugnante "politica razziale" nazista.

Evans demolisce tutti i luoghi comuni sull'argomento e ne dimostra l'inconsistenza e l'evidente irragionevolezza, e fa questo con serenità (quanta gliene consente il triste argomento) e con una pacatezza arguta che ricorda il nostro grande amatissimo Voltaire.

Ma il libro contiene pagine molto più lievi e divertenti, come i capitoli dedicati allo studio dei pretesi bambini selvaggi, ovvero neonati allevati da lupi o scimmie o cani.

Curiosissimo il capitolo dodicesimo, una rassegna dei più comuni errati concetti sull'anatomia, la fisiologia e l'igiene umana, ed esemplare è il capitolo successivo, sulle sciocchezze dette e ridette a proposito della mente umana e della psicologia.

L'ultimo capitolo ("Storia di una vasca da bagno") è un vero gioiello: dimostra come sia difficile - lo era nel 1948, oggi forse lo è un poco di più data la capillarità dell'informazione, che enfatizza la sua distribuzione, ma non garantisce nulla sulla sua veridicità - dimostra, dunque, come sia difficile cancellare un mito dopo che esso si è affermato.

Il New York Evening Mail del 28 dicembre 1917 pubblicava un articolo di un tal H. L. Mencken nel quale si affermava che quel giorno andava solennizzato, poiché settantacinque anni prima, il signor Adam Thompson di Cincinnati aveva fatto il primo bagno in una vasca installata negli Stati Uniti d'America.

"Il suo gesto aveva suscitato un cumulo di proteste: fare il bagno era universalmente considerato un'affettazione e una minaccia per la salute e la morale".

Tutto ciò era molto interessante per lo storico dei costumi, il sociologo, l'igienista e l'episodio di Cincinnati fu a lungo dibattuto; c'era però un problema: la storia della prima vasca da bagno americana era, come dichiarò più tardi il suo stesso autore, "un insieme di assurdità, tutte volontariamente scritte e per la maggior parte ovvie".

Nel 1926, Mencken dichiarò pubblicamente che si era trattato solo di una burla, eppure la fantomatica vasca di Cincinnati continuò a restare nella storia americana, e venne ripresa dagli stessi giornali che avevano pubblicato la smentita del suo ideatore.

"La sua vasca da bagno" commenta Evans "era diventata una specie di valanga che non poteva arrestarsi davanti ad un ostacolo così insignificante, quale è quello rappresentato dalla verità.

Membri del Congresso si erano resi garanti della veridicità della storia, predicatori avevano giurato su di essa nelle loro omelie, professori avevano riveduto i loro libri di testo per includerla".

Il libro di Evans è davvero prezioso e sarebbe auspicabile una sua ristampa, se non altro come documento della storia delle idee e quale testimonianza della ormai antica lotta della ragione contro l'intolleranza, la superstizione, la credulità e l'arroganza .

La frase con cui si chiude il libro di Bergen Evans è memorabile:

Perché, in ultima analisi, ogni tirannia riposa sulla frode, su falsi postulati imposti con la forza, ed ogni uomo che per un solo momento mette da parte lo spirito di critica tradisce, in quel momento, l'umanità intera. o

 

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