Se una notte d’estate sette circlemaker...

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©Alberto Villa - Francesco Grassi

La genesi dell’esperimento


Fin da quando ho iniziato a studiare i cerchi nel grano il mio obiettivo non è mai stato quello di demolire il fenomeno. Al contrario è sempre stato quello di analizzarne e sviscerarne possibilmente tutti gli aspetti, per decodificarlo in maniera costruttiva e divulgare i risultati dello studio, nel massimo rispetto delle sensibilità delle persone coinvolte. Non limitando l’osservazione al solo lato chiaro del fenomeno, il mio è stato fin dall’inizio un approccio da antropologo che si è prodigato nel diventarne parte integrante, documentando quanto accade anche nel lato oscuro di questo incredibile fenomeno in cui il fattore umano gioca un ruolo più che dominante. Nel metodo scientifico esiste una modalità fondamentale quando si vuole evitare che il fattore umano possa inficiare i risultati finali di un esperimento, che dovrebbero essere il più possibile oggettivi. Questa modalità prende il nome di sperimentazione in cieco. Se il ricercatore (che si tratti dei più famosi studiosi dei cerchi come Pat Delgado, Colin Andrews, Terence Meaden, o magari di voi stessi) sa di osservare un cerchio nel grano realizzato sicuramente dall’uomo, allora nella sua analisi troverà mille prove che dimostrino che «è chiaramente visibile il fatto che quella formazione abbia origine umana». Al contrario, se questa persona non sa di osservare una formazione realizzata da uomini (è cioè cieco rispetto a questa informazione), allora sicuramente il suo parere potrà essere più oggettivo nel giudicare circa la presunta genuinità della formazione stessa.

Il pasticcio che succede con i cerchi nel grano è però che solo i circlemaker che hanno creato una determinata formazione conoscono con assoluta certezza la sua origine, mentre gli spettatori sono all’oscuro della cosa e non possono certo trarre conclusioni. Anzi, non possono che fidarsi di quello che viene raccontato dai media o improvvisarsi ricercatori, andando sul campo e finendo per avvalorare le proprie convinzioni in maniera soggettiva.

L’unico modo che resta per condurre dunque un valido esperimento scientifico, tenendo conto di tutti questi aspetti, è quello di creare una formazione senza rivelare di esserne l’autore e annotare le reazioni della comunità. Questo è quello che ho fatto e questo è quello che qui racconto.

L’ispirazione: Sitchin, Nibiru e il 2012


Nel ragionare su come impostare la formazione oggetto di questo esperimento avevo cercato più volte qualche spunto e, fra le tante discussioni avute con gli amici, una in particolare mi stimolò più di altre. Nel maggio 2011, mi trovai a chiacchierare delle teorie catastrofiste sul 21 dicembre 2012 e della leggenda nata intorno al fantomatico pianeta Nibiru, a partire dalle interpretazioni di alcune scritture babilonesi da parte dello scrittore Zecharia Sitchin (v. Query n. xxx). L’idea di Sitchin si basa sull’ipotesi che la vita sulla Terra sia stata influenzata da una presunta civiltà extraterrestre, gli Anunnaki, i quali, provenienti appunto dal pianeta Nibiru, fin dai tempi più remoti sarebbero scesi sul nostro pianeta Terra per sfruttarne le risorse minerarie.
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Prima fase della realizzazione. Le zone grigie rappresentano in generale le aree che sarebbero state appiattite nel campo. Da ciascun vertice si irradia una fila di otto cerchietti perfettamente allineati e ogni fila contiene una sequenza di 8 bit in base alla codifica ASCII. Decodificando le 7 sequenze si ottiene la stringa “Enki Ea”. ©Francesco Grassi
In base a quanto riportato da fonti legate a Sitchin, quando Nibiru fu nel punto della sua orbita più vicino alla Terra, una spedizione di extraterrestri guidata da Enki si recò in alcuni luoghi scelti: la Valle del Nilo, la Valle dell’Indo e la Mesopotamia. Secondo speculazioni diffusesi attraverso internet negli ultimi anni, dovrebbe essere inoltre proprio Nibiru a distruggere la Terra nel 2012. Questa leggenda si andrebbe pertanto a sovrapporre all’altro mito moderno che vede il 21 dicembre 2012 come data chiave per un cambiamento epocale di natura imprecisata in base a interpretazioni fantasiose del calendario Maya. Tutto ciò sembrò essere una buona fonte di ispirazione.

