Gli ambienti estremi

  • In Articoli
  • 18-12-2012
  • di Stefano Vezzani
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©miss-ohara/Flickr
Quando ci si trova in un ambiente estremo, come ad esempio i deserti e l’Antartide, si sperimentano spesso fenomeni mentali straordinari. In un libro recente[1], John Geiger approfondisce uno di questi fenomeni: il “senso di presenza”. Il fenomeno consiste nell’avvertire la presenza di un essere, di natura umana o sovrannaturale, d’identità ben definita o meno, che sembra stare al di fuori del campo visivo del soggetto, anche se in una posizione in genere ben definita, in genere dietro o di fianco. La presenza può essere avvertita anche da più persone contemporaneamente.

Tale fenomeno può presentarsi in qualsiasi ambiente estremo, ma è addirittura endemico tra chi fa scalate in alta montagna, oltre i 6.000 metri. Esso può essere accompagnato da allucinazioni visive e uditive ma, in sé, non è un’allucinazione, in quanto nella maggior parte dei casi non viene visto o udito nulla di inesistente. Tuttavia l’esperienza non è meno coercitiva di un’allucinazione; ne ha lo stesso carattere di assoluta realtà. Il senso di presenza non è nemmeno un delirio, dal momento che chi lo sperimenta può rendersi conto che in realtà non c’è nessuno, malgrado la fortissima sensazione che invece qualcuno sia presente.

La presenza è lì per consigliare e dare conforto, e infatti scompare non appena termina lo stato di necessità. Tipicamente essa è avvertita quando tutto sembra perduto e la morte sembra molto vicina o addirittura inevitabile a causa del freddo, della fame o della sete. Sembra che il cervello, in condizioni estreme, inventi proprio ciò di cui si ha bisogno. È plausibile che la presenza sia realmente d’aiuto, ma è difficile stabilirlo con certezza. Geiger cita diversi esempi di persone che furono salvate dalla presenza, ma naturalmente si deve tener conto del fatto che, probabilmente, tante altre persone hanno avuto la stessa sensazione ma non hanno avuto modo di riferirlo perché sono decedute.

Oltre al rischio di morte, diversi altri fattori possono contribuire all’esperienza, tra cui l’ipossia, lo stress acuto, l’isolamento sociale, la monotonia dell’ambiente e la privazione di sonno. Non tutti questi fattori sono necessari, ma in genere ne è presente più di uno.

Quando è avvertita in ambienti estremi, la presenza è positiva. Il fenomeno però può verificarsi anche in ambienti normali, e in tal caso essa non è necessariamente vissuta come positiva. Ad esempio, quando è avvertita durante la paralisi notturna (un fenomeno diffuso che consiste in una temporanea incapacità di muoversi durante l’addormentamento o il risveglio), essa è spesso vissuta come malvagia. Essa non è necessariamente positiva nemmeno quando è avvertita nell’ambito di alcune patologie neurologiche, come l’epilessia e il morbo di Parkinson, e psichiatriche, come la schizofrenia.

La presenza è invece vissuta in genere come positiva quando rappresenta una risposta (molto frequente e del tutto normale) alla perdita di un proprio caro, soprattutto di un coniuge con cui si è vissuto per decenni. Per molti anni dopo la morte del coniuge, circa la metà dei vedovi e delle vedove avverte distintamente, soprattutto in casa, la presenza del defunto. Nella maggior parte dei casi la presenza è solo “sentita” ma ci possono essere anche allucinazioni visive e/o uditive.

Naturalmente il fenomeno si presta molto bene, come tante altre esperienze anomale, a interpretazioni sovrannaturali, soprattutto quando è accompagnato da allucinazioni. Come si è detto, negli ambienti estremi la presenza viene quasi sempre avvertita come benevola, per cui i credenti escono immancabilmente dall’esperienza con la convinzione di essere stati aiutati da un essere sovrannaturale, Dio o più comunemente il proprio angelo custode. Ad esempio, nel 1913 William Laird McKinlay si imbatté in una presenza durante un suo viaggio terribile nell’Oceano Artico, e scrisse: «Mi sentii completamente convinto che nessun agnostico, scettico, ateo, umanista, mi avrebbe mai privato della certezza dell’esistenza di Dio». Shahar Arzy e collaboratori notano che le rivelazioni dei fondatori delle tre grandi religioni monoteistiche occidentali (Mosè, Gesù e Maometto) sono avvenute in montagna, e commentano: «La somiglianza tra queste rivelazioni [...] e la loro comparsa tra gli scalatori contemporanei suggerisce che l’esposizione all’altitudine possa influenzare le funzioni cerebrali, facilitando così l’esperienza di una rivelazione». Le rivelazioni di Mosè, Gesù e Maometto sono avvenute ad altitudini moderate, ma «si può assumere che, in soggetti inclini a esperienze mistiche, anche altitudini moderate siano sufficienti per scatenare esperienze di rivelazione[2]».

