La leggenda del colore che non c'era

il primo di due articoli che analizzano misteri e storie intorno al Velo di Manoppello, una reliquia verso cui crescono interesse e devozione

  • In Articoli
  • 17-10-2007
  • di Gian Marco Rinaldi
Da quando, due anni fa, ne trattammo in un primo articolo (S&P 62),[1] il Velo di Manoppello ha conosciuto una straordinaria progressione nelle sue fortune. Il Papa Benedetto XVI si è recato a visitarlo (1 settembre 2006). Il numero dei cardinali che a loro volta lo hanno visto è arrivato ad almeno sedici. La chiesa che lo ospita è stata elevata al rango di Basilica. Il numero di pellegrini nel paese abruzzese si è moltiplicato.
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I giornali di mezzo mondo ne hanno parlato e hanno divulgato alcune leggende come se si trattasse di verità scontate. Per esempio, si è letto dappertutto che sul Velo non c’è materiale pittorico, che il Velo è da identificare con la Veronica che si trovava a Roma nel Medioevo, che il Velo è fatto di bisso marino, che il volto del Velo è sovrapponibile in ogni dettaglio a quello della Sindone di Torino. Esamineremo, in questo e in un successivo articolo, alcune delle leggende. Cominciamo qui con quella dell’assenza di coloranti pittorici.

In tutti questi anni, fin da quando, nel 1999, la reliquia di Manoppello è diventata famosa, un refrain è sempre stato ripetuto: sul Velo non c’è traccia di materiale pittorico, quindi la figura non può essere un dipinto. Ecco alcuni esempi che si trovano attualmente sulla rete.

Sul sito del Santuario, nella pagina di presentazione del Velo: «Non sono riscontrabili residui o pigmenti di colore». Il sito ha anche sezioni in inglese e spagnolo dove si fa inoltre riferimento ai nomi di Vittore e Fanti.[2] Per esempio, traducendo alla lettera dall’inglese: «Donato Vittore, professore universitario a Bari, e Giulio Fanti, professore universitario a Padova, non solo con fotografie digitali ad alta definizione ma anche con raggi ultravioletti confermano la non esistenza di pittura sul Velo».
Su Wikipedia italiana: «Il professor Donato Vittore, dell’Università di Bari, ha eseguito nel 1997 un esame con i raggi ultravioletti: da questa prova risulta che le fibre del Velo non presentano nessun tipo di colore, il che collima con le osservazioni microscopiche (le quali affermano che questa reliquia non è né dipinta né tessuta con fibre colorate)».
Sul sito della Regione Abruzzo: «La densità del colore è molto forte, ma non c’è colore pittorico, come hanno mostrato le fotografie digitali fatte dal prof. Donato Vittore dell’Università di Bari».
Sul sito dei frati Cappuccini (a questo ordine appartengono i frati del Santuario): «Non si riscontrano tracce di pigmenti di colore: siamo di fronte a un’immagine "acheropita", ovvero non realizzata da mani umane, né dipinta, né tessuta».
Come si è arrivati a simili affermazioni? Il responsabile di questa leggenda è Donato Vittore. Solo lui sostiene di avere esaminato il Velo e di avere escluso che si tratti di una pittura. Il Velo è anche stato ispezionato, separatamente, da Roberto Falcinelli e da Giulio Fanti, che entrambi hanno fotografato ciò che interpretano come possibile pigmento pittorico. I sostenitori del Velo hanno invocato le affermazioni di Vittore mentre hanno trascurato o interpretato in modo ambiguo le osservazioni di Fanti e hanno del tutto ignorato quelle di Falcinelli.
Va detto intanto che le fotografie, per tutti e tre gli autori, sono state prese attraverso i vetri della cornice, dalla quale il Velo non è stato estratto, e con ingrandimenti modesti (almeno per i pochi esemplari che sono stati pubblicati). A tali ingrandimenti, è impossibile scorgere le singole particelle di pigmento pittorico. Se il colore è stato applicato con una tempera leggera o un acquerello fluidi e non corposi, a questi ingrandimenti non si vede praticamente niente sui fili, a parte occasionali agglomerati più grossi. Solo sulle zone dove il colorante è stato applicato in modo più massiccio o con un legante più corposo, è possibile vedere depositi o incrostazioni. È proprio questa la situazione che si riscontra. Solo spingendo molto più oltre l’ingrandimento, si potrebbe cominciare a vedere dappertutto una presenza diffusa di particelle di pigmento.