Tornando agli Anunnaki, l’extraterrestre Enki è in realtà una divinità della mitologia sumera, più tardi chiamato Ea nella mitologia babilonese. È legato ad alcuni miti come quello della creazione dell’uomo, la confusione delle lingue e il diluvio. Nella mitologia sumerica, e più tardi assiro-babilonese, gli Anunnaki principali erano sette: An, Enlil, Enki, Ninhursag, Inanna, Utu e Nanna. Sette inoltre sarebbe il numero di spicchi in cui gli antichi Sumeri avrebbero diviso il cielo dedicando ciascuno di questi a uno dei sette Anunnaki principali fra cui Enki, per misurare la precessione degli equinozi.

Decisi che gli elementi erano più che sufficienti: la formazione per l’esperimento in cieco si sarebbe dunque basata sul numero 7 e avrebbe dovuto contenere codificato in qualche modo il nome Enki.
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Immagine che rappresenta l’esecuzione completa dell’orlo merlettato di tutti e 7 i petali previsti nella seconda fase. ©Francesco Grassi


Disegno e fasi di costruzione


A dir la verità seguendo l’idea del numero 7 decisi che avrei utilizzato l’estensione del nome dell’extraterrestre/divinità con la grafia Enki Ea e questo mi avrebbe permesso di legare il numero 7 ai sette caratteri della stringa “Enki Ea” con il carattere “spazio” compreso fra le due parole:

  • Carattere 1 = E
  • Carattere 2 = n
  • Carattere 3 = k
  • Carattere 4 = i
  • Carattere 5 = (spazio)
  • Carattere 6 = E
  • Carattere 7 = a


Basandomi inoltre su una tradizione ormai consolidata nel mondo dei circlemaker di ricorrere alla codifica ASCII nell’esprimere delle lettere all’interno delle formazioni, decisi quindi di trasformare i sette caratteri in una sequenza di otto bit, una sequenza fatta cioè di “1” e “0” in base alla logica ASCII. Ecco le sette sequenze binarie di 8 bit individuate:

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Utilizzando opportunamente i punti individuati in precedenza è possibile creare la stella centrale a 7 punte attraverso la tracciatura di segmenti rettilinei. ©Francesco Grassi
  • 01000101 = E
  • 01101110 = n
  • 01101011 = k
  • 01101001 = i
  • 00100000 = (spazio)
  • 01000101 = E
  • 01100001 = a


Dopo aver fatto diverse bozze grafiche lavorando su questa ipotesi, cominciai a tracciare la figura iniziale sulla quale si sarebbe poi accresciuto e consolidato il disegno finale. L’idea si basava su una circonferenza di 60 metri di diametro divisa in sette parti, i vertici dell’ettagono regolare inscritto, che a conti fatti dovevano essere distanti 26 metri. Da ciascun vertice si sarebbe dovuta irradiare una fila di otto cerchietti perfettamente allineati. Per codificare se uno specifico cerchietto dovesse rappresentare uno “0” oppure un “1”, identificai questa logica:

  • 0 = cerchietto solo con bordo e parte interna non appiattita
  • 1 = cerchietto con parte interna completamente appiattita


Una seconda fase avrebbe richiesto la creazione di 7 petali uscenti dal cerchio principale. Per tracciare i bordi dei petali che sarebbero serviti per posizionare un orlo merlettato costituito di tanti piccoli cerchi in progressione ci sarebbero volute quattro persone al lavoro contemporaneamente. Servivano due circlemaker rispettivamente in posizione sui vertici 3 e 7 per far da centro agli altri due che, partendo dal bordo della circonferenza principale e tenendo un raggio di 45,9 metri, sarebbero riusciti a tracciare i due archi convergendo sulla punta del petalo. Per realizzare l’orlo costituito dai cerchietti in progressione escogitai l’uso di anelli di metallo rivestiti di plastica bianca ottenuti a partire da materiale idraulico normalmente in vendita.

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La formazione nel suo aspetto finale così come progettata. I piccoli cerchi bianchi all’interno dei petali e dei settori punta-di-freccia rappresentano dei ciuffi di vegetazione che sarebbero stati lasciati eretti in numero e in posizione casuale. ©Francesco Grassi
La stessa tecnica dell’uso di quattro circlemaker contemporaneamente al lavoro (due a fare da centro e altri due traccianti gli archi) sarebbe stata cruciale per ottenere la ripartizione dell’area del cerchio in diversi settori.

Una fase ulteriore avrebbe previsto di creare due circonferenze di raggio rispettivamente 7 metri e 9 metri concentriche a quella centrale.

Utilizzando poi la tecnica per tracciare linee orizzontali è facile intuire come il team avrebbe dovuto operare per creare la stella centrale a 7 punte.

La fase finale avrebbe poi visto l’appiattimento della stella centrale, quello di tutti e 7 i petali esterni e infine quello dei settori punta-di-freccia compresi fra le punte della stella e i vertici dell’ettagono.

