La leggenda del mostro succhia-capre

img
©Dick Langer Wikimedia
Secondo alcuni testimoni assomiglia all’incrocio tra un dinosauro e un vampiro. Altri dicono che ricorda di più un lupo, ma con gli occhi rossi, e altri ancora una pantera, ma con la lingua biforcuta[1]. Insomma, sembra l’abbiano avvistato in molti, anche se le descrizioni non coincidono una con l’altra. Sto parlando del chupacabra, il mostro “succhia-capre” (dallo spagnolo chupar, “succhiare” e cabra, “capra”).

Era il 1995, marzo per la precisione, quando nell’isola di Portorico vennero trovate otto capre morte, completamente prive di sangue, come se questo fosse stato succhiato via da un misterioso predatore che aveva lasciato solo tre strane ferite sul torace degli animali. Non fu l’unico caso: ne seguirono altri e le vittime erano capre, galline, conigli e altri animali da fattoria. Ad agosto si contavano già 150 vittime animali nella sola città di Canóvanas, situata nella parte nord-orientale dell’isola[2].

Il nome chupacabra fu inventato da un comico, Silverio Pérez, che commentava la notizia alla radio locale della capitale San Juan.

Il numero di avvistamenti crebbe insieme al numero delle vittime. Il primo riportato è quello della signora Madelyne Tolentino, che descrive un essere bipede, con una cresta di aculei che partiva dalla testa e correva sulla schiena. La faccia era priva di naso e orecchie, con due occhi allungati e rossi.

Dall’isola, grande all’incirca quanto le nostre Marche, la paura del mostro si diffuse rapidamente in Messico, Nicaragua, Cile, Florida e anche oltre, rimanendo a lungo salda soprattutto nei paesi di cultura ispanica. Nel 2002 il chupacabra era ormai famoso quanto il mostro di Lochness o Bigfoot, e noto in tutti i continenti. Nessuno, però, era mai riuscito a catturare un esemplare dello sconosciuto predatore.

Nel 2005 una prima svolta: a Coleman, Texas, il quasi novantenne Reggie Lagow riesce a catturare e uccidere il mostro che l’aveva privato di numerosi tacchini e galline. L’animale, però, non somiglia a quello descritto dalle testimonianze di una decina di anni prima. È un canide senza peli, secondo alcuni un incrocio con un canguro o un ratto. Alcuni anni dopo, durante una intervista, Lagow ha dichiarato che secondo lui l’animale proveniva da esperimenti di ingegneria genetica portati avanti dal governo, da lui definiti «strani e futuristici»[3].

L’esemplare più famoso, però, è quello trovato morto nel 2007 a Cuero, sempre in Texas, da Phylis Canion, proprietaria di un ranch, che darà vita alla cosiddetta “Estate del chupacabra”. Anche in questo caso si tratta di un canide senza pelo e la signora Canion non ha dubbi sia un chupacabra, per questo non perde tempo a far stampare magliette da vendere a 5 dollari l’una con la scritta «2007 The Summer of the Chupacabra. Cuero, Texas» e nel giro di un anno ne venderà circa 10000, non solo in America, ma anche in altri 21 Stati[4]. Inoltre, congela e poi fa impagliare la testa della bestia, così da mostrarla ai visitatori.

L’esemplare è privo di incisivi e presenta un foro nella gengiva che, secondo Canion, era usato per aspirare il sangue delle sue prede. Inoltre, sempre secondo la donna, la proporzione tra la lunghezza degli arti anteriori e posteriori era incompatibile con quella degli animali noti.

