Il cuneo e la sponda

Strumenti indispensabili per progettare (intelligentemente) una pseudoscienza

Che cosa accomuna l’astrologo Branko, il cardinale Schönborn, il biochimico Behe e il professor Di Bella?
Cercheremo di arrivarci per gradi e i soggetti coinvolti non ce ne vogliano.
Il creazionismo esiste da molto prima che venisse formulata la teoria dell’evoluzione di Darwin. Eppure, negli ultimi anni abbiamo assistito a un riaccendersi del dibattit, partito in America e approdato recentemente anche qui in Italia, con l’ingresso in scena di una nuova forma di creazionismo che vede come portabandiera il cosiddetto Intelligent Design (ID).
L’ID nasce formalmente in America all’inizio degli anni Novanta, ma affonda le sue radici lontano, riprendendo il vecchio argomento dell’orologiaio proposto da William Paley nel saggio Teologia Naturale del 1802. (v. box: “In principio era l’orologiaio”). Semplificando al massimo, per i sostenitori dell’Intelligent Design le forme viventi, nella loro complessità, non possono essersi generate per caso: ci deve essere un progetto (design) alla base.
Ma l’ID, a differenza del creazionismo classico, si propone come alternativa scientifica” alla teoria dell’evoluzione darwiniana e agisce su due fronti contemporaneamente: da un lato, la wedge strategy (strategia del cuneo), che si propone di trovare prove (i cunei) da infilare nelle crepe del naturalismo per farlo crollare, e dall’altro la campagna teach the controversy (insegnare la controversia), che punta, tra le altre cose, all’introduzione dell’insegnamento dell’ID nelle scuole.
Le domande alle quali cercheremo di rispondere in questo dossier sono:
  1. L’ID è una scienza?
  2. Le prove scientifiche portate a carico dell’ID sono in grado di descrivere l’origine e lo sviluppo della vita sulla Terra?
  3. E, se l’ID non è una scienza e le prove che presenta non descrivono la realtà, sono giustificate le richieste di equiparazione che arrivano dai suoi proponenti?


Scienza e pseudoscienza


Prima di entrare nel merito delle strategie utilizzate dai sostenitori dell’Intelligent Design, cerchiamo di capire se esso si possa davvero proporre come un’alternativa “scientifica” all’evoluzione.
Per essere scientifica, una teoria deve seguire il percorso del “metodo scientifico”, che comprende, schematizzando molto, i seguenti passi: osservare un fenomeno, formulare un’ipotesi, prevederne le conseguenze, verificarle sperimentalmente, trarre delle conclusioni e valutarle. Ad esempio Newton, almeno secondo la leggenda, ha osservato una mela cadere, ha ipotizzato che cadesse perché sottoposta a una forza che ha chiamato gravità, ha verificato l’ipotesi sperimentalmente, ha costruito un modello che spiegasse il fenomeno in forma matematica e lo ha sottoposto al vaglio della comunità scientifica. Darwin, allo stesso modo, ha formulato la teoria dell’evoluzione seguendo il percorso imposto dalla scienza: partendo dall’osservazione delle somiglianze tra le specie viventi, ipotizzando che avessero un’origine comune, verificando questa ipotesi su molte specie e costruendo un modello che ne spiegava l’origine attraverso il meccanismo della selezione naturale, modello che è poi stato esaminato e affinato dalla comunità scientifica.
Al contrario, le pseudoscienze sostengono di essere scientifiche, ma non seguono il metodo scientifico e si riconoscono in genere per le affermazioni prive di verifica sperimentale o impossibili da verificare o da falsificare, la tendenza a modificare abitualmente la natura delle proprie asserzioni per sfuggire alle critiche, e la denuncia di un presunto ostracismo della “scienza ufficiale” dovuto a chiusura mentale e interessi economici.
L’Intelligent Design è una scienza o una pseudoscienza? Vediamo...