Il creatore della leggenda


Nel 1997, l’allora rettore del Santuario chiese a Donato Vittore di prendere fotografie a ingrandimento del Velo. Come gli sia venuta l’idea di chiamare un medico, invece di un professionista del settore, rimane un mistero.
Vittore pubblicò una nota che apparve (verso il 2001) anche sul sito del Santuario, dove si trova tuttora.[3] Ha per titolo un’esclamazione: «Non può essere un dipinto!». Sulla pagina non c’è nessuna fotografia. In origine c’erano tre foto di dettagli del Velo, a ingrandimenti molto modesti, che non potevano fornire alcuna evidenza sull’assenza di materiale. Nel 2005 queste foto sono state eliminate dal sito. Non si sa perché siano state tolte, ma viene il sospetto che qualcuno si sia accorto che mostrandole si peggiorava l’evidenza a favore della tesi del titolo.
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La basilica del Volto Santo

Nel testo non c’è niente che possa fornire sostegno alla leggenda. Vittore dice: «Ho constatato che nell’interspazio tra il filo dell’ordito e il filo della trama non si evidenziano residui di colore». Che ci sia spazio vuoto fra i fili, era già evidente per il fatto che il Velo è trasparente. Ovviamente il pittore non ha usato imprimitura e non ha applicato colorante in spessi strati. Poi Vittore esclude che si tratti di un dipinto a olio, riferendosi probabilmente ai dipinti a olio (o a tempera, bisogna aggiungere) che siamo soliti vedere nei musei o nelle chiese. Anche questo era evidente. Naturalmente questo ritratto è anomalo, per la tecnica impiegata, rispetto agli usuali dipinti, ma ciò non significa che non sia stato fatto dalla mano di un pittore.
Vittore continua: «Bisogna escludere anche l’idea dell’acquerello perché i contorni dell’immagine sono netti nell’occhio, nella bocca; l’acquerello avrebbe sicuramente intriso in maniera non precisa il filo e quindi avrebbe determinato sbavature nei dettagli». Suggeriamo a Vittore di guardare per esempio il famoso coniglietto di Dürer, che è un acquerello, è più o meno contemporaneo (1502) al nostro Velo, ha le stesse dimensioni, ma presenta una finezza di dettaglio ben maggiore. Già da prima, le miniature sui manoscritti medievali potevano impiegare una tecnica classificabile come acquerello.
La leggenda dell’assenza di colore venne alla ribalta fin dall’origine. La nascita del mito di Manoppello si può datare al 31 maggio 1999, quando la Regione Abruzzo organizzò a Roma la conferenza stampa in cui Heinrich Pfeiffer annunciava di avere scoperto la Veronica nel paese abruzzese. La locandina dell’avvenimento portava anche i nomi di altri partecipanti, fra cui appunto il professor Vittore.
Nelle notizie apparse sulla stampa a seguito della conferenza, si affacciava già il preteso risultato di Vittore. Per esempio: «Il professor Donato Vittore dell’Università di Bari ha esaminato il Velo con luce ultravioletta e ha trovato che le fibre non hanno alcun tipo di colore. Osservando il Velo al microscopio, è chiaro che non è dipinto e nemmeno tessuto con fibre colorate. Attraverso sofisticata tecnologia fotografica (ingrandimento digitale) è possibile vedere che l’immagine è identica su entrambi i lati del Velo».
Poco dopo, in ottobre, parlando a un congresso a Roma, Pfeiffer ribadisce che sul Velo non c’è pigmento. Il colore deve risultare da un cambiamento dei fili «tale che essi rifrangono la luce bianca in una maniera colorita».
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Accentuando il contrasto del chiaroscuro, si scorge come il pittore mancasse di accuratezza nella esecuzione dei dettagli. Notare per esempio l'andamento incerto della linea che delimita in basso il bianco dell'occhio

