Il regno di Agarttha

di Alexandre Saint-Yves d'Alveydre
Arkeios, 2009
pp. 190, E 17,50

  • In Articoli
  • 09-08-2009
  • di Paolo Cortesi
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Alexandre Saint-Yves fu una interessante figura di intellettuale "irregolare" della seconda metà dell'Ottocento, forse il periodo più ricco – e più confuso – dell'occultismo europeo.

La sua vita si estese fra il 1842 ed il 1909, perciò Saint-Yves, che vantava un titolo di marchese di Alveydre, fu anagraficamente ben dentro a quel tempo che vede l'irrazionalismo romantico colorarsi delle tinte orientali e assumere toni sempre più iniziatici.

Il matrimonio con una ricca ereditiera sollevò Saint-Yves dalle preoccupazioni economiche (e da un monotono impiego al ministero degli esteri francese) e così egli si poté dedicare a tempo pieno alle sue speculazioni esoteriche. Questo fece di Saint-Yves un autore fecondo, i cui interessi – ma sempre in chiave di lettura ermetica – si dispiegarono in vari campi: dalla storia alla politica, dall'economia all'arte. Sua è l'elaborazione dell'idea di Sinarchia, un modello di società duramente gerarchica, divisa in classi spirituali, guidata da un'elite di iniziati-esperti; questa idea (in cui confluirono molte suggestioni di scuole occulte, dagli Illuminati ai Martinisti) fu alla base, inconsapevolmente, delle dittature del Novecento, e la Sinarchia viene considerata talvolta come la madre teorica dei regimi tirannici, da quello nazista a quello stalinista, riconoscendo quale progetto politico, seppure occulto, quella che invece non fu che una coincidenza di fenomeni nello spirito del tempo. Ma di certo Saint-Yves d'Alveydre è un autore che merita studi attenti e nuovi, perché – comunque lo si voglia giudicare – fu un punto di riferimento autorevole per molti e nelle sue pagine si può cogliere, più pienamente che altrove, la temperie di un movimento di pensiero.

Quindi è un'ottima iniziativa quella della Casa Editrice Arkeios, che ha pubblicato la prima traduzione italiana di un'opera notevole di Saint-Yves, la Mission de l'Inde en Europe, titolo che è stato tradotto Il Regno di Agarttha per evidenti esigenze editoriali e commerciali.

Nel libro, Saint-Yves espone un concetto destinato a grande fortuna: il patrimonio di conoscenze vere e profonde viene dall'India, anzi da una minuscola minoranza di iniziati indiani. È un'idea certo non nuova, basti ricordare che tutto il Rinascimento considerava autentica solo la sapienza arcaica, originaria, cosicché la vera conoscenza era la riscoperta dell'antica verità.

Ma Saint-Yves dona a questo credo una veste esotica, con personaggi misteriosi e sfuggenti, con alfabeti bizzarri (il Vattano) ed una lingua ancestrale. E pure la Sinarchia non è, qui, piano politico ricavato da scienza e esperienza, ma da una comunanza di spirito con anime elette le quali non hanno profanato segreti sublimi, ma hanno portato Saint-Yves alla loro spontanea comprensione, al culmine di una elevazione spirituale tanto intensa quanto segreta.

Agarttha è il paese inavvicinabile in cui vivono venti milioni di anime sotto il sistema sinarchico in cui, ad esempio, non esiste la pena di morte e la polizia è costituita dai padri di famiglia. Ma bisogna supporre che questo corpo di polizia non abbia tante grane come qui da noi, perché "la riparazione volontaria segue immediatamente al danno". Saint-Yves usò l'Agarttha come modello utopistico di società (come fece Platone con l'Atlantide), o credeva davvero che si trattasse di un luogo reale? Se dovessimo aderire alla lettera del suo libro, dovremmo accettare per buona solo la seconda risposta. Ma queste sono faccende di scarsa importanza; allo studioso interessa invece conoscere il contesto sociale e storico di queste astruse riflessioni, importa delineare il quadro politico in cui si venne a formare il concetto sinarchico di Saint-Yves: la sua reazione contro i movimenti politici di massa che, nella Francia fra Otto e Novecento, rivendicavano diritti al proletariato e li rivendicavano anche con metodi clamorosi, talvolta violenti: ciò che un travet borghese del ministero non poteva capire e che anzi temeva e detestava con la forza della paura.

L'edizione italiana è preceduta da un ottimo apparato critico che, pur se non recentissimo (1981), è tuttora valido per accostarsi al testo.
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