Che scuola vogliamo?

Deve formare persone pensanti o semplici esecutori di mansioni?

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Qualche settimana fa, come ogni anno, sono state rese pubbliche le classifiche delle scuole secondarie superiori italiane redatte da Eduscopio[1], il progetto della “Fondazione Giovanni Agnelli”[2] che si propone di valutare «gli esiti successivi della formazione secondaria - i risultati universitari e lavorativi dei diplomati - per trarne delle indicazioni di qualità sull’offerta formativa delle scuole da cui essi provengono»[3].

I risultati ottenuti dal progetto hanno avuto anche quest’anno un’ampia eco sui media italiani e molte famiglie fanno affidamento a essi per scegliere a quale scuola iscrivere i propri figli, una volta terminata la scuola secondaria di primo grado (ex scuola media inferiore).

Vi è un generale consenso sull’attendibilità delle classifiche, considerata l’indiscussa serietà della Fondazione che gestisce la ricerca. Tuttavia, vale la pena analizzare un po’ più a fondo quali siano i criteri che essa utilizza per stilare le classifiche delle scuole italiane.

Sul sito stesso di Eduscopio si possono leggere, con la massima trasparenza, quali siano questi criteri. Si apprende che vengono utilizzati due dati fondamentali: 1) gli esiti universitari ottenuti dagli studenti che, una volta diplomati (licei e istituti tecnici), hanno deciso di proseguire gli studi e 2) gli esiti lavorativi degli studenti che invece hanno interrotto gli studi, dopo quelli secondari (istituti tecnici e istituti professionali).

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Per quanto riguarda la prima categoria di dati, si legge[4]:

«Le carriere universitarie degli studenti sono state ricostruite a partire dalle informazioni contenute nella banca dati dell’Anagrafe Nazionale degli Studenti Universitari (ANSU) del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, che raccoglie i dati amministrativi ricevuti dalle segreterie di ateneo. I dati riguardano tutti gli studenti iscritti in atenei italiani (pubblici e privati), ma non coprono per il momento altri enti di istruzione avanzata come l’Alta Formazione Artistica, Musicale e Coreutica o gli Istituti Tecnici Superiori. Inoltre, non esistono banche dati integrate che tengano conto anche delle immatricolazioni in corsi di primo livello in atenei esteri che, in ogni caso, riguardano un numero molto limitato di diplomati».

E, per quanto riguarda gli “indicatori di performance” presi in considerazione, si precisa:

«Per comparare la capacità delle scuole di preparare per gli studi universitari si sono presi in considerazione due indicatori:

- Media dei voti conseguiti agli esami universitari, ponderata per i crediti formativi di ciascun esame per tenere conto dei diversi carichi di lavoro ad essi associati;

- Crediti formativi universitari ottenuti, in percentuale sul totale previsto».

Riguardo invece gli esiti lavorativi, si apprende che:

«Eduscopio si basa su due fonti principali dei dati. La prima è l’Anagrafe Nazionale degli Studenti (ANS) del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, dalla quale vengono tratte le informazioni sugli studenti che hanno conseguito un diploma in una scuola ad indirizzo tecnico o professionale (statale o paritaria). In particolare, dall’ANS, abbiamo attinto dati relativi a:

- caratteristiche demografiche – genere, luogo di residenza, origine italiana/straniera;

- studi scolastici compiuti - titolo di scuola secondaria di II grado conseguito, istituto che lo ha rilasciato, anno solare di conseguimento, votazione all’esame di Stato, età al diploma (bocciature);

[...]La seconda fonte principale di informazione è rappresentata dai dati delle Comunicazioni Obbligatorie (COB) del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, le quali descrivono per ogni lavoratore dipendente i principali eventi che ne caratterizzano la carriera lavorativa».

Per gli indicatori di performance considerati, si legge:

«Per comparare la capacità delle scuole di preparare per l’ingresso nel mondo del lavoro si sono prese in considerazione diverse tipologie di indicatori che guardano sia ad aspetti quantitativi che qualitativi delle esperienze lavorative dei diplomati. Abbiamo calcolato un primo set di indicatori che guarda all’evoluzione nel tempo delle condizioni occupazionali e descrive la situazione in cui si trovano i diplomati entro i primi due anni dal diploma (dal settembre dell’anno di diploma al settembre del secondo anno successivo a quello di diploma)».