Presi per il cuneo


Il movimento dell’Intelligent Design, avviato ufficialmente nel 1991 con la pubblicazione del libro Darwin on Trial del giurista Philip Johnson, ha come obiettivo quello di riaffermare la realtà di Dio, «sfidando il predominio di materialismo e naturalismo».
Il nemico da combattere è la teoria dell’evoluzione di Darwin, tant’è che al museo dell’Institute for Creation Research è rappresentato un albero diabolico nel quale l’evoluzionismo compare assieme a una serie di altri “ismi” inquietanti che vanno dal comunismo all’imperialismo, passando per l’infanticidio, la schiavitù e la pedofilia. La sua eliminazione viene prima di tutto, prima anche della spiegazione del possibile meccanismo alternativo. «Quando Golia [l'evoluzione] sarà finalmente stato abbattuto, ci sarà tempo per studiare in dettaglio come è avvenuta la creazione» sostiene Johnson. L’azione demolitrice di Johnson e colleghi è supportata dal Discovery Institute di Seattle, che finanzia (con budget di milioni di dollari l’anno) campagne informative, libri, conferenze, convegni, siti Internet e, di recente, anche musei.
Nel 2004, durante la campagna per le elezioni alla presidenza degli Stati Uniti, il dibattito è stato notevolmente politicizzato: George W. Bush ha fatto appello all’argomento delle “pari opportunità” per giustificare il suo appoggio alla campagna per l’insegnamento del disegno intelligente. Il dibattito ha raggiunto il suo apice nel processo diventato famoso col nome di Dover Trial, un vero e proprio processo all’Intelligent Design. Da un lato il consiglio scolastico della piccola cittadina della Pennsylvania, accusato di aver indotto gli insegnanti a leggere, prima dell’inizio delle lezioni di biologia in cui si spiega la teoria dell’evoluzione, la seguente frase: «Poiché la teoria di Darwin è una teoria, continua a essere in discussione. La teoria non è un fatto». Inoltre, si “suggerisce” agli studenti di prendere in considerazione l’Intelligent Design e il libro che ne sostiene le motivazioni (Of Pandas and People).
Dall’altro lato una decina di famiglie che ha citato in giudizio gli amministratori scolastici di Dover sostenendo che le autorità scolastiche hanno violato il primo emendamento della Costituzione americana, che vieta di impartire insegnamenti motivati in senso religioso o che hanno come effetto quello di diffondere una fede.
Il processo è durato sei settimane. Il Discovery Institute di Seattle ha mosso tutti suoi uomini migliori e ha mandato a testimoniare il biochimico Michael Behe, il teorico della complessità irriducibile, per ribadire la scientificità dell’ID, anche se affermerà che «non è possibile dimostrate l’esistenza di un progetto intelligente attraverso un esperimento». La difesa non è stata da meno e frotte di scienziati della National Academy of Science si sono avvicendati sul banco dei testimoni a dire che l’ID non è scienza, anche se potrebbe sembrarlo. Decisione difficile per il giudice John E. Jones III. Perché, se è vero che il creazionismo è stato messo al bando come insegnamento scolastico, i sostenitori dell’ID sono stati molto attenti a non dare nessun nome alla creatura intelligente che ha messo ordine nell’universo. E quindi? Il giudice Jones, un conservatore, alla fine ha deciso: l’ID non può essere insegnato perché non è scienza, ma solo «un punto di vista religioso, una semplice rietichettatura del creazionismo». Discorso chiuso[1].

Molto rumore per nulla?


