Intervista a Giancarlo Genta, Direttore del centro italiano studi SETI

L'Astrobiologia, una disciplina scientifica che si misura con una delle più grandiose e affascinanti sfide per la conoscenza umana: la ricerca di vita nel cosmo.

  • In Articoli
  • 17-05-2003
  • di Emiliano Farinella
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Giancarlo Genta è professore di Progettazione e Costruzione di Macchine presso il Politecnico di Torino, Direttore del Centro Italiano Studi SETI e membro corrispondente dell’Accademia delle Scienze di Torino e dell'Accademia Internazionale di Astronautica. Autore di oltre 230 lavori scientifici, ha partecipato a vari progetti astronautici, ed è autore de "La culla troppo stretta", Paravia 2000, un libro ricco di informazioni sull’astronautica in cui Genta illustra perché ritiene che la Terra sia per l'uomo una “culla troppo stretta” e che il nostro destino sia nella colonizzazione dello spazio. Recentemente ha pubblicato “Space, the Final Frontier”, Cambridge University Press, 2002, che tratta gli stessi temi in modo più dettagliato.

http://www.giancarlogenta.it


La ricerca della vita e dell'intelligenza extraterrestre sono compatibili col metodo scientifico?

Certamente, purchè appunto si applichi il metodo scientifico. Gli scienziati che si occupano seriamente di questi problemi sono molti ed ormai l’astrobiologia ed il SETI (Search for ExtraTerrestrial Intelligence) sono ritenuti campi di indagine degni di tutto rispetto.

Quali sono obiettivi e metodi dell'astrobiologia?

Per prima cosa una precisazione sui termini: la bioastronomia è quella parte dell’astronomia che studia i corpi celesti dal punto di vista dell’evoluzione della vita, mentre l’astrobiologia è quella parte della biologia che si occupa della vita extraterrestre.
La prima è quindi una scienza principalmente osservazionale e teorica, mentre la seconda è una scienza principalmente sperimentale che utilizza i ritrovati dell’astronautica (sonde spaziali automatiche, domani spedizioni con uomini a bordo) per condurre studi in loco.
Tuttavia si possono fare ricerche astrobiologiche anche sulla Terra, studiando le forme di vita che si sono adattate ad ambienti estremi, per molti versi simili a quelli esistenti su vari corpi celesti. Ma questa distinzione viene spesso ignorata e si tende a confondere i due approcci.

La ricerca della vita e dell'intelligenza extraterrestre hanno purtroppo dato luogo a diverse pseudoscienze che si sono affiancate indebitamente all'esobiologia. Questo ha causato diffidenza nel mondo scientifico verso questo campo di ricerche? E' ancora difficile parlare di questi temi in ambito scientifico?

Forse era inevitabile, trattandosi di questioni che hanno un forte impatto emotivo ed una grande presa sull’opinione pubblica. Certamente i ricercatori seri devono essere molto chiari e non indulgere in fantasticherie, ma quasi tutte le scienze si trovano a confinare con pseudoscienze: la medicina deve convivere con varie “pratiche alternative” che non hanno nulla di scientifico, l’astronomia con l’astrologia, la chimica con l’alchimia...
Il problema può essere che talvolta non si prendano in considerazione fenomeni che sarebbe interessante studiare perchè sono ormai diventati terreno su cui le pseudoscienze dilagano.
Il caso dell’ufologia è tipico: vi sono fenomeni (che non hanno nulla a che vedere con gli extraterrestri) che possono essere alla base di alcuni avvistamenti di UFO e su cui si sa poco (fulmini globulari, ecc.); ma è difficile indagare seriamente su di essi. Comunque per un certo verso l’ufologia e la bioastronomia sono antitetiche: se veramente gli extraterrestri fossero tra noi, non ci sarebbe alcun bisogno di andare a studiare i corpi celesti alla ricerca della vita extraterrestre.

La ricerca della vita extraterrestre è un campo di indagine estremamente vasto. Come si concilia con l'usuale approccio scientifico riduzionista?

Non c’è dubbio che questo è un problema. La ricerca della vita extraterrestre è un campo fortemente interdisciplinare, ma ormai ci si è resi conto che l’interdisciplinarità è un aspetto della scienza e della tecnologia che è sempre più importante.
Il riduzionismo ci ha permesso di semplificare i problemi ed è proprio grazie al riduzionismo che la scienza e la tecnologia sono arrivate dove sono arrivate. Ma il riduzionismo non esclude che scienziati di varie discipline lavorino insieme in un campo interdisciplinare e anche che uno studioso possa interessarsi di cose che escono dal suo ristretto campo di specializzazione.
L’importante è che la cosa sia fatta con rigore scientifico e che non sia una porta attraverso la quale fare entrare le pseudoscienze e l’irrazionale.