Indubbiamente i dati considerati da Eduscopio e le conseguenti classifiche stilate forniscono alcune informazioni. Ma è ragionevole basarsi su tali classifiche per scegliere la scuola? E le scuole risultate ai primi posti della classifica rappresentano davvero le scuole migliori? È legittimo dubitarne, per diversi motivi.

Innanzi tutto, vi è una considerazione da fare. Ammettendo pure, per un attimo, di considerare validi i criteri valutativi adottati da Eduscopio, nasce spontanea un’obiezione. Non viene minimamente considerata la condizione degli studenti in entrata nelle scuole considerate. In altre parole, come si fa a essere sicuri che il successo postscolastico degli studenti dipenda veramente dalla scuola e non dalle condizioni socio-economico-culturali della famiglia di provenienza? Una scuola che per tradizione è considerata buona verrà presumibilmente scelta dalle famiglie più agiate, più acculturate e meglio informate. Gli studenti provenienti da tali famiglie avranno già un retroterra socioculturale favorevole al loro successo formativo e professionale e la scuola farà ben poca fatica in tal senso. Attribuirne tutto il merito alla scuola appare pertanto piuttosto azzardato. Per valutare la reale efficacia di una scuola bisognerebbe infatti valutare quanto essa riesca a modificare la situazione iniziale da cui lo studente proviene. Una vera buona scuola sarà infatti quella che riesce a migliorare sensibilmente la formazione di uno studente che all’inizio presentava una situazione di criticità. A tale proposito vengono in mente le parole di Don Milani:

«Altri hanno in odio l’eguaglianza. Un preside a Firenze ha detto a una signora: “Non si preoccupi, lo mandi da me. La mia è la scuola meno unificata d’Italia”.

Giocare il popolo sovrano è facile. Basta raccogliere in una sezione i ragazzi “per bene”. Non importa conoscerli personalmente. Si guarda pagella, età, luogo di residenza (campagna, città), luogo d’origine (nord, sud), professione del padre, raccomandazioni.

Così vivranno nella stessa scuola due, tre, quattro medie diverse. La A è la “Media Vecchia”. Quella che fila bene. I professori più stimati se la leticano =litigano .

Un certo tipo di genitori si dà da fare per metterci il bambino. La B è già un po’ meno e così via.

Tutta gente onorata. Il preside e i professori non fanno per sé, fanno per la Cultura.

Neanche quei genitori fanno per sé. Fanno per l’Avvenire del bambino. Farsi strada a gomitate non sta bene, ma se si fa per lui, diventa un dovere sacro. Avrebbero vergogna a non lo fare.

I genitori più poveri non fanno nulla. Non sospettano nemmeno che queste cose esistano. Anzi sono commossi. A tempo loro in campagna c’era solo la terza.

Se le cose non vanno, sarà perché il bambino non è tagliato per gli studi. “L’ha detto il Professore. Che persona educata. Mi ha fatto sedere. Mi ha mostrato il registro. Un compito pieno di freghi blu. A noi non c’è toccato intelligente. Pazienza. Andrà nel campo come siamo andati noi”»[5].

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A parte questo, anche i criteri valutativi adottati da Eduscopio suscitano non poche perplessità. Ha senso infatti valutare la bontà di una scuola solamente con criteri performanti? Non dovrebbe essere compito della scuola formare culturalmente gli studenti? Fornire loro quei valori che sono alla base della convivenza civile, previsti dalla nostra Costituzione: libertà, democrazia, solidarietà, tolleranza, apertura alle diversità e alla molteplicità delle culture, spirito critico e amore del sapere? In altre parole, non dovrebbe preoccuparsi di formare cittadini “completi” e pensanti, anziché semplici discenti obbedienti, o futuri lavoratori disposti a svolgere diligentemente il ruolo che la società assegna loro?

Note

5) L. Milani e i ragazzi di Barbiana, Lettera ad una professoressa, Libreria editrice fiorentina, Firenze 1976.


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