Nei petali e nei settori punta-di-freccia era prevista la realizzazione di alcuni elementi di abbellimento. L’idea che volevo realizzare consisteva nel lasciare eretti in numero e in posizione casuale dei ciuffi circolari in modo che potessero essere da stimolo per gli osservatori. Dietro i ciuffi eretti non c’era dunque un messaggio preciso come nel caso della scritta Enki Ea, ma solo la volontà di creare uno stimolo assolutamente casuale. Come avrebbe risposto a questa mossa la comunità dei believer?

L’intera formazione sarebbe stata compresa all’interno di un quadrato di 100 metri di lato.

Dalla teoria alla pratica


Bisognava trovare un campo che fosse delle dimensioni necessarie, e possibilmente in una zona che avesse un qualche legame speciale con la storia dei cerchi in Italia. A quanto risulta, la nascita di gruppi di circlemaker attivi nel nostro Paese si è avuta a partire dal 2003 circa. Risalgono a quell’anno infatti le prime formazioni italiane di un certo rilievo documentate. Fra tutte le aree italiane interessate dal fenomeno, quella risultata più prolifica e connotata nel corso degli anni è un’area a sud-est di Torino, che vede il paese di Poirino come epicentro delle formazioni apparse in Piemonte.

Attraverso dei contatti locali siamo faticosamente riusciti a individuare un campo nei pressi di Poirino che potesse servire allo scopo. Per poter condurre l’esperimento in maniera più vicina alle condizioni reali delle normali esecuzioni dei circlemaker inglesi abbiamo volutamente tenuto il proprietario del campo all’oscuro della cosa, con l’obiettivo di risarcirgli, in un secondo tempo, dopo il definitivo consolidamento delle reazioni della comunità, il costo del grano relativo all’area che sarebbe stata effettivamente appiattita.

In ultima analisi il campo è risultato non nel Comune di Poirino ma in quello vicino di Riva presso Chieri. Il campo, di pertinenza della Cascina Tetti Bai di proprietà del signor Giovanni Audritto, è un po’ particolare perché si trova a ridosso del tratto dell’autostrada A21 che congiunge Torino a Piacenza.

Per eseguire la formazione, i circlemaker da coinvolgere dovevano essere sei o sette. Ciò consentiva di svolgere alcune attività in parallelo, senza però eccedere nel numero di persone in campo. Alla fine ci si attestò su sette circlemaker, simbolicamente il numero degli Anunnaki principali.

Riuscii dunque a reclutare nel team altre sei persone. Alcune le elencherò con nome e cognome, un paio hanno chiesto di rimanere anonime. Ecco i sette circlemaker che crearono quella formazione nella notte fra il 18 e il 19 giugno 2011:

  • Francesco Grassi
  • Simone Angioni[1]
  • Nicolas D’Amore[2]
  • Antonio Ghidoni[3]
  • Marco Morocutti[4]
  • Agent Vortex
  • Agent BOL

Nei giorni immediatamente precedenti, diversi temporali e nubifragi si susseguirono nella zona e si temeva che il campo potesse essere danneggiato da allettamenti disastrosi. In realtà il campo riuscì a resistere alle varie intemperie e la notte tra il 18 e il 19 fu proprio scelta per le condizioni meteorologiche meno avverse.

Il 18 giugno nel pomeriggio dunque dopo aver caricato zaini e strumenti nell’automobile, partii alla volta di Riva presso Chieri per incontrare gli altri circlemaker prima della realizzazione. Quando cominciò a imbrunire ci avviammo verso il campo, dove giungemmo intorno alle 21:30 quando ormai l’oscurità stava prendendo il posto della luce. Qualche giorno prima si era avuto il plenilunio e infatti la Luna cominciava a risplendere in cielo, dove avrebbe raggiunto quasi il massimo della sua luminosità. Fino a quel momento non era avvenuto alcun intoppo particolare, la notte era ancora lunga e tanto c’era da fare. Individuata la tramline da cui entrare nel campo tracciai dunque la prima piccola circonferenza di raggio 3 metri e poi cominciai a tracciare la grande circonferenza di 30 metri di raggio che avrebbe costituito l’ossatura dell’intera formazione mentre il resto del team trasportava zaini, borse, tavole e materiale vario all’interno del piccolo cerchio centrale. C’erano tutti ma Agent BOL non era ancora arrivato.