Discorso chiuso, ma riaperto qua da noi, dove nessuno se lo aspettava. E nessuno se lo aspettava perché la situazione italiana è molto diversa da quella americana. Negli Stati Uniti la battaglia quasi centenaria per impedire l’insegnamento dell’evoluzionismo, o per affiancargli con pari dignità quello dell’ID, è legata alla centralità della Bibbia nella cultura religiosa, quasi del tutto assente in un paese cattolico come il nostro. Nella cultura cattolica, il rapporto con il libro sacro è mediato dal magistero della Chiesa, che ha probabilmente contribuito a prevenire le derive verso interpretazioni troppo letterali delle scritture.
Inoltre in quel Paese i sostenitori dell’ID possono contare su un largo appoggio della popolazione; da una rilevazione condotta nel 2005 da Gallup per conto della CNN apprendiamo che ben il 53 per cento della popolazione statunitense ritiene che «Dio ha creato gli esseri umani nella loro forma attuale, così come descritto dalla Bibbia», mentre solo il 12 per cento condivide la prospettiva evoluzionistica. In Italia la situazione è diversa, perché le parti sono quasi invertite, con un 17 per cento della popolazione sulla posizione del creazionismo di tipo letterale biblico e un 35 per cento di “appoggio” all’evoluzione (analisi effettuata da Observa, nel 2006, in collaborazione con Tuttoscienze de La Stampa).
A sostegno del fatto che la situazione italiana è molto diversa da quella americana e che da noi non esiste un pericolo reale per l’insegnamento della teoria dell’evoluzione nelle scuole, si possono ricordare le recenti vicende che hanno riguardato i programmi di biologia per le scuole medie. Il tentativo di eliminare l’insegnamento dell’evoluzione è durato lo spazio di un mattino. Dopo le proteste di scienziati e uomini di cultura, il ministro ha fatto marcia indietro, ha istituito una commissione di esperti e l’insegnamento dell’evoluzione è stato salvato. Forse.
Per di più, da tempo la Chiesa cattolica ha smesso di contrastare l’evoluzionismo che per più di un secolo aveva considerato indissolubilmente legato a una prospettiva materialistica. Infatti, il 22 febbraio del 1996 il Papa Giovanni Paolo II, nel discorso alla Pontificia Accademia delle Scienze, dichiarava esplicitamente: «nuove conoscenze conducono a non considerare più la teoria dell’evoluzione una mera ipotesi». Forse (v. box a p. 36).
Non abbiamo qui lo spazio per entrare nel dettaglio della vicenda italiana (o all’italiana”) iniziata nel 2004 e non ancora finita. Rimandiamo, per una ricostruzione completa del caso, all’ultimo libro di Telmo Pievani, docente di Filosofia della Scienza all’Università di Milano Bicocca, In difesa di Darwin.
Nel 2004, è stato tolto ogni riferimento a Darwin e all’evoluzione dai programmi scolastici delle scuole medie. Gli scienziati hanno spedito una lettera di protesta indirizzata all’allora Ministro dell’Istruzione Letizia Moratti che nel giro di poco tempo ha raccolto cinquantamila adesioni. Di fronte alla protesta, il Ministro ha fatto marcia indietro e ha istituito una commissione di esperti per «dare precise indicazioni che costituiranno la base di tutti i percorsi educativi».
La commissione formata da due premi Nobel, Rita Levi Montalcini e Carlo Rubbia, dal biologo molecolare Vittorio Sgaramella e dal genetista don Roberto Colombo, ha preso una decisone che appariva scontata: Darwin deve essere insegnato. Ma il documento ufficiale che lo afferma non viene diffuso. La comunità scientifica protesta, ne esce una versione “corretta” e ufficiale, nella quale l’evoluzione di Darwin ha un ruolo marginale, ma il confronto fra le due versioni, pubblicato dalla rivista Micromega, è a dir poco imbarazzante.
Il risultato è stato davvero il reinserimento dello studio della teoria dell’evoluzione? Non proprio. Prima dell’eliminazione si poteva leggere nelle indicazioni ministeriali per i programmi delle scuole medie il seguente punto: «Origine ed evoluzione biologica e culturale della specie umana», suddiviso a sua volta in quattro punti dettagliati. Dopo il “reinserimento” quello che si legge è: «Interazioni reciproche tra geosfera e biosfera, loro coevoluzione. Darwin». Sì, Darwin è stato reintrodotto, ma non come se lo aspettavano gli scienziati.
Da allora il dibattito s’è infuocato. Il flusso di informazione sulla vicenda è un fiume in piena. Nessuno stupore di fronte ai picchi in corrispondenza delle varie puntate dell’affaire Moratti (vedi grafico in basso): è cronaca politica ed è ovvio che compaia sui giornali. Ma, dal 2005 in avanti, siamo stati letteralmente travolti dal flusso, tant’è che per un lungo periodo sembrava non si parlasse d’altro. Che cosa è successo nel 2005?

Tu vuo’ fa’ l’americano...