Per avere la prova definitiva della scoperta di una nuova specie, Canion inviò un campione di tessuto alla Texas State University di San Marcos, dove fu effettuata l’analisi del DNA mitocondriale (mtDNA)[5]. I risultati, però, non furono quelli sperati: si trattava di nient’altro che un comunissimo coyote, reso irriconoscibile agli occhi di un non esperto dalla malattia della scabbia[6]. Ad ogni modo Phylis Canion rimase fortemente convinta di aver trovato un chupacabra e la storia non finì lì. Le telecamere di Voyager[7], noto programma di Rai Due condotto da Roberto Giacobbo, volarono in Texas per intervistarla, con tanto di apertura “in diretta” della busta con il responso delle analisi del DNA. Visto l’esito inaspettato e deludente, Giacobbo intervistò anche Michael Forstner, zoologo specializzato in genetica, che guidava il gruppo di ricercatori a cui erano state affidate le analisi. Mostrando la sequenza di mtDNA dell’animale in questione e di altri tre coyote presenti nella loro banca dati, Foster dichiarò che il DNA trovato era «quasi identico» a quello degli altri coyote (uno del Nebraska, uno del Colorado e uno di provenienza ignota) e ben distinto da quello di cani domestici e lupi indiani. Giacobbo ignorò il fatto che anche le sequenze dei tre coyote mostrassero differenze tra loro e si aggrappò a quel «quasi identico» per sostenere che l’animale in esame appartenesse a una specie vicina al coyote, ma distinta e mai scoperta prima: «Lei ha detto che ha un DNA simile, non uguale a quello del coyote. Quindi può essere della stessa famiglia, con un DNA sconosciuto fino a questa sera?». Forstner cercò di spiegarsi meglio: «Questi sono tutti coyote. Questo animale appartiene allo stesso gruppo e non presenta più variazioni di quelle che osserviamo nei coyote da qui alla California». Una risposta inequivocabile per chiunque, tranne che per il conduttore, che chiuse il servizio dicendo: «Avete sentito? È un DNA che non coincide perfettamente con quello di altri animali. Certo, è vicino a quello dei coyote, quindi probabilmente questo animale ne è parente, ma il DNA non coincide alla perfezione con quello di un animale conosciuto. Quindi si tratta di un animale ancora da scoprire. Come vedete la leggenda del chupacabra lentamente sta diventando realtà»[8]. Evidentemente le nozioni di Giacobbo in biologia sono così scarse da ritenere che tutti gli esseri della stessa specie abbiano lo stesso identico DNA, pur non essendo cloni uno dell’altro.

La risposta ai ritrovamenti in Texas sembra quindi essere, banalmente, quella di coyote con la scabbia in entrambi i casi citati[9]. Gli incisivi mancanti dovevano essere semplicemente caduti e il foro nelle gengive non era altro che l'alveolo di un dente caduto. Dichiarazioni analoghe erano state rilasciate da Danny Pence, professore di parassitologia al Texas Tech University Health Sciences Center di Lubbock, sul ritrovamento del 2005.

Questo spiegherebbe anche come mai, prima di morire, i coyote hanno ucciso animali da cortile invece di prede selvatiche: «sono animali spesso debilitati a causa della malattia, perciò non riescono a cacciare e scelgono prede in cattività, che sono più semplici», sostiene Barry O’Connor, entomologo dell’Università del Michigan che ha studiato il Sarcoptes scabiei, il parassita che causa la scabbia.

Che l’animale succhi il sangue delle sue vittime, invece, sembra essere solo una leggenda. Non sono state, infatti, condotte autopsie sugli animali attaccati, unica strada per provare che effettivamente sono stati privati del loro sangue.

Se i coyote possono risolvere il mistero degli avvistamenti dei mostri simili a canidi, rimangono da spiegare gli avvistamenti del 1995 all’origine della leggenda. Benjamin Radford, indagatore di misteri del CSI (Committee for Skeptical Inquiry), dopo cinque anni di ricerche[10] ha probabilmente trovato la risposta a tutti gli interrogativi[11], tra cui l’origine della storia: un film. Proprio nel 1995, infatti, era uscito il film Species, il cui titolo in italiano è “Specie mortale”, diretto da Roger Donaldson. Si tratta di un horror fantascientifico che trae spunto dal progetto SETI, dedicato alla ricerca della vita intelligente extraterrestre. Nel 1974 gli scienziati del progetto hanno inviato nello spazio un messaggio radio composto da 1679 cifre binarie, utilizzando il radiotelescopio di Arecibo (Portorico), che conteneva informazioni sulla Terra e sugli umani. Nel film questo messaggio riceve finalmente risposta: gli alieni inviano istruzioni per mescolare DNA alieno e DNA umano. Nasce così Sil, una creatura malvagia e dalle sembianze molto simili ai primi identikit del chupacabra. La signora Tolentino, in una intervista, sembra aver ammesso di aver visto il film prima degli avvistamenti. Che sia stata suggestionata dal film, in parte ambientato proprio nella sua isola?

Ad ogni modo, nonostante le tante risposte, la leggenda e la speranza di avvistare un chupacabra continuano anche a distanza di anni e anche lontano dai luoghi degli avvistamenti più noti, giungendo persino in Italia[12].

Note

3) Nick Redfern, Chupacabra Road Trip: In Search of the Elusive Beast, Ed. Llewellyn Worldwide, 2015
4) Donna Ingham, Mysteries and Legends of Texas: True Stories of the Unsolved and Unexplained, Rowman & Littlefield, 2010
7) Puntata del 19 novembre 2007
11) Benjamin Radford, Tracking the Chupacabra: The Vampire Beast in Fact, Fiction and Folklore, University of New Mexico Press, 2011

Categorie

accessToken: '2206040148.1677ed0.0fda6df7e8ad4d22abe321c59edeb25f',