Il confronto con una forma di vita intelligente aliena e' affascinante. Non abbiamo nulla da prendere come riferimento che non siano le uniche forme di vita intelligenti che conosciamo, quelle che abitano questo pianeta. Eppure sappiamo che cio' rischia di introdurre dei pesanti vizi in questa ricerca. Un ricercatore in questo campo cosa si aspetta di trovare quando cerca un'intelligenza aliena?

Da un lato deve essere aperto a qualsiasi cosa: già Galileo sosteneva che non è possibile che esistano altri esseri come noi (nel senso di altri animali e piante come quelle terrestri), ma che è molto probabile che esistano altri esseri viventi non solo diversi da quelli che conosciamo, ma anche diversi da quello che la nostra immaginazione più sfrenata può concepire.
D’altra parte non possiamo studiare la possibilità che esistano cose che neppure riusciamo ad immaginare, e quindi quando si parla di vita si aggiunge ‘vita di tipo terrestre’ (nel senso più ampio possibile), perché questa è l’unica cosa che possiamo immaginare.
Se esistono forme di vita radicalmente diverse è possibile che non riusciamo neppure a renderci conto che si tratta di vita. Ad esempio l’acqua sembra essere il sovente ideale per lo sviluppo della vita, ed il carbonio e l’ossigeno due elementi fondamentali. La strategia di ‘cercare l’acqua’ per cercare la vita è molto diffusa.
Se poi si parla di intelligenza e non solo di vita, le cose divengono ancora più complicate.

Come si cautela dalla possibilità di inquinare involontariamente le sue ricerche con l'unica esperienza quotidiana che ha di vita intelligente?

Non credo che ci si possa cautelare da questo rischio, che è intrinseco di questo tipo di ricerca, se non applicando il massimo senso critico a tutte le affermazioni che si fanno.

Abbiamo una definizione generale di essere vivente o di essere intelligente?

Purtroppo no. La vita è stata definita in molti modi, ma nessuna definizione è completamente soddisfacente.
Le più recenti definizioni si riferiscono a condizioni di disequilibrio termodinamico… ma a guardare bene includono anche le macchine termiche.
Per l’intelligenza le cose sono ancora più complesse: credo che oltre all’intelligenza sia necessario pensare anche alla consapevolezza, forse ancora più difficile da definire e certamente più difficile da verificare.
Per le macchine è stato proposto il test di Turing (una macchina è intelligente quando il suo comportamento non è distinguibile da quello umano) che in fondo è il massimo dell’antropomorfismo.
Credo che sarebbe estremamente scorretto proporre criteri del genere in ambito SETI.

Quali sono i limiti e i punti di forza del progetto SETI?

Il primo limite è che si basa sulla nostra attuale tecnologia anche se cerca civiltà che, come quasi tutti pensano, sono molto più vecchie e quindi avanzate della nostra. Chiaramente non possiamo fare diversamente, ma ha senso pensare che eventuali extraterrestri usino le onde radio come facciamo noi (qui si parla del SETI radioastronomico, il SETI ottico è un’altra cosa)?
Un altro limite è l’estrema difficoltà di trovare qualche cosa, date le dimensioni della nostra galassia (anche se le civiltà extraterrestri fossero decine di migliaia, la distanza media tra loro sarebbe di centinaia o migliaia di anni luce), la non conoscenza della frequenza a cui trasmettono e del tipo di messaggio da cercare (si dice comunemente che è come cercare un ago in un pagliaio di dimensioni cosmiche).
I punti di forza sono i costi limitati e la possibilità di utilizzare registrazioni fatte per altri scopi, disponendo così di moltissimi dati in cui cercare eventuali messaggi.
Inoltre il SETI ha permesso di affrontare il problema della ricerca della vita e dell’intelligenza extraterrestre in modo scientificamente corretto, dando credibilità scientifica a questi studi.

Il progetto SETI fa degli assunti tecnologici sui possibili alieni. Questi assunti quanto sono frutto di un certo antropomorfismo e in che maniera sono giustificati e accettabili?

Non possiamo evitare di farlo. Certamente non possiamo cercare segnali trasmessi con tecnologie che non possediamo, e quindi dobbiamo fare delle ipotesi di lavoro.
Dato che uno dei postulati di base è che leggi fisiche siano le stesse in tutto l’universo (ma basta che lo siano in quell’infinitesima parte di universo che è la nostra galassia), si suppone che anche le tecnologie possibili siano abbastanza uniformi.
Inoltre se le intelligenze extraterrestri vogliono cercare di mettersi in comunicazione con civiltà che hanno da poco raggiunto uno stadio tecnologico che li mette in grado di comunicare a distanze interstellari, è probabile che usino tecnologie semplici, ma si tratta solamente di congetture.
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