Se non ti guardo non esisti

Come l'inadeguata divulgazione della Meccanica Quantistica favorisce arbitrarie interpretazioni paranormali del mondo

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  • 29-07-2004
  • di Bruno Chiarlo
I principi della Meccanica Quantistica, senza dubbio concettualmente ardui e non raramente espressi in forma sibillina, corrono il rischio di essere utilizzati per elaborare fantasiose forzature e trarre conclusioni di sapore quasi metafisico.

Paul Davies nel suo libro Dio e la Nuova Fisica (Ed. Mondadori, Milano, 1984, p. 163) riferisce di incredibili sostegni, provenienti anche da qualche settore scientifico, a interpretazioni quantistiche dei rapporti mente/materia, tali da far apparire perfino "accettabili certi fenomeni paranormali quali la psicocinesi..." e altri ancora. Circa l'infondatezza di presunti legami tra Meccanica Quantistica e paranormale Silvano Fuso (in: "Meccanica Quantistica e Pseudoscienze", Nuova-Secondaria, n. 9, XVII, 2000, p. 84) dice: "Accanto al dibattito accademico... esiste pure un sottobosco pseudoscientifico che utilizza i risultati della Meccanica Quantistica per sostenere le più insolite concezioni ideologiche. Il panorama è molto vasto e spazia dai fenomeni paranormali a quello delle terapie alternative fino ad arrivare a concezioni mistiche della realtà". Più avanti Fuso segnala anche la "tendenza piuttosto diffusa nell'ambito delle pseudoscienze, che consiste nell'utilizzare, fraintendendole però completamente, alcune affermazioni scientifiche per convalidare teorie e concezioni assolutamente gratuite".

Urne e camaleonti

La teoria dei quanti è nata quando la Fisica, iniziando l'esplorazione del mondo atomico e sub-atomico, ha incontrato una fenomenologia che, essendo dominata dal "Principio di indeterminazione" (W. Heisenberg, 1927), si è rivelata imprevedibilmente contrastante con le leggi della Fisica Classica.

Non è certamente questa la sede per trattare concetti e interpretazioni di Meccanica Quantistica. Non mancano opere divulgative che permettono di entrare nel vivo dell'attuale dibattito su tali problemi e di seguirne, entro certi limiti, proposte e soluzioni, rilevando anche qualche contrasto. Qui si vogliono solo brevemente ricordare quali rischi può determinare una didattica basata su affermazioni poco chiare e su una terminologia non rigorosamente scientifica.

Luigi Accardi ha scritto un'interessante opera (Urne e Camaleonti, Il Saggiatore, Milano, l997) dove l'Urna e il Camaleonte sono i simboli, rispettivamente, della vecchia e della nuova concezione della realtà fisica. L'Autore espone in forma vivacemente dialogica i fondamenti della teoria quantistica con numerosi ríferimenti ad affermazioni, obiezioni e perfino "battute" tratte da opere di eminenti fisici. In questo scritto ricorreranno, riprese dal libro, varie citazioni sue e di altri scienziati. Nonostante la chiarezza espositiva dell'Accardi si è costretti ad ammettere che certe sottigliezze concettuali di questa disciplina, in grado di sovvertire la tradizionale visione della realtà fisica, incontrano notevoli difficoltà ricettive.

Chiunque abbia una certa preparazione scientifica e provi interesse per i temi e le acquisizioni della Fisica Moderna si rende ben conto, a causa dei limiti posti dal "principio di indeterminazione", della necessità di applicare metodi statistici nello studio dei sistemi sub-microscopici, di interpretare probabilisticamente le funzioni d'onda, di costruire elaborati modelli fisico-matematici pur non essendo in grado di afferrarne sempre e compiutamente il significato. Con una certa e ben giustificata perplessità il "non esperto" può anche accettare la tesi, se espressa in forma generica, della "non esistenza di una realtà obiettiva indipendente dall'osservatore". Tutto questo deve essere riconosciuto come una indiscutibile peculiarità del mondo sub-atomico, anche perché è altrettanto indiscutibile il numero di successi teorici e applicativi ottenuti dalla Quantomeccanica in quel mondo. D'altra parte "se la natura è fatta in un certo modo devi essere tu ad adattare il tuo intuito alle sue leggi e non ha senso recriminare perché tali leggi mal si adattano al tuo intuito" (Accardi, op. cit. p. 29).