Nel 2005 c’è stata una svolta, in un paese dove nessuno se lo aspettava. In un articolo dal titolo eloquente “Trovare un progetto nella Natura” (“Finding design in Nature”) il cardinale Christoph Schönborn ha tuonato: «l’evoluzione nel senso di una discendenza comune può essere vera. Ma l’evoluzione nel senso neodarwiniano, intesa cioè come un processo di variazione casuale e selezione materiale non lo è»[2].
La risposta agli appelli per l’autonomia della scienza e per la rivendicazione dell’applicazione del naturalismo metodologico è semplice e chiara: «Le teorie scientifiche che cercano di rimuovere l’evidenza di un disegno spiegando l’evoluzione come un risultato di “caso e necessità” non sono scientifiche per nulla, ma sono un’abdicazione dell’intelligenza umana».
Nessun dialogo “maturo” tra scienza e fede. Per il cardinale è semplicemente “sbagliato” pensare di poter spiegare la vita in termini esclusivamente naturali.
Ma è Intelligent Design? Quasi.
Abbiamo già detto dei molti motivi che impedirebbero il diffondersi dell’ID di stampo americano nel nostro Paese. Ma le esternazioni del cardinale hanno dato il via a quella che Pievani chiama “strategia della sponda”: si afferma la non scientificità dell’Intelligent Design, ma si condanna la deriva di certa scienza che pretende di spiegare tutto, per arrivare ad auspicare l’ingresso di una ragione allargata che non si limiti al metodo di indagine delle scienze naturali, ma che includa la ricerca filosofica e teologica.
Alcuni esempi? Monsignor Facchini, docente di Antropologia e Paleontologia all’Università di Bologna, poco dopo l’uscita dell’articolo del cardinale Schönborn, commenta la sentenza del Dover Trial come: «corretta. L’ID non appartiene alla scienza e non si giustifica la pretesa che sia insegnato come teoria scientifica accanto alla spiegazione darwiniana»[3]. Sponda.
Però, continua Facchini, «la scienza in quanto tale, con i suoi metodi, non può dimostrare, ma neppure escludere che un disegno superiore si sia realizzato, quali che siano le cause, all’apparenza anche casuali o rientranti nella natura»; per cui «in una visione che va oltre l’orizzonte empirico, possiamo dire che non siamo uomini per caso e neppure per necessità, e che la vicenda umana ha un senso e una direzione segnate da un disegno superiore». Sponda.
Quindi, «che cosa esiste all’origine? È la Ragione creatrice, lo Spirito che opera tutto e suscita lo sviluppo o è l’Irrazionalità che, priva di ogni ragione, stranamente produce un cosmo ordinato in modo matematico e anche l’uomo e la sua ragione? Questa, però, sarebbe allora soltanto un risultato casuale dell’evoluzione e quindi, in fondo, anche una cosa irragionevole»[4]. Parola di Joseph Ratzinger, Papa Benedetto XVI. Buca!
La strategia della sponda ha trovato la sua sponda nella campagna mediatica messa in atto sistematicamente da alcuni giornali. Ricordate il picco costituito dal flusso di informazione che parte nel 2005 e che si mantiene alto fino ai giorni nostri? Il primato del maggior numero di articoli va al Foglio di Giuliano Ferrara, che supera di gran lunga i quotidiani a grande tiratura e, a seguire (dopo Repubblica e Corriere della Sera), l’Avvenire (vedi grafico sopra).
La regola è: il dibattito prima di tutto, in modo che si capisca che «la scienza è divisa».
I mezzi sono le regole di un certo tipo di giornalismo dei giorni nostri: l’accentuazione dei contrasti, l’inasprimento dei toni, il ricorso a esempi semplici che vanno dritti al cuore del lettore («come può il caso generare il sorriso di un bambino?») o ad argomenti estremamente complessi, che spostano il discorso sui dettagli tecnici. Il risultato è tanta confusione.
Ma, parlando di comunicazione: come comunicano i sostenitori dell’ID?

Darwin, mancano le prove!


Dicevamo all’inizio che l’argomento di forza dell’ID è la critica all’evoluzione darwiniana, che gli fa assumere di diritto, come sostiene Andrea Ferrero, lo status di teoria del complotto (v. box a fianco).
Partendo dall’assunzione che (come per Paley) “tanta magnificenza” non possa essersi generata per caso, si va contro quella che Pievani, in Creazione senza Dio, definisce “la possibilità” del naturalismo, cioè quella di «concepire la specie umana in termini esclusivamente naturali e con gli strumenti della scienza».
I neocreazionisti attuano una doppia strategia; prima negano l’evidenza e poi propongono una soluzione alternativa. Negare l’evidenza vuol dire, secondo Pievani, «sottrarsi al dibattito, sostenere accuse false, negare la realtà empirica condivisa in un determinato campo di studi e portare in questo modo la discussione su un piano totalmente ideologico». In questo modo si obbligano gli avversari (e quindi gli scienziati) a retrocedere e a ribadire ciò che davano per scontato, senza contare che spesso la risposta dello scienziato è fatta di premesse, concetti complicati e difficili da spiegare, necessità di attenzione e tante regole... insomma, ci vogliono un paio d’ore e una lavagna per riuscire a rispondere all’affermazione-slogan del cardinale Schönborn: «Darwin, mancano le prove!»[5]. E nei dibattiti, specialmente quelli televisivi, il tempo per rispondere non c’è (per non parlare della lavagna!).
Per rispondere a tutte le critiche mosse dai neocreazionisti una vita non basta. Riuscire a sopravvivere indenni alla strategia del cuneo, attuata con abilità impareggiabile da Johnson e colleghi, è quasi impossibile perché la teoria dell’evoluzione, come tutte le teorie scientifiche, ha lacune, punti poco chiari, buchi ancora da riempire.
Per quasi tutti i punti c’è una risposta e nel box qui sotto abbiamo cercato di rispondere alle obiezioni principali, per altri invece la risposta non c’è, perché bisogna ancora studiare, capire, correggere, eccetera. È un meccanismo fisiologico, comune a tutte le teorie scientifiche, ma i sostenitori dell’Intelligent Design puntano sul desiderio di avere dalla Scienza risposte e certezze. Di fronte all’azione di così tanti cunei affilati, la teoria, almeno agli occhi di chi guarda, sembra crollare e diventa semplice insinuare il dubbio che, forse, la soluzione possa essere quella di allargare i propri orizzonti. Questo è di nuovo un meccanismo che troviamo nelle pseudoscienze “classiche”, ma leggermente modificato per l’occasione: la Scienza con la “s” maiuscola non può spiegare tutto? Ci sono delle lacune? La comunità scientifica è divisa? Bene! Se la Scienza non è infallibile non può pretendere di essere l’unica a essere ascoltata, sovvenzionata, insegnata ed ecco che abbiamo qui pronta la nostra “teoria” che non sarà perfetta, ma perché limitarsi? Meglio sapere qualcosa di più che qualcosa di meno, no? Insegnare più scienza, o, per dirla con Ferrara: «che male c’è a studiare anche l’ID?»[6].