Un articolo sul mensile in inglese Inside the Vatican, novembre 1999 (pp. 42-44), diceva: «L’immagine non ha le caratteristiche di nessun pittore, scuola artistica o epoca. Nel 1997, il professor Donato Vittore dell’Università di Bari ha esaminato il Velo in luce ultravioletta e ha trovato che le fibre non hanno alcun tipo di colore. Osservando il Velo al microscopio, è chiaro che non è dipinto e non è nemmeno tessuto con fibre colorate».
Sul sito del Santuario, nella pagina di presentazione dell’aspetto del Velo, comparve presto la frase già citata: «Non sono riscontrabili residui o pigmenti di colore». Fu messa anche la pagina con l’articolo di Vittore.
La leggenda si propagò alle notizie che comparivano man mano su giornali o su siti web. Si va avanti così fino al 2004 quando compare un altro nome a fianco di Vittore.

Entra Giulio Fanti


Il 23 settembre 2004 Paul Badde pubblica l’articolo su Welt dove annuncia al mondo che ha accompagnato Chiara Vigo a Manoppello e che il Velo è di bisso di mare e il bisso non si può dipingere. Qui Badde dice anche: «Il prof. Donato Vittore dell’Università di Bari e il prof. Giulio Fanti dell’Università di Padova hanno scoperto dai loro studi fotografici ad alta definizione che sull’intero tessuto non ci sono tracce di colore. Soltanto nel nero delle pupille le fibre sembrano quasi bruciacchiate, come se un calore avesse leggermente carbonizzato i fili».
Oltre a introdurre l’ipotesi delle bruciature, Badde fa comparire il nome di Fanti. A quell’epoca, nel 2004, non erano apparse pubblicazioni di Fanti sull’argomento. Solo più tardi venne reso noto che Fanti aveva condotto ispezioni sul Velo già nel 2001. Aveva redatto una relazione che però era rimasta inedita (e lo è ancora oggi nel testo completo) ed era circolata solo in una cerchia ristretta. Un anno più tardi, nell’articolo di Falcinelli di cui diremo, sarebbero stati pubblicati alcuni stralci, e vedremo che Fanti, al contrario di quanto riferito da Badde, aveva in realtà visto la presenza di materiale sui fili. Tuttavia Fanti, che si sappia, non smentì pubblicamente l’affermazione di Badde.
Quell’articolo di Badde, apparso in Germania, ebbe risonanza internazionale e fu ripreso da molti giornali, anche in Italia. Per un po’ di tempo, stando alle notizie, sembrò che Fanti avesse confermato i risultati di Vittore. Per esempio, sul settimanale Oggi del 20 ottobre 2004 viene intervistata la Vigo che dice: «Nessuno può averlo dipinto, perché il bisso non si lascia dipingere. Sicuramente non come qui. Chiunque avesse tentato di farlo, con qualsiasi tecnica, non ci sarebbe riuscito. Lo affermo in tutta coscienza. E in ogni caso sarebbero rimasti residui di colore. Ineliminabili». L’articolista continua: «Ci hanno già provato a cercarli i professori Donato Vittore dell’Università di Bari e Giulio Fanti dell’Università di Padova, facendo rilevamenti fotografici ad alta definizione ed elaborandoli al computer: risultato, nessuna traccia di pigmenti».
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Un dettaglio ingrandito E' segnalata la presenza di materiale sui fili.
Fu allora che, sul sito del Santuario, almeno nelle versioni in inglese e spagnolo, comparve la frase citata qui all’inizio che faceva riferimento a entrambi i professori.