Se non lo guardi non esiste

Questo è vero. Però ci si chiede chi, pur disposto a far tacere il proprio intuito, non proverebbe un altrettanto vero turbamento di fronte alla affermazione che, a proposito della "non esistenza di una realtà obiettiva indipendente dall'osservatore", si determina la transizione di un "oggetto" da uno stato "virtuale" a uno stato "reale" con una semplice osservazione e misura. Lo sconcerto aumenta quando questa asserzione viene sintetizzata, senza specificarne meglio il significato, nell'aforisma "gli oggetti non guardati non esistono". Se la volgarizzazione dei concetti quantici viene resa con tali enigmatiche espressioni non ci si deve meravigliare del fatto che queste stesse vengano usate scorrettamente o anche strumentalizzate per trarne aberranti deduzioni estranee al mondo sub-atomico o, peggio, per farne oggetto di indebite estrapolazioni di natura metafisica.

Se "gli oggetti non guardati non esistono" è evidente, dal momento che "qualcosa" deve pur esistere, che esistono solo "gli oggetti guardati". Non sembra il caso di speculare sulla differenza tra guardare e osservare sotto il profilo puramente visivo, la differenza diventa però sostanziale in campo scientifico. Che una cosa non esista se non si vede è comunque meno preoccupante di quanto lo sia, se preso alla lettera, l'ineccepibile inverso: che esiste solo se si "guarda" e quindi si "osserva". Ancora più sconvolgente il sostenere, sempre usando una certa peregrina terminologia, tratta peraltro da un contesto specialistico ben delimitato, che il semplice atto del "guardare" trasformi l'esistenza "virtuale" di un oggetto in esistenza "reale": un gratuito sostegno alle pretese apparizioni (da considerare esistenze virtuali) di fantasmi, entità soprannaturali, diaboliche ecc. Quanta gente le ha viste e le continua a vedere, spesso con l'avallo in buona o mala fede di autorevoli istituzioni.

Anche il ricorso a curiose esemplificazioni, con cui si vorrebbe esporre in forma elementare qualche paradossale implicazione della "teorìa dei quanti", non sempre raggiunge il risultato didattico desiderato, soprattutto se l'enunciato difetta di adeguate precisazioni.

Il gatto vivo e morto

Uno dei "paradossi" più famosi e ripetutamente citato, essendo considerato paradigmatico sotto il profilo quantico, è quello del cosiddetto "Gatto di Schrödinger". Si tratta di un povero gatto "non guardato" che, rinchiuso in particolari condizioni entro un contenitore può risultare "vivo e morto contemporaneamente".

L'interpretazione ortodossa considera il gatto, quando nessuno lo guarda, in uno "stato di sovrapposizione" in cui non sarebbe né vivo né morto ma parteciperebbe di entrambe le condizioni. Il fatto che un qualcosa possa simultaneamente esistere e non esistere viene definito quantisticamente come "visione complementare" ma a questo punto il "non esperto" si forma un'opinione che concorda in notevole misura con quella di M. W. Browne e ripresa da L. Accardi (Op. cit., p.25): "Alcuni aspetti della teoria quantistica, sfidando le regole non solo della Fisica Classica ma della logica comune, sembrano affini alla magia". Accardi però vuole tranquillizzarci asserendo che tali stranezze rimangono relegate nel dominio del "non guardato".

Si legge spesso che per i fisici questi problemi non esistono più perché gli straordinari successi teorici e applicativi della Meccanica Quantistica li hanno abituati a convivere con le stranezze della stessa. Per i fisici è dunque essenziale che una teoria fornisca previsioni in accordo con i dati sperimentali anche se ne sfugge ancora il profondo significato.