Di elefanti e pregiudizi


Insinuare il dubbio che ci sia “qualcosa di più” oltre il conosciuto, che ci sia qualcosa che la scienza non può spiegare è molto facile. Immaginate, ad esempio, «una stanza in cui giaccia un cadavere schiacciato, appiattito come una frittella. Una dozzina di investigatori si muovono intorno carponi ed esaminano il pavimento muniti di lenti d’ingrandimento, in cerca di indizi che conducano all’identità dell’assassino. Nel mezzo della stanza, vicino al cadavere si trova un grosso elefante grigio. Gli investigatori, nel muoversi, evitano accuratamente di sbattere nelle zampe del pachiderma e non gli gettano neppure uno sguardo. Ogni tanto gli investigatori si sentono frustrati per l’assenza di progressi, ma proseguono risoluti, osservando ancora più da vicino il pavimento. Sapete, i manuali dicono che gli investigatori devono “trovare il loro uomo” e perciò essi non prendono neanche in considerazione l’elefante. Vi è un elefante nella stanza degli scienziati che cercano di spiegare lo sviluppo della vita. L’elefante si chiama Progetto Intelligente». A parlare è Michael Behe, il biochimico dell’ID e il significato delle sue parole è molto chiaro: abbiamo un elefante davanti agli occhi e non ce ne accorgiamo, perché le regole (quelle che abbiamo definito come “metodo scientifico”), le tradizioni e gli strumenti che abbiamo a disposizione ce lo impediscono.
La soluzione salta immediatamente agli occhi ed è intuitiva: di fronte alla possibilità di conoscenza, il dubbio non si pone. Studiamo anche l’ID, perché potrebbe darci qualcosa di più, ci potrebbe permettere di vedere l’elefante nascosto dietro i nostri pregiudizi. «Che male c’è?»

Tutti atei e comunisti


Un’altra strategia, tra le più utilizzate dai sostenitori dell’ID, consiste nella presentazione degli scienziati evoluzionisti come i veri dogmatici. In confronto, gli “scienziati creazionisti” sarebbero dei veri innovatori che si battono per una scienza più aperta. Se, come sostengono Johnson e colleghi, la teoria dell’evoluzione è “solo una teoria” senza basi scientifiche concrete, come mai l’evoluzionismo ha potuto acquistare tanto credito? Semplice: gliscienziati avrebbero stabilito a priori l’esclusione dell’unica alternativa valida alla teoria dell’evoluzione. Sono davvero tutti atei e materialisti?
Quando il movimento del cuneo ha proclamato di avere una lista di 700 scienziati pro-ID, quelli del National Center for Science Education hanno provato ad accettare la sfida: rispondere con una lista di scienziati pro-evoluzione. L’adesione è concessa a tutti gli scienziati del mondo, a patto che si chiamino Steve (o Stephen, o Stefano, Stefania, eccetera), in onore del grande paleontologo Stephen Jay Gould. Che cosa volevano dimostrare? Che la scienza non si fa coi sondaggi o con chi ha la lista di scienziati più lunga, ma che nonostante si sia ristretto il campo all’1 per cento della popolazione (questa la diffusione stimata per il nome Steve), la lista degli aderenti è comunque molto lunga, più lunga di quella pro-ID. Al momento della chiusura di questo numero di S&P siamo a quota 807 “scienziati Steve” nel mondo che supportano la teoria dell’evoluzione[7].
Se anche gli “scienziati Steve” (e gli scienziati evoluzionisti in generale) fossero tutti atei e comunisti, come affermato dal movimento del cuneo sul sito Answers in Genesys[8], il livello di supporto alla teoria dell’evoluzione è molto diffuso anche nel mondo cattolico (che almeno ateo non dovrebbe essere). Il Clergy Letter Project raccoglie infatti più di 10 mila sacerdoti che si oppongono al creazionismo in tutte le sue forme[9].
Però tra cunei e sponde si rischia di perdere il punto della questione. L’ID, al di là dei modi, può essere considerato una scienza?