Nel marzo 2005 esce (nella prima versione) il libro di Saverio Gaeta (Il Volto del Risorto, allegato a Famiglia Cristiana). Fornisce una versione più elaborata. Comincia dicendo: «Il primo ad approfondire dal punto di vista fotografico la natura del Velo è stato il professor Donato Vittore, ortopedico presso l’Università di Bari, che ha utilizzato uno scanner digitale ad altissima risoluzione» (p. 69). Segue un passo dal testo di Vittore. Poi Gaeta prosegue con Fanti: «Sulla struttura del tessuto ha invece svolto alcune indagini il professor Giulio Fanti dell’Università di Padova» (pp. 69-70). Segue una citazione dalla relazione inedita di Fanti, relativa alle dimensioni dei fili e al tipo di tessitura. Poi Gaeta prosegue spiegando con parole sue: «Anche nelle fotografie realizzate in quest’ultima circostanza di Fanti si può osservare la completa assenza di pigmenti o di qualsiasi materiale d’apporto negli interstizi fra filo e filo, né appare evidente alcun tipo di pigmento con dimensioni superiori a 10 micron che possa essere ritenuto responsabile della colorazione del filo. Unicamente in piccole aree nella zona delle pupille si mostrano delle tracce che sembrerebbero pigmenti o residui di bruciatura: nel primo caso, potrebbe trattarsi di un ritocco compiuto da qualcuno nel Medioevo per rafforzare l’intensità dello sguardo» (p. 70).
Qui per la prima volta si ammette la presenza di limitate tracce di colorante, ma le si attribuisce ai "ritocchi" di qualche pittore che ha osato mettere il pennello su un’immagine miracolosa.
Nelle didascalie a fotografie di dettagli del Velo, il libro di Gaeta dice ancora: «L’alta risoluzione delle fotografie dei professori Giulio Fanti e Donato Vittore ha permesso di verificare l’assenza di colore negli spazi fra i fili». Inoltre: «Il particolare dell’occhio destro del Volto mostra presumibili tracce di colore sulla sola pupilla, forse per iniziativa di qualcuno che volle dare più forza allo sguardo». Vedremo che l’ipotesi del ritocco era già stata suggerita da Fanti nella sua relazione inedita.
Parlando al Meeting dell’Amicizia di Rimini il 25 agosto 2005, in conferenza assieme a suor Blandina e padre Cucinelli (il nuovo rettore del Santuario), Gaeta si dimentica dei ritocchi: «Giusto per dare un’idea di che cosa ci permette di dire che non è un dipinto, guardate questi ingrandimenti fotografici che mostrano che non c’è traccia di pittura. Questo vale per tutto il tessuto. In basso il particolare dell’occhio che mostra come i fili siano molto radi e come questo colore sia impresso in una maniera che non è spiegabile».
Il 1 ottobre 2005 esce in Germania il libro di Badde (Das Muschelseidentuch). Ecco come si esprime in proposito: «Il professor Donato Vittore dell’Università di Bari e il professor Giulio Fanti dell’Università di Padova hanno scoperto con le fotografie al microscopio che l’intero tessuto è privo di qualsiasi traccia di colore. Niente. Nessun segno di pennello, nessuna biacca, nessuna imprimitura, niente. Solo nel nero delle pupille le fibre appaiono bruciacchiate, come se il calore avesse qui leggermente carbonizzato i filamenti» (p. 32).
Badde, come al solito, appare sicuro delle sue affermazioni. Ma in quei giorni era appena uscito un articolo che le contraddiceva.

