Un test in doppio cieco per i “braccialetti della salute”

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  • 13-02-2014
  • di Patrizio Mancuso
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©shankara.it
Bracciali magnetici o in rame, anche chiamati “braccialetti della salute” sono in commercio da lungo tempo. Venduti tanto in bancarelle quanto in siti internet specializzati, si possono trovare in una gran varietà di tipi e forme: intrecciati o lisci, classici o sportivi, semplici o impreziositi da incisioni e fantasie in argento. In ogni caso, i produttori garantiscono effetti benefici quasi miracolosi, in particolare sui disturbi reumatici. Alleviamento del dolore, azione antistress, stimolazione della circolazione e dell’organismo in generale, fino alla guarigione vera e propria da artrite e artrosi.
I meccanismi di funzionamento sono più o meno fantasiosi, a seconda del venditore. Di solito le spiegazioni si basano sul trasferimento di energie positive ed eliminazione di quelle negative, ma c’è chi si spinge oltre, coinvolgendo le leggi della scienza moderna. Per quanto riguarda i magneti, si presume che attraggano il ferro presente nel sangue, aumentando l’afflusso di ossigeno e nutrienti a livello locale. Invece il rame, dalle proprietà antiossidanti, dovrebbe penetrare la pelle ed entrare in circolazione, proteggendo le cellule.
Ma la medicina sa essere anche pratica e – pure se la teoria è traballante – nulla vieta di testare una terapia, per poi studiarla a fondo e migliorarla. Dunque, lasciando da parte la credibilità scientifica, quanto sono efficaci in pratica questi dispositivi? Ha risposto recentemente il Complementary Medicine Evaluation Group dell’università di York, in uno studio pubblicato su PLoS One[1].
Il dottor Stewart J. Richmond e colleghi hanno reclutato settanta pazienti con artrite reumatoide e hanno chiesto loro di indossare diversi tipi di braccialetti in sequenza, per una durata totale di cinque mesi. I dispositivi includevano cinturini in rame, magnetici, attenuati o totalmente smagnetizzati. Alla fine di ogni trattamento i partecipanti hanno compilato dei questionari, indicando il livello di dolore, di disabilità e l’uso di farmaci. Inoltre, come riscontro oggettivo della malattia, sono stati misurati i livelli d’infiammazione dal sangue dei pazienti. Come ogni sperimentazione clinica che si rispetti, lo studio è stato svolto in modo randomizzato – ogni paziente riceveva una combinazione diversa assegnata da un computer – e con doppio cieco – né sperimentatori né pazienti conoscevano la sequenza dei braccialetti. Quindi i malati non erano soggetti a effetto placebo e i ricercatori non erano influenzati da eventuali pregiudizi.
L’analisi statistica dei risultati non ha mostrato differenze in nessun parametro: i pazienti non hanno riportato alcun miglioramento e l’infiammazione non è stata attenuata dai cinturini. Restano insomma pochi dubbi sulla loro inefficacia, soprattutto visto che gli stessi risultati erano stati ottenuti, nel 2009, con pazienti affetti da osteoartrite[2].
Il dottor Richmond conclude che i braccialetti non sono dannosi e possono essere utili come placebo, se chi li usa è convinto della loro efficacia. Tuttavia questi dispositivi non portano alcun beneficio dal punto di vista medico e, anzi, potrebbero indurre i malati a sottrarsi alle terapie convenzionali. Insomma, nulla vieta di utilizzarli, purché non si interrompano le visite dal proprio medico e sempre considerando che, attorno a questi braccialetti, esiste un business che supera il miliardo di euro all’anno.

Note

1) Richmond, S. J. et al. 2013. Copper bracelets and magnetic wrist straps for rheumatoid arthritis - analgesic and anti-inflammatory effects: a randomised double-blind placebo controlled crossover trial. "PloS one" (9) 8, e71529; doi:10.1371/journal.pone.0071529
2) Richmond, S. J. Et al. 2009. Therapeutic effects of magnetic and copper bracelets in osteoarthritis: a randomised placebo-controlled crossover trial. “Complementary Therapies in Medicine" (17) 5-6, pp. 249-56; doi: 10.1016/j.ctim.2009.07.002
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