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La morte opportuna

I diritti dei viventi sulla fine della vita
di Jacques Pohier

copertina: clicca per ingrandire

ISBN: 9788887328677

Prezzo di listino: 14.00
Prezzo scontato: 10.50 €
SCONTO: 3.50 € ( 25% )

Disponibilità: Immediata


Avverbi, 2004 -pp 283

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Grazie ai progressi della medicina, la morte oggi sopraggiunge sempre più tardi.
Così, anche il nostro sguardo su di essa può cambiare: e scopriamo che, rispetto alla vita, non si tratta più di un'entità esterna, bensì di una sua componente interna.
Per questo i diritti e la libertà riconosciuti ai vivi si estendono alla loro morte.
Contro l'accanimento terapeutico o contro decisioni terapeutiche prese da altri, ciascuno di noi deve poter scegliere i tempi e le modalità della propria morte.
E per rendere possibile tutto ciò occorre modificare l’attuale legislazione.
Questo è il punto di vista difeso da La morte opportuna che, in modo esauriente, prende in considerazione e confuta gli argomenti di chi è contrario all’eutanasia, ma che è altresì testimonianza di un impegno personale ricco di sensibilità, soprattutto nel racconto finale che l’autore fa delle cinque occasioni in cui direttamente ha aiutato qualcuno a morire.