L’articolo di Falcinelli


È l’articolo di Roberto Falcinelli sul numero di settembre 2005 della rivista Hera. Falcinelli aveva osservato e fotografato il Velo già due volte, nel 1999 e nel 2001. Ora diceva chiaramente che aveva visto il materiale sui fili: «In alcuni punti risultava evidente materiale di apporto attribuibile a probabile pigmento. Dopo l’analisi degli scatti effettuati e l’osservazione ravvicinata, mi convinsi che il Velo di Manoppello fosse probabilmente un’opera pittorica del 1500». Più avanti: «È inoltre singolare e sorprendente come ancora si continui ad affermare e scrivere che sul Velo non ci sia traccia di pigmento quando invece, a una semplice osservazione microscopica, risulta evidente il contrario».
Nell’articolo di Falcinelli, come dicevamo, si trova anche riportato un ampio stralcio della relazione inedita di Fanti sulle sue osservazioni del 2001. Vediamo allora che cosa si può leggere nei brani a firma di Fanti. «L’immagine del Volto Santo non è stata ancora analizzata dal punto di vista chimico, e quindi non è possibile trarne conclusioni; in ogni caso si notano alcune zone, limitate alle pupille ed ai capelli, dove la presenza di pigmenti è accertata, almeno per quanto riguarda possibili ritocchi medievali. Per il momento, non è da escludersi una pigmentazione dell’intero fazzoletto con la tecnica di pittura ad acquerello». Inoltre: «Almeno in alcuni punti corrispondenti a possibili ritocchi medievali, le fibrille dell’immagine del Volto Santo presentano evidenti tracce di cementazione fra fibrille».
L’articolo su Hera era accompagnato da alcune fotografie di dettagli ingranditi, sia di Falcinelli che di Fanti, che talvolta mostravano la presenza di materiale. Queste fotografie appaiono migliori, per ingrandimento e definizione, rispetto a quelle di Vittore, ma sono ancora lontane dal poter mostrare le particelle di pigmento. Comunque vi si vedono, in certe zone, incrostazioni di agglomerati.
Ci si poteva aspettare che questo articolo di Falcinelli, con le affermazioni sia sue che di Fanti, sarebbe stato una doppia bomba capace di far morire la leggenda dell’assenza di colore. Essendo questa leggenda un pilastro in tutta la costruzione del mito di Manoppello, le conseguenze potevano essere gravi per la popolarità della reliquia. Tutt’al contrario, il destino del Velo non ne ebbe a soffrire, anzi, proprio ora la sua carriera ebbe una brusca accelerazione culminata poi con il pellegrinaggio del Papa. L’articolo è stato ignorato dai sostenitori del Velo. Pfeiffer e gli altri non sono intervenuti nemmeno per criticarlo o dare spiegazioni alternative. La leggenda ha continuato a prosperare. Vediamo alcuni esempi dai mesi successivi.
Il settimanale Espresso (1 dicembre 2005) riferisce i commenti della Vigo e di padre Cucinelli: «Che sia di puro bisso lo ha confermato, dopo avere visto la reliquia, l’unica tessitrice al mondo della meravigliosa stoffa: la sarda Chiara Vigo. (.) Quel che invece conferma padre Cucinelli sono i risultati dello scanner digitale applicato a più punti dell’enigmatico volto: "Su nessuna fibra il test ha riscontrato la minima traccia di colore", dice il priore. Su due punti, corrispondenti alle pupille del volto, lo scanner qualcosa ha scorto. Non pigmenti, "dato che è impossibile che il bisso imbeva altro che porpora", spiega Chiara Vigo. Ma "come bruciature di intensa luce", dice Cucinelli. Una "fotografia", la definisce Pfeiffer. In assenza d’ogni colore, quel volto pare davvero una "photos-grafia", una scrittura di luce».
A un convegno sul Velo, svoltosi a Chieti nel febbraio 2006, il vescovo locale monsignor Bruno Forte (alla cui diocesi Manoppello appartiene) diceva: «Questo volto che si trova impresso sopra un telo, un Velo di bisso probabilmente, che non è dipinto, che non è neanche tessuto, ma impresso per una sorta di esplosione di luce, questo volto è riconoscibile da parte di molti con convinzione come il volto del Signore Gesù al momento del suo risveglio dalla morte». Di nuovo nel suo messaggio per la Quaresima 2006 parlava di un’ «immagine non dipinta né tessuta, impressa per una sorta di esplosione di luce».
Nell’estate 2006, con l’avvicinarsi della visita del Papa, la copertura mediatica si infittisce. Sul sito della Regione Abruzzo, in una nota ripresa anche sul sito del Santuario, si parla di un «mistero mozzafiato»: «un’immagine non dipinta né tessuta, impressa inspiegabilmente da 2000 anni sul sottilissimo Velo di bisso marino», e si aggiunge che le analisi degli esperti «hanno dichiarato l’impossibilità di spiegare la formazione dell’immagine con le tecnologie attualmente esistenti».
La radio vaticana, in una trasmissione del 20 agosto 2006 : «Non si riscontrano tracce di pigmenti di colore: siamo di fronte a un’immagine "acheropita", ovvero non realizzata da mani umane, né dipinta, né tessuta».
Zenit, agenzia di stampa internazionale cattolica, in una notizia del 31 agosto: «Il professor Donato Vittore dell’Università di Bari ha svolto nel 1997 un esame con i raggi ultravioletti, scoprendo che le fibre del Velo non presentano nessun tipo di colore. Osservando la reliquia al microscopio si scopre che non è né dipinta né tessuta con fibre colorate».
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Il Volto sull'altare della basilica