Rawhide


Dal punto di vista “scientifico”, l’Intelligent Design si propone di cercare le prove fisiche, i cosiddetti “segni di intelligenza” nella natura. La definizione più comune appartiene a William Dembski, filosofo, matematico e teologo: «Ci sono sistemi naturali che non possono essere spiegati in termini di forze naturali e che mostrano caratteristiche che in ogni altra circostanza attribuiremmo all’intelligenza».
La complessità della Natura permetterebbe, stando a quanto affermato dai sostenitori dell’ID, di inferire l’esistenza di un progetto e, di conseguenza, di un progettista.
Le prove? Semplice: l’“universo finemente regolato” (fine-tuned universe), la “complessità irriducibile” (irreducible complexity) e quella “specificata” (specified complexity).
In pratica, l’esistenza stessa della vita sarebbe la prova dell’esistenza di un progetto, perché l’emergere naturale di un universo con tutte le caratteristiche necessarie alla vita è «incredibilmente improbabile».
Se alcune di queste caratteristiche fossero state anche solo leggermente differenti, le condizioni sull’universo sarebbero state completamente diverse e la vita non si sarebbe mai sviluppata. Quindi, per i sostenitori dell’ID, ci deve essere stato un progettista che abbia coordinato tutte le caratteristiche e permesso, di conseguenza, la vita. Ma non una vita qualsiasi. Una vita irriducibilmente “complessa” e “specificata”.
Michael Behe, professore di Biochimica all’Università di Leigh, cattolico devoto e padre di nove figli, rimane folgorato dalle rivelazioni contenute nei libri di Philip Johnson e Michael Denton: la teoria dell’evoluzione non può spiegare “tutto”. Behe, che è un biochimico duro, di quelli che vedono solo le molecole, si rende conto che la spiegazione naturalistica dell’evoluzione non è in grado di descrivere la vita a livello molecolare ed è convinto che «la biochimica abbia messo Darwin all’angolo [...] aprendo l’ultima scatola nera, la cellula, permettendoci di capire come funziona la vita». Come? Continua Behe, «la sorprendente complessità di alcune strutture subcellulari permette di concludere che c’è un progetto intelligente al lavoro» e, modestamente, «i risultati sono così eclatanti da rappresentare una delle più grandi scoperte nella storia della scienza».
Pubblica le sue tesi nel 1996, in Darwin’s Black Box: The Biochemical Challenge to Evolution, un libro che diventerà un best-seller, nonché libro dell’anno per la rivista Christianity Today.
Nel libro, Behe, riprendendo l’argomento dell’orologiaio di Paley, sostiene di ritrovare i segni di un progetto nelle “meravigliose macchine molecolari”, come il flagello che permette il movimento di certi batteri, che fanno parte di quella “scatola nera” che è la cellula. Un sistema biochimico complesso come il flagello dei batteri non può essersi evoluto dal basso, gradualmente, con le lievi e successive mutazioni teorizzate da Darwin, ma deve essere il frutto di un progetto, di una mente che l’abbia pensato in vista di un fine.
In due parole “complessità irriducibile”, un argomento festeggiato dai sostenitori dell’Intelligent Design come la Waterloo dell’evoluzione, un cuneo appuntito da brandire per far crollare definitivamente la teoria di Darwin, il flagello dei batteri usato come frusta da utilizzare per scardinare la teoria dell’evoluzione... Ma non solo.