Come nota Graham Reed[3], a parte le interpretazioni religiose, è probabile che il senso di presenza dia anche luogo a leggende di esseri misteriosi che popolano la zona in cui l’esperienza si è verificata, come il “grande uomo grigio” del Ben Macdui, la seconda montagna più alta del Regno Unito.

Un tempo quella sovrannaturale era l’unica spiegazione disponibile. Oggi però viviamo in un’epoca scientifica, per cui coloro che vivono l’esperienza spesso non ne danno interpretazioni sovrannaturali, almeno se non sono credenti. Ad esempio, anche Reinhold Messner ha sperimentato più volte il fenomeno in alta montagna, ma ne dà una spiegazione naturale: «Il corpo inventa modi per far sopravvivere la persona[4]».

Gli scienziati naturalmente non si accontentano di spiegazioni di tipo funzionale, come quella di Messner, e cercano di scoprire i correlati neurali dell’esperienza in questione. Uno di questi scienziati, Michael Persinger, ritiene di aver inventato un metodo non invasivo per indurre il senso di presenza. Persinger è un neuroscienziato attivo nel campo della cosiddetta “neuroteologia” (lo studio dei correlati neurali della religiosità). Il suo stimolatore magnetico transcranico, o “elmetto di Dio”, indurrebbe esperienze mistiche e il senso di presenza. Vi è però chi mette in dubbio la sua efficacia. Un ateo come Richard Dawkins, ad esempio, dopo aver sperimentato l’elmetto di Dio dichiarò: «È stato una grande delusione [...] Naturalmente non mi aspettavo di uscirne credendo in qualcosa di sovrannaturale, ma speravo di condividere alcune delle sensazioni esperite dai mistici religiosi quando contemplano i misteri della vita e del cosmo[5]».

Nessun dubbio sembra invece esserci sull’induzione, da parte di S. Arzy e collaboratori, del senso di presenza in una paziente epilettica di ventidue anni. Quando la sua giunzione temporo-parietale sinistra veniva stimolata elettricamente, la paziente aveva la forte impressione che alle sue spalle ci fosse una persona che assumeva la sua stessa postura. La presenza scompariva quando la stimolazione cessava[6].

La giunzione temporo-parietale è implicata anche in altri fenomeni che si verificano in ambienti estremi, soprattutto in alta montagna, come l’autoscopia e le esperienze extracorporee[7]. Nell’autoscopia si vede una copia del proprio corpo all’esterno di se stessi; nelle esperienze extracorporee, invece, ci si percepisce separati dal proprio corpo e si ha l'impressione di guardare quest’ultimo dall’alto.

Negli ultimi anni si sono dunque fatti progressi nell’individuazione dei correlati neurali di queste esperienze anomale, ma le correlazioni non sono spiegazioni, per cui molto lavoro rimane da fare nell’individuazione dei meccanismi causali che sono alla base di tali esperienze.

Note

1) Geiger, J. 2009. The Third Man Factor: The Secret of Survival in Extreme Environments. Penguin
2) Arzy S., Idel M., Landis T., Blanke O. 2005. “Why revelations have occurred on mountains?” Medical Hypotheses, 65: pp. 841-845
3) Reed, G. 1988. The psychology of anomalous experience. Buffalo: Prometheus Books
4) Geiger, op. cit.
5) Persuad, R. 2003. “Holy visions elude scientists”. The Telegraph, 20/03/2003
6) Arzy S., Seeck M., Ortigue S., Spinelli L., Blanke O. 2006. “Induction of an illusory shadow person”. Nature (443): p. 287
7) Blanke O., Landis T., Spinelli L., Seeck M. 2004. “Out-of-body experience and autoscopy of neurological origin”. Brain (127): pp. 243-258
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