Korazym è un quotidiano cattolico on line. In preparazione della visita del Papa, pubblicava il 19 e 20 agosto un lungo articolo in due parti, ripreso anche sul sito del Santuario, dove si legge che: «La densità del colore è molto forte, ma non c’è colore pittorico, come hanno mostrato le fotografie digitali fatte dal prof. Donato Vittore dell’Università di Bari. (.) Non sono riscontrabili residui o pigmenti di colore».
Andreas Resch sul suo sito dopo la visita del Papa: «Ricerche scientifiche hanno mostrato che fra i fili del Velo non ci sono per niente pigmenti di colore o altri depositi di materiale. Qualsiasi tipo di pittura, anche l’acquerello, è da escludere».
Chiudiamo con Famiglia Cristiana del 18 gennaio 2007: «Sul tessuto, realizzato con fili di bisso, non risultano pigmenti di colore e il volto si vede in trasparenza da ambedue i lati».
È da sottolineare ancora una volta che tutte queste dichiarazioni venivano fatte dopo che la leggenda era stata smentita con l’articolo di Falcinelli (che era certo ben noto nell’ambiente). Nel frattempo, che si sappia, Vittore non ha mai pubblicato niente per difendere o precisare la sua tesi o per replicare a Falcinelli e Fanti.
Siamo così arrivati a una data che potrebbe diventare importante per le sorti del Velo, il 25 gennaio 2007, quando si tenne a Manoppello un convegno di studio in presenza delle telecamere di una televisione tedesca.

