Alimenti “naturali” e beri-beri: un recente caso a Parma

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  • 03-04-2015
  • di Giorgio Dobrilla
Quasi scomparso in Italia, ma malattia ancora diffusa nei Paesi del Sud-est asiatico, il beri-beri è dovuto al grave e cronico deficit di vitamina B1 (o tiamina), dovuto in primis al consumo di riso brillato, privato cioè del tegumento che principalmente contiene la B1. In Occidente il beri-beri è raro perché molti nostri cibi come i cereali integrali, i legumi, la frutta e le verdure, la carne e le uova sono ricchi di tiamina. I sintomi iniziali sono vaghi (inappetenza, stanchezza, palpitazioni, lipotimie), ma poi affiorano i segni di insufficienza cardiaca congestizia con idrotorace ed edemi (nel beri-beri “umido”) o di atrofia muscolare e polineuropatia (nel beri-beri “secco”).
Da noi difficilmente si sospetta un beri-beri se non in alcolisti cronici inevitabilmente denutriti e con carenze vitaminiche multiple. Con non poca fatica, quindi, Ivan Comelli e collaboratori dell'Azienda Ospedaliero-Universitaria di Parma hanno potuto diagnosticare il caso, riportato su un recente fascicolo di Recenti Progressi in Medicina[1], in un paziente settantottenne, astemio, che escludeva dalla sua dieta cibi di origine animale, nonché cibi vegetali se non prodotti da lui stesso, nutrendosi da venti anni esclusivamente con marmellata e miele di castagne, preparati personalmente con i frutti dei castagni cresciuti nel bosco circostante la sua casa.
La dose giornaliera raccomandata (RDA: Recommended dietary allowance) per la vitamina B1 è oscillante tra 1,2 e 1,5 mg al giorno. Il miele di castagne ne contiene solo tracce, mentre 100 grammi di castagnene contengono 0,24 mg: i derivati come la marmellata, però, durante la cottura perdono ulteriormente dal 30 al 50% del contenuto vitaminico. Inoltre, i depositi tessutali di vitamina B1 sono molto scarsi ed è allora facile immaginare il loro azzeramento nel paziente di Parma, dopo un introito così deficitario perdurato per tutti quegli anni. Dopo il ricovero, la diagnosi non è stata immediata perché in casi “strani” come questo l’anamnesi non è all’inizio sufficientemente mirata, le analisi di laboratorio standard dicono poco e i test per dimostrare carenze specifiche (tiamina circolante e transchetolasi eritrocitaria) non sono esami né di routine né standardizzati. Decisiva è stata la rivalutazione attenta della insana “dieta naturale”, gli alti valori del peptide natriuretico (BNP) e gli accertamenti cardiologici ed ecocardiografici che hanno mostrato una ridotta frazione di eiezione e, infine, il versamento pleurico e gli edemi periferici. Diagnosi confermata comunque dal pronto miglioramento ottenuto con 100 mg di tiamina al giorno, unitamente alla terapia diuretica e alla ri-normalizzazione della dieta. A miglioramento consolidato, il paziente è stato avviato a terapia psichiatrica.
Si tratta di un pericoloso esempio del fatto, più volte ricordato, che “naturale” può non significare benefico, un equivoco purtroppo regolarmente incoraggiato sui mass media.

Note


1) Comelli, Ivan et al. 2012. A volte ritornano! Un caso di Shoshin Beriberi nel Nord Italia. “Recenti progressi in medicina”, vol. 105, n. 7, pp. 303-306, DOI: 10.1701/1574.17120

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