L’esecuzione andò avanti seguendo i passi prefissati, le automobili sull’autostrada Torino-Piacenza sfrecciavano, ovviamente incuranti di quello che stava avvenendo nel campo adiacente, fino a quando Agent BOL telefonò intorno a mezzanotte dicendo che era arrivato nei pressi del campo e che aveva bisogno che qualcuno di noi andasse sulla strada principale per indicargli come imboccare la stradina che costeggiava il campo per arrivare al parcheggio e poi entrare in azione; si offrì Agent Vortex. In campo rimasero dunque gli altri cinque circlemaker.

La scelta del centro iniziale si rivelò essere un piccolo errore. Infatti avremmo dovuto spingerci almeno una ventina di metri più in su per evitare di finire con uno dei puntali[5], quello rivolto verso l’autostrada, in un allettamento naturale del campo. Purtroppo, come si può facilmente immaginare, una volta impostata l’opera non si può tornare indietro. Quando seppi dai circlemaker che stavano tracciando quel puntale che alcuni cerchietti sarebbero finiti nell’allettamento sperai solo che la decodifica finale non ne risultasse troppo penalizzata. Intanto Agent Vortex e Agent BOL non erano ancora rientrati in campo e io avevo chiesto a due circlemaker di iniziare ad appiattire i petali esterni, mentre gli altri due procedevano a creare le merlettature, un lavoro improbo. Mi ero ovviamente raccomandato con loro di lasciare eretti dei ciuffi circolari in maniera casuale durante l’appiattimento regolandosi come quantità e dimensione in base all’area realmente a disposizione.

Preoccupato per il tardivo rientro di Agent Vortex e Agent BOL, li chiamai al telefono temendo che potesse essere successo qualcosa di grave. Per fortuna Agent Vortex rispose dicendo che avevano appena lasciato l’automobile, si trovavano a bordo campo e stavano per entrare a piedi attraverso la tramline. Egli non spiegò il motivo di tanto ritardo, lo scoprimmo solo quando andammo a riprendere le automobili all’alba. D’altra parte in quel momento non ero molto interessato a sapere il perché del ritardo, c’era ancora tanto da fare e le operazioni sembravano andare a rilento.

Riprendemmo le attività e a un certo punto, mentre ero vicino ad Agent Vortex, mi giunse una cattiva notizia. Mi comunicarono al walkie-talkie che un cerchietto della merlettatura alla destra del puntale con la lettera E di Ea risultava pasticciato. Agent Vortex, che era al mio fianco e che aveva sentito realizzò immediatamente di essere stato lui a commettere quell’errore e si fece scappare una serie di improperi. Anche io in quel momento ci rimasi male, la preziosa merlettatura era purtroppo stata sporcata, ma consolai Vortex e, per rimediare, chiesi di creare un bordo netto e deciso intorno a quel cerchietto. Pensai che molto probabilmente quel clamoroso errore sarebbe stato interpretato dai believer come un segno aggiuntivo da decodificare. Non avevo tutti i torti e, come avremo modo di vedere, fummo premiati.

Il tempo passava, le cose andavano più a rilento di quanto previsto e i primi raggi di sole cominciavano a spuntare, segnalandoci che era ora di terminare in modo compiuto l’opera, anche se incompleta. Decidemmo dunque di non appiattire i settori punta-di-freccia, raccogliemmo tutto il materiale avendo cura di non lasciare nulla nel campo e tornammo alle automobili quando ormai il chiarore dell’alba consentiva di vedere quasi normalmente.

Al parcheggio capimmo il motivo del ritardo di Agent Vortex e Agent BOL. Nel parcheggiare l’automobile, Agent BOL era finito con una ruota in un avvallamento fangoso del terreno. I due avevano cercato di tirar fuori l’automobile da quella posizione di stallo senza successo e dopo diverso tempo avevano deciso di lasciar perdere per raggiungerci nel campo.

Dopo la fatica notturna, quando ormai la luce del mattino aveva rischiarato tutto il paesaggio, i sette circlemaker/Anunnaki si lanciarono nella faticosa impresa di liberare l’automobile rimasta imprigionata con una ruota nel fango. Fu veramente un’impresa ardua, ma alla fine riuscimmo tutti a ripartire alla volta di casa. Una volta arrivato, scrissi un messaggio ai sei amici: «Sono a letto e sto per spegnere il cellulare, riaccendo quando mi sveglio. Grazie a tutti veramente e incrociamo le dita. Comunque vada è stata una bella nottata».

Note

1) Chimico, Università di Pavia. Si veda http://simoneangioni.blogspot.it/
2) Illusionista di origine argentina, collabora come consulente del CICAP da diversi anni.
3) Tecnico Telematico e astrofilo.
4) Progettista elettronico e socio effettivo del CICAP. Si veda http://www.marcomorocutti.it/
5) Per convenzione interna avevamo deciso di chiamare puntale ciascuna fila di otto cerchietti.
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