Il convegno della ZDF


La ZDF è una televisione nazionale tedesca che stava preparando un documentario su Manoppello. Il documentario, della durata di un’ora, è andato poi in onda il 6 aprile 2007 (venerdì di Pasqua).[4] Gli ultimi minuti del documentario sono stati girati a Manoppello quel 25 gennaio durante il convegno. Sono presenti quasi tutti i protagonisti del mito del Velo: Pfeiffer, suor Blandina, Resch, la Vigo, Vittore, Fanti. C’è anche Paul Badde ma non compare nel documentario. Ci sono poi naturalmente i frati del Santuario. Una prolusione sulle implicazioni teologiche delle immagini acheropite era stata letta dal vescovo Forte.
Riunite tutte le persone in una sala, i frati trasportano dalla chiesa il Volto Santo che viene adagiato su un tavolo (sempre chiuso nella cornice). Fanti allestisce un’apparecchiatura e riprende macrofotografie. Poi proietta le foto su uno schermo, mentre i presenti osservano con aria a volte stupita. Sulle foto si vedono fili con presenza di colorante.
La conclusione, a quanto sembra, per gli autori del documentario come per Fanti, è che c’è colore sul Velo, su entrambi i lati, e non è limitato a poche zone circoscritte ma è diffuso su tutta la figura. Per quel poco che si è visto nel filmato, nessuno sembra avere contestato il fatto che il pigmento è presente. È facile incorrere in errori di interpretazione ascoltando pochi spezzoni di frase tradotti in tedesco, ma lo stesso professor Fanti ci ha gentilmente fornito un suo giudizio sintetico (vedi box) e conferma la presenza di materiale aggiunto sui fili.[5]
L’esito di questo convegno è importante perché erano presenti proprio i personaggi che hanno creato il mito di Manoppello, oltre ai frati del Santuario, e ora non potranno più dire tanto facilmente che sui fili non c’è nulla. È annunciata la prossima pubblicazione degli atti del convegno e staremo a vedere quale sarà il contenuto.
L’assenza di materiale sui fili era un caposaldo per i sostenitori della tesi autenticista. Ora che sono stati messi di fronte all’evidenza, e che tutti lo sanno, come reagiranno? Si può prevedere che non ammetteranno volentieri che il ritratto è un banale dipinto fatto da mano umana. Cercheranno un modo per credere comunque al miracolo. Già nel documentario si sente Fanti che dice che il fatto che ci sia il colore non significa che l’immagine non sia soprannaturale, anzi ci sono diversi motivi per pensare che lo sia, e conclude citando l’esempio della Vergine di Guadalupe (Messico) che, dice, è una immagine miracolosa anche se presenta tracce di pigmento pittorico. Concordiamo sul parallelo fra Manoppello e Guadalupe: non c’è dubbio che le due immagini sono altrettanto soprannaturali!
I sostenitori hanno aperte tre alternative. La prima è quella di far finta di niente e continuare a ignorare l’evidenza. È la strada scelta per ora dal sito del Santuario che continua a presentare il Velo dicendo che non c’è colore, come ha sempre fatto fin dall’inizio. Il sito dà anche notizia dell’apertura di una mostra sul Volto a Lecce, il 30 marzo 2007, con la partecipazione di Vittore. Dice: «Interessante il contributo del prof. Vittore, che ha ancora una volta sostenuto l’inspiegabilità dell’immagine considerata come dipinta, presentando nuove elaborazioni computerizzate di numerosi particolari della reliquia». Vittore era presente il 25 gennaio quando tutti videro le fotografie sullo schermo. Saremmo curiosi di sapere quali sono le sue considerazioni sulla inspiegabilità.
Una seconda alternativa è di ammettere che ci sia materiale sui fili ma attribuirne l’origine ad altre cause, non all’esecuzione pittorica dell’immagine. Già Fanti, in un primo momento, aveva tentato di dire che il colore era presente solo in zone circoscritte, come le pupille degli occhi, ed era attribuibile a «ritocchi medievali». Potrà anche succedere che qualcuno ipotizzi la presenza di sporcizia, batteri, muffe, tracce di insetti, incenso, residui di fiori posati sul Velo durante le cerimonie, oltre all’inquinamento dai pigmenti pittorici finiti sul Velo nel corso dei secoli quando c’erano pittori che eseguivano copie dell’immagine.
La terza alternativa è la più ardita: si riconosce che la figura è materialmente formata dai coloranti presenti sul Velo, ma ciò non impedisce di credere che la sua origine sia soprannaturale. Se all’origine c’è un miracolo, anche i pigmenti pittorici possono essere stati apportati miracolosamente! Chi opera un miracolo non ha limiti alle proprie possibilità. Potete trovare in anteprima un esempio di questa terza strategia nella nota fornita dal professor Fanti (vedi box). Come aveva già detto anche parlando nel documentario della ZDF, Fanti invoca il caso della Madonna di Guadalupe (oltre a un fazzoletto di Padre Pio). Elenca tre motivi per mettere in dubbio che il Velo sia stato dipinto. Non ci si deve meravigliare se adduce motivi tanto inverosimili: questo è tipico, per chi ha una certa mentalità, quando si cerca di salvare una credenza di fronte a una minaccia capitale.
La prossima volta vedremo altre leggende come l’identificazione con la Veronica romana e la favola del bisso di mare. Se nel frattempo qualcuna delle fonti qui citate avrà modificato la sua posizione sulla leggenda dell’assenza di colore, non mancheremo di notarlo.