CSI


I sistemi biologici, oltre a essere complessi, sono anche “specificati”. Ad affermarlo è William Dembski, il filosofo-matematico-teologo dell’ID. Il suo ragionamento si basa sostanzialmente sul fatto che sarebbe estremamente improbabile che sistemi biologici complessi, che veicolano informazioni complesse, si siano formati per caso. Si ritorna all’argomento dell’incredulità che la fa da padrone in tutta la strategia del cuneo, ma Dembski lo infarcisce di tanta matematica (che fa sempre molta impressione) e riesce anche a quantificare la probabilità: l’informazione complessa specificata (CSI) è tutto ciò che ha meno di una possibilità su 10150 di comparire per caso.
Un esempio? È estremamente improbabile (probabilmente meno di 1/10150) che mescolando a caso tutti gli amminoacidi componenti l’emoglobina, si ottenga una molecola di quel tipo.
La risposta della comunità scientifica a queste affermazioni è arrivata immediatamente: è vero che la comparsa contemporanea di tutti i singoli elementi che compongono un sistema biologico sarebbe estremamente improbabile. Infatti, mai nessuno ha detto il contrario. La teoria dell’evoluzione elaborata da Darwin non afferma che le strutture biologiche si sono create, così come le conosciamo oggi, all’improvviso e per caso, ma, piuttosto, che le strutture attuali sono il risultato di trasformazioni graduali che si sono susseguite passo dopo passo per un periodo di tempo estremamente lungo. Anche l’emoglobina.
Prima che Darwin formulasse la teoria dell’evoluzione non c’erano molte alternative: o il progetto o il caso. Con Darwin, abbiamo imparato che c’è una terza possibilità, rappresentata da quella che chiamiamo “evoluzione”: una miscela di variazione, selezione, contingenza, ridondanza e adattamento.
Gli organismi nella loro forma attuale (uomini compresi) recano le tracce di quella che è stata la loro storia evolutiva: strutture che un tempo servivano e adesso non più e strutture nate con una funzione e adesso utilizzate per un’altra.
Allo stesso modo, all’argomento delle costanti universali che sarebbero finemente regolate e senza le quali la vita non potrebbe esistere, gli scienziati rispondono che è vero, la vita così come la conosciamo noi non potrebbe esistere. Ma forse ne potrebbe esistere un’altra, con altre caratteristiche ed esigenze e non è detto che in altri universi, con costanti diverse, ci siano altre forme di vita diverse a loro volta. È solo una possibilità, ovviamente, ma altrettanto valida di quella che vi sia stato un progettista che abbia stabilito a priori le condizioni che permettessero lo sviluppo della vita.
A parte abbiamo analizzato nel dettaglio la tesi di Behe sulla complessità irriducibile che è il nucleo centrale dell’attacco scientifico alla teoria dell’evoluzione, ma si possono fare alcune considerazioni sulla strategia nel suo insieme.
Abbiamo detto all’inizio che una teoria per essere considerata scientifica deve rispettare alcune regole, raggruppate in quello che chiamiamo “metodo scientifico”.
Una teoria che si proponga come alternativa scientifica a un’altra teoria deve dimostrare di descrivere la realtà meglio della teoria esistente e lo deve fare seguendo le regole.
L’ID segue le regole del metodo scientifico? Vediamo.
Behe e colleghi osservano un fenomeno che chiamano “complessità” e formulano l’ipotesi che la complessità riscontrata in alcune strutture naturali sia dovuta all’esistenza di un progetto. Fin qui tutto a posto: siamo nel campo della scienza.
Lo scienziato, di fronte all’osservazione di un fenomeno importante come l’evidenza di un progetto in natura, dovrebbe iniziare a porsi delle domande sul meccanismo che porti il progetto a essere eseguito, o sulla natura del progettista. In seguito dovrebbe verificare sperimentalmente le sue speculazioni e, solo dopo aver ottenuto i risultati, formulare una teoria per descrivere quel fenomeno.
Ecco come Michael Behe, scienziato ed esponente tra i più importanti dell’ID, chiamato a testimoniare al “Dover Trial”, risponde alla domanda sul meccanismo dell’ID: «esso [l’ID] non propone un meccanismo nel senso di una descrizione passo-per-passo di come le strutture si sono formate. Ma possiamo supporre che nel meccanismo, nel processo in cui queste strutture si sono formate, una causa intelligente è senz’altro coinvolta».
Alla domanda sulle ridondanze nelle strutture e sui presunti “errori di progettazione” Behe, in Darwin’s Black Box, risponde sicuro: «potrebbe averli messi lì il designer… a scopo artistico, per mostrarli o per qualche altro proposito non indagabile o per qualche ragione non sondabile».

L’esteta


Quello del designer è un argomento complesso per i sostenitori dell’ID, una vera e propria spada di Damocle. Senza designer la teoria perde un po’ il senso di esistere, però con il designer il rischio è di essere identificati come movimento religioso. Quindi, almeno ufficialmente, la posizione è questa: «l’ID è un programma di ricerca scientifico che indaga gli effetti delle cause intelligenti. Si noti come l’ID studi gli effetti delle cause intelligenti e non le cause stesse, poiché la natura del designer non può essere studiata»[10].
Dembski messo alle strette è costretto ad affermare: «nessun agente intelligente che sia strettamente fisico potrebbe avere guidato l’origine dell’universo e della vita»[11].
Per lasciarsi poi andare in un’affermazione mistica del tipo: «l’Intelligent Design non è altro che la teologia del Logos (il Verbo) del Vangelo di san Giovanni, tradotta in termini informatici». Scientifico, no?[12]
A chi sottolinea le incongruenze, risponde sinceramente l’avvocato Johnson: «La nostra strategia consiste nel cambiare un pochino il soggetto, che in realtà è la dimostrazione della realtà di Dio, per riuscire a penetrare nel mondo accademico e nelle scuole»[13], perché in fondo «questo non è e non è mai stato un dibattito scientifico. Qua si parla di religione e filosofia».[14] E se lo dice lui...
Ma se le prove scientifiche a carico dell’ID non seguono le regole condivise da tutta la comunità scientifica, se l’identità del designer non è conoscibile, né è conoscibile il meccanismo che guida lo sviluppo del progetto, se alle obiezioni scientifiche si risponde con argomenti come quello del designer esteta di Behe, allora, che differenza c’è tra l’Intelligent Design e la dottrina del Mostro Volante degli Spaghetti? (v. box pagina seguente).
Concludiamo riprendendo la domanda iniziale. Avrete ormai capito che ciò che accomuna l’astrologo Branko, il cardinale Schönborn, il biochimico Behe e il professor Di Bella è... la lettera “b” nel nome.