L’espressione “morte opportuna” ferirà certo profondamente coloro che stanno lottando palmo a palmo contro una morte che rischia di portarseli via entro tempi più o meno brevi, spezzando i legami che li uniscono alle persone e alle cose che amano. Senza dubbio scandalizzerà coloro che hanno subìto la perdita lacerante di un figlio, di un coniuge, di un parente, di un amico. Sì, per tutti costoro la morte non può che essere inopportuna. Questo libro, dunque, non è per loro. A meno che, stanchi di lottare contro la propria morte, colpiti da una malattia incurabile o che li costringe a sopravvivere in condizioni inaccettabili, non arrivino a desiderare che la morte ponga fine alle loro sofferenze. A meno che gli stessi che soffrono per la perdita straziante di un figlio, di un coniuge, di un parente, di un amico, non debbano anche (il destino non è avaro di sventure) assistere persone altrettanto care lungo il decorso di una malattia o di una vecchiaia troppo lente nel portare a termine la loro opera comunque irreversibile. Allora finiranno per convincersi, spesso come il loro malato o il loro anziano, che la morte sarebbe veramente opportuna. Allora questo libro potrebbe essere per loro. Ma la morte non colpisce soltanto noi o la nostra cerchia familiare. In tutti questi anni la televisione ci ha riversato ogni giorno il suo carico di morti: Ruanda, Bosnia, Angola, Palestina, Israele, Afganistan, Cecenia, Perù, Colombia, Algeria, o più semplicemente – se così si può dire – fame, epidemie, terremoti, incidenti, omicidi folli... Non ci vuole forse un bel po’ d’incoscienza a sostenere che la morte può essere opportuna? Coloro che subiscono queste catastrofi lo riterranno un insulto. Coloro che lottano – spesso rischiando la vita – per limitare in qualche misura gli effetti di queste tragedie e per prevenirle il più possibile ne saranno disgustati. Questo libro, dunque, non sarebbe per loro? La televisione, però, non ci dice tutto. Ogni anno in Francia muoiono 530mila persone. Di queste, il 70 per cento, ossia 371mila, muore nelle strutture di ricovero: raramente in ospedale (salvo alcune unità di cura molto specifiche), più spesso in unità per lungodegenti, servizi psichiatrici per anziani, case di riposo, eccetera. Pochi di noi hanno fatto visita a chi è ricoverato in questi luoghi. È un fenomeno assai diffuso: riceve ben poche visite chi è condannato a finire lì i suoi giorni. E quelle poche sono assai brevi. Ma le giornate e le notti, lì, non durano solo ventiquattr’ore. Le settimane, gli anni a volte, lì non finiscono mai. Le persone che ogni giorno nel nostro paese muoiono così sono più numerose dei morti in Bosnia. È una realtà di cui sappiamo poco e in modo frammentario: molti di noi hanno avuto un parente che è morto in tali condizioni, ma è un sapere che non si diffonde e che non fa notizia. In ogni caso, i mezzi d’informazione non gli danno importanza (coloro che muoiono così sono mille volte più numerosi in Francia che in Irlanda e in Israele) e nessuno li rimprovera per questo. E tuttavia, chi vorrebbe finire i suoi giorni così? Chi augurerebbe questa fine ai propri cari? Le condizioni in cui avvengono queste centinaia di migliaia di morti nel nostro paese dovrebbero colpirci almeno quanto le morti di cui la televisione ci subissa. Il carattere “inopportuno” e perfino drammatico delle tante morti di cui la televisione ci informa non impedisce che avvengano quelle di cui non si parla. Per questo l’espressione “morte opportuna” non è scandalosa. “Opportuna” per chi? In primo luogo per la persona direttamente interessata, questo è certo. Ma chi potrebbe rimproverare a coloro che l’amano di desiderare per lei una fine più vicina a quella che lei stessa avrebbe voluto? Più che di “morte opportuna” bisognerebbe parlare di “morte che avviene al momento ritenuto opportuno dall’interessato”. Da erudito qual è, il mio amico Gilbert Brunet, di cui parlerò al termine di questo libro, lamentava il fatto che la lingua francese ha conservato dal latino soltanto l’aggettivo intempestivus: “intempestivo”, ma non il suo contrario tempestivus: “tempestivo” (che arriva al momento desiderato). Mors tempestiva: “la morte che arriva al momento giusto”. Mi rassegno dunque a usare l’espressione “morte opportuna”. “Opportuno”. Etimologicamente significa “che spinge verso il porto”. Il porto è, al tempo stesso, la fine di una traversata non sempre agevole, la meta del viaggio e l’approdo a una terra sconosciuta o già visitata. In questo libro vorrei mostrare come la morte possa essere opportuna e perché bisognerebbe renderla tale. E ciò indipendentemente dalla nostra concezione della vita e della morte. Alcuni credono che l’essere umano non scompaia dopo la morte. Credono nella reincarnazione, o in una forma più o meno indefinita d’immortalità, oppure in una resurrezione anima e corpo che li introduce a un mondo nuovo e migliore. Dunque è normale considerare la morte come l’arrivo a un porto, dal momento che segna la fine di un viaggio e l’inizio di un’altra vita. Ma è proprio necessario che la fine del viaggio debba essere spesso così lunga, così faticosa, talora così drammatica? E se l’approdo a un nuovo paese è fonte di gioia, non sarebbe meglio che l’avvicinarsi al porto avvenisse nel modo più umano possibile, il più possibile degno di ciò che sta per seguire e forse anche di ciò che l’ha preceduto? L’opportunità dell’arrivo al porto non dovrebbe scaturire dalle fasi che lo precedono e recare un po’ del riposo e della pace che esso preannuncia? Come preparare la morte in modo da renderla opportuna? Altri, fra cui io stesso, non credono in una vita dopo la morte. Essi pensano che l’essere umano ritorni ad essere ciò che era prima del suo concepimento. Il che non significa necessariamente il nulla. La materia ritorna alla materia. E il resto? Prima ancora di essere concepiti, forse eravamo già un’attesa, una speranza, un progetto, non solo per un uomo e una donna, per una famiglia, ma anche per una comunità umana, una cultura, una nazione. Non esistevamo forse in modo molto indefinito anche prima di essere nati? Dopo la morte, di noi resterà forse (per quanto tempo?) qualche parola, qualche atto, qualche gesto e qualche sorriso, o anche qualche essere che potremmo aver generato (ci sono tanti modi di generare...). Non si tratta soltanto del ricordo che si avrà di noi: potrebbe essere un po’ di luce, come quella che ancora ci giunge da stelle morte già da parecchio tempo. Il che non è poco. A volte, non resta nulla. A quel punto, il porto è la fine del nostro viaggio. Perché la morte non dovrebbe essere il più possibile opportuna? Perché non trattare con tutto il rispetto e la lucidità possibili quest’ultima tappa del nostro viaggio, così come ci siamo sforzati di fare per le precedenti? Quale che sia la nostra concezione della vita e della morte, occorre far sì che la morte diventi opportuna. Di inopportune, ce ne saranno sempre: dobbiamo fare di tutto per ridurne il numero. E quelle opportune? Non dovremmo fare di tutto perché ce ne siano di più? A ciò questo libro vuole dare il suo contributo. La morte è un argomento su cui molte discipline avrebbero di che pronunciarsi: biologia, medicina, diritto, sociologia, psicologia, storia, filosofia, teologia, eccetera. Ci vorrebbe una vera e propria enciclopedia. Non ho la competenza per realizzarla. Ma soprattutto non ne provo il desiderio. Perché, prima ancora di riguardare ogni sorta di disciplina, la morte è una realtà che riguarda noi tutti, e ciascuno nel modo più diretto e – oserei dire – più semplice. È questa la morte di cui parlerò: la nostra, la vostra, la mia. Perciò ho fatto in modo che questo libro fosse il più semplice possibile. Il lettore non vi troverà dissertazioni scientifiche e tecniche, né ampi riferimenti bibliografici. Le note indispensabili sono riportate al termine del volume, per non appesantire la lettura. La morte è un argomento già abbastanza pesante. Mi auguro di suscitare almeno la speranza, se non la certezza, che possa essere opportuna, e di poter contribuire a scoprire come. .


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