Gian Marco Rinaldi

Note


1) Non ripetiamo qui quanto presentato in quell’articolo, che è anche disponibile in rete sul sito del CICAP e altrove. Ricordiamo solo i nomi dei protagonisti che torneremo a incontrare. La suora trappista Blandina Schlömer, eremita a Manoppello, ha detto che l’immagine del Velo è identica a quella della Sindone di Torino. Il gesuita Heinrich Pfeiffer, già professore di storia dell’arte cristiana negli atenei pontifici a Roma, ha immaginato una storia di duemila anni per il Velo, facendolo coincidere, per i secoli del Medioevo, con la Veronica che era famosa a Roma. Il redentorista Andreas Resch, che ha una sua casa editrice a Innsbruck, il giornalista Paul Badde, corrispondente da Roma e vaticanista per il quotidiano berlinese Welt, e il giornalista Saverio Gaeta di Famiglia Cristiana hanno dato altri contributi e hanno promosso la divulgazione. Chiara Vigo, filatrice a Sant’Antioco, Sardegna, ha detto che il Velo è di bisso marino. Donato Vittore, medico ortopedico e professore associato all’Università di Bari, ha fotografato il Velo dichiarando che non è un dipinto. Giulio Fanti, professore associato nella facoltà di Ingegneria dell’Università di Padova, e Roberto Falcinelli, fotografo a Roma, hanno preso altre fotografie.
2) È possibile che in passato il riferimento ai nomi di Vittore e Fanti fosse presente anche nella pagina in italiano ma che poi sia stato tolto. A farlo pensare c’è la circostanza che su un altro sito (di un albergo della zona) c’è una descrizione del Velo che è uguale, parola per parola, a quella in italiano del sito del Santuario, ma differisce solo per la presenza di questa frase: «Come risulta dalle indagini effettuate dal prof. Donato Vittore dell’Università di Bari e dal prof. Giulio Fanti dell’Università di Padova, sulla tela non sono riscontrabili residui o pigmenti di colore.» Andando sul sito www.archive.org è possibile recuperare molte pagine web quali erano in passato, ma nel nostro caso si incappa in una lacuna per il periodo attorno al 2004.
3) www.voltosanto.it/Italiano/dettagliostudi.php?x1=2
Ho fatto tutto il possibile ma non sono riuscito a sapere se Vittore abbia pubblicato relazioni più esaurienti o altre fotografie.
4) Al momento in cui scrivo, l’intero filmato è ancora visibile sul sito della ZDF:
www.zdf.de/ZDFde/inhalt/10/0,1872,5259626,00.html
5) Come si vede, nella sua nota Fanti ha anche fatto un confronto, non richiesto, con la Sindone di Torino. Sembra quasi voglia dire che, se l’autenticità del Velo di Manoppello può essere in pericolo, la Sindone però è cosa diversa e non corre rischi. Fanti è un sindonologo di spicco e probabilmente la Sindone gli è più cara del Velo.
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