È naturale e scientificamente corretto descrivere un fenomeno anche senza poterne o doverne spiegare le cause. Questo asserto vale in particolare per il mondo sub-microscopico la cui fenomenologia è soggetta all'indeterminazione. Sorge tuttavia in proposito il problema sul modo con cui dovrebbero essere descritti, anche se non spiegati, i principi e le implicazioni della Meccanica Quantistica, soprattutto a beneficio dell'ampia fascia degli "interessati ma non esperti". Limitando la questione al livello puramente divulgativo sarebbe quindi opportuno evitare, per descrivere fenomeni molto complessi e non facilmente recepibili, l'impiego di un linguaggio oscuro o, al contrario, il ricorso a riferimenti e similitudini banalmente comuni: nel primo caso si provoca già inizialmente un approccio negativo con la materia, nel secondo si utilizzano espedienti didattici apparentemente semplificatori ma in realtà fuorvianti. Se infatti è notevole la difficoltà di esporre contenuti e interpretazioni in termini accessibili a chi già possiede buone basi scientifiche non si migliora di certo la divulgazione ricorrendo a espressioni gergali, pienamente legittime nel circoscritto ambito dei "competenti" per la loro colorita e comoda sinteticità ma sibilline per il novizio.

Talvolta, permane addirittura l'impressione di un quasi compiaciuto indulgere alla misteriosità. Più esplicitamente certa terminologia quale ad esempio "oggetto" invece di particella sub-atomica, "guardare" invece di osservare e misurare con idoneo strumento ecc., dovrebbe rimanere esclusa dai testi divulgativi. È più corretto e forse rassicurante per chi affronta lo studio della fisica quantistica precisare subito e chiaramente che è "l'atto della misura" a essere considerato il creatore della realtà fisica di una particella (preesistente solo a livello virtuale) o, ancor più semplicemente come dice Tullio Regge (Accardi, op.cit., pg. 124). che "una particella non è tale fino a che non viene misurata". L'inspiegabilità ovviamente non svanisce ma si sottolinea l'importanza determinante dello strumento rivelatore e misuratore e altresì il significato fisico del termine "virtuale".

Nella postfazione del suo libro Accardi riassume, sugli argomenti trattati, i pericoli che possono derivare favorendo tendenze irrazionali attraverso errate o superficiali metodologie didattiche: "L'idea che elementi di irrazionalismo possano essersi infiltrati nella scienza stessa, e proprio in quelle discipline che, secondo gli stereotipi popolari, sarebbero depositarie dei più alti livelli di rigore razionale, è preoccupante. Tanto più preoccupante se questi elementi di irrazionalità riguardano l'interpretazione della più avanzata tra le teorie fisiche contemporanee, la teoria quantistica, e vengono diffusi fra i giovani attraverso l'insegnamento, la stampa quotidiana e periodica e oggi la televisione".

È pure significativa al riguardo la desolata constatazione di Karl Popper (Poscritto alla Logica della Scoperta Scientifica, Il Saggiatore, Milano, 1984, p. 76) sulla "generale atmosfera antirazionalista che è diventata una delle maggiori minacce del nostro tempo".

Proseguendo nel saccheggio in Urne e Camaleonti di concetti e considerazioni attinenti la Fisica Moderna, soprattutto con l'intenzione di ricavarne autorevole materia per giustificare impressioni, titubanze e timori a livello noviziale, è con un certo sollievo che si riscontra nella parte finale dell'opera la domanda: "È possibile che nelle dispute scientifiche si annidino elementi di irrazionalismo?" con la consolante risposta "Forse a breve scadenza sì, ma alla lunga la ragione finirà con il prevalere" perché "la scienza è sempre stata considerata una roccaforte del razionalismo".

Si auspica dunque che l'attuale apparente irrazionalismo scientifico venga "razionalmente" interpretato quale nuova concezione della particolare "indeterminabile" realtà fisica del mondo sub-atomico, senza indebite traslazioni di sapore paranormale nel solido mondo macroscopico in cui si è evoluta la conoscenza umana.

Bibliografia

  • R. Feynman. La Legge Fisica,Bollati Boringhieri, Torino, 2000.
  • A. Einstein. Teoria dei Quanti di Luce, Newton, Roma, 1993.
  • I. Asimov, Il Collasso dell'Universo, Mondadori, Milano, 1994.
  • G. Gamow, La Creazione dell'Universo, Mondadori, Milano, 1956.
  • G. Staguhn, Breve Storia dell'atomo, Salani, Milano, 2002.
  • S. Hawking, Dal Big Bang ai Buchi Neri, CDE, Milano, 1988.
  • I. Prigogine. Le Leggi del Caos, Laterza, Roma-Bari, 1994.


Bruno Chiarlo
Già Professore Associato di Chimica, Università di Genova

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