Il rischio sismico

  • In Articoli
  • 08-08-2009
  • di Fabio Pulvirenti e Luca Manzella
Il rischio sismico è la misura dei danni che, in base al tipo di sismicità, di resistenza delle costruzioni e di antropizzazione (natura, qualità e quantità dei beni esposti), ci si può attendere in un dato intervallo di tempo a seguito di un terremoto. Esso è determinato dalla combinazione di tre fattori: pericolosità, vulnerabilità e esposizione.

La pericolosità sismica viene definita come la probabilità che in una data area e in un certo intervallo di tempo si verifichi un terremoto che superi una soglia di intensità, magnitudo o accelerazione di picco (valore di accelerazione massima del suolo misurata durante un terremoto). Gli studi di pericolosità sismica sono impiegati per l'individuazione delle aree che, in occasione di una scossa sismica, possono essere soggette a fenomeni di amplificazione; infatti, il terremoto determina effetti diversi in funzione delle condizioni geologiche e geomorfologiche locali, fornendo utili indicazioni per la pianificazione urbanistica. In Italia il livello di pericolosità sismica è medio-alto. La sismicità della penisola italiana è infatti legata alla sua particolare posizione geografica, perché situata nella zona di convergenza tra la placca africana e quella eurasiatica e dunque sottoposta a forti spinte compressive, che causano l'accavallamento dei blocchi di roccia. Ogni comune italiano è classificato per legge secondo la pericolosità sismica e questa classificazione si basa soprattutto sull'analisi dei terremoti del passato. Più una certa area è stata colpita da forti terremoti nel corso della sua storia e più è probabile che lo sia in futuro come spiega Mauro Carta nell'articolo a pagina XX. Nella figura a lato le zone più chiare corrispondono alle aree meno pericolose, mentre quelle più scure alle aree più a rischio (dove possono verificarsi terremoti distruttivi).

La vulnerabilità è la predisposizione di una costruzione ad essere danneggiata da una scossa sismica. Quanto più un edificio è vulnerabile (per tipologia, progettazione inadeguata, scadente qualità dei materiali e modalità di costruzione, scarsa manutenzione), tanto maggiori saranno le conseguenze che ci si deve aspettare in seguito alle oscillazioni cui la struttura sarà sottoposta. Una delle cause principali di morte delle persone durante un terremoto è, infatti, il crollo delle abitazioni e di altri edifici. Per ridurre le perdite di vite umane, è allora necessario rendere sicure le strutture edilizie. La valutazione sulla vulnerabilità di un edificio viene effettuata sulla base di stime di tipo statistico (classificazione degli edifici in funzione dei materiali e delle tecniche con cui sono costruiti) o meccanicistico (modelli teorici riproducono le principali caratteristiche degli edifici da valutare studiandone i danni causati da terremoti simulati). A queste valutazioni vengono poi associati i giudizi esperti, al fine di individuare i fattori che determinano il comportamento delle costruzioni e valutare, in termini qualitativi e quantitativi, la loro influenza sulla vulnerabilità. L'Italia ha una vulnerabilità molto elevata per la notevole fragilità del suo patrimonio edilizio, nonché del sistema infrastrutturale, industriale, produttivo e delle reti dei servizi. Questo fa si che il rapporto tra i danni prodotti dai terremoti e l'energia rilasciata nel corso degli eventi sia più alto di altri Paesi a rischio come la California o il Giappone. L'esposizione è la maggiore o minore presenza di beni a rischio e, dunque, la conseguente possibilità di subire un danno (economico, in vite umane, ai beni culturali, eccetera). In Italia tale fattore si attesta su valori altissimi, in considerazione dell'alta densità abitativa e della presenza di un patrimonio storico, artistico e monumentale unico al mondo. Ad esempio, il terremoto del 1997 in Umbria e nelle Marche, che ha fortemente danneggiato circa 600 chiese, ha prodotto un quadro di danneggiamento (senza tetto: 32 mila; danno economico: circa 10 miliardi di euro) confrontabile con quello della California del 1989 (14,5 miliardi di dollari), malgrado fosse caratterizzato da un'energia circa 30 volte inferiore.
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