Beatrice Mautino
Biotecnologa e comunicatrice scientifica,
Il rasoio di Occam - Torino

Le traduzioni dall’inglese sono dell’autrice, che si assume la responsabilità degli eventuali errori.

1) La trascrizione completa del Dover Trial è reperibile su: www.talkorigins.org/faqs/dover/kitzmiller_v_dover.html
2) Il testo completo dell’articolo pubblicato sul New York Times il 7 luglio 2005 si può trovare qui: www.millerandlevine.com/km/evol/catholic/schonborn-NYTimes.html
3) L’articolo di Monsignor Facchini pubblicato sull’Osservatore Romano il 17 gennaio 2006 si può trovare qui:www.zenit.org/italian/visualizza.php?sid=6816
4) Tratto dall’omelia del Papa a Regensburg il 12 settembre 2006. Il corsivo è nostro. Il testo integrale si può trovare qui: www.zenit.org/italian/visualizza.php?sid=9021
5) Avvenire, 18 aprile 2007.
6) “Inchiesta su Dio”, Otto e Mezzo, La7, 26 gennaio 2007.
7) Tutte le informazioni sul “progetto Steve” si possono trovare sul sito del NCSE alla pagina: www.ncseweb.org/article.asp?category=18
8) www.answersingenesis.org/creation/v20/i1/evolutionists.asp Potreste scoprire che Stephen Jay Gould era un marxista convinto, che Haldane era uno stalinista, che Sagan era anti-cristiano e così via.
10) William Dembski (1998), Design Inference, Cambridge University Press.
11) William Dembski (1998), The Act of Creation: Bridging Transcendence and Immanente.
12) William Dembski (2001), Signs of Intelligence.
13) Phillip E. Johnson, American Family Radio, 10 gennaio 2003.
14) Phillip E. Johnson, World Magazine, 30 novembre 1996.


Per saperne di più


  • In questo speciale c’è molto di Wikipedia, in particolare del “Progetto ID” sulle pagine inglesi, per ora migliori di quelle italiane (ma non è detto che gli autori di questo dossier non contribuiscano a migliorarle...).
  • http://wikipedia.org/wiki/Intelligent_Design
  • C’è molto di Telmo Pievani. Suoi sono i riferimenti alle strategie comunicative dell’ID, che si possono trovare in Creazione senza Dio, Einaudi 2006 (recensito su S&P n. 72) e l’analisi della vicenda italiana, qui solo accennata: dall’affaire Moratti alle affermazioni di Papa e cardinali, in In difesa di Darwin, Bompiani 2007.
  • C’è molto di Orlando Franceschelli, che aiuta ad affrontare il problema dal punto di vista filosofico e teologico. Due i libri pubblicati negli ultimi anni: Dio e Darwin, 2005 e La Natura dopo Darwin, 2007, entrambi per Donzelli (Roma).
  • La maggior parte degli spunti arriva dai libri dei sostenitori dell’ID che però si trovano solo nell’edizione americana. Sappiamo che stanno per uscire le traduzioni in italiano dei principali volumi. Sarà un segno dei tempi che corrono... Comunque, i principali sono Darwin on Trial di Phillip Johnson (1993), Darwin’s Black Box: the biochemical challenge to evolution di Michael Behe (1996) e The Design Inference di William Dembski (1998).
  • Tutto quello che c’è scritto nei loro libri si può trovare nei seguenti siti: www.discovery.org/csc/ , il sito del Discovery Institute di Seattle, nella sezione dedicata allo studio dell’Intelligent Design; www.designinference.com/ , il sito personale di William Dembski che ospita un blog frequentatissimo: www.uncommondescent.com/ , nel quale si può anche scaricare un videogioco (vince chi uccide più Panda...); www.answersingenesis.org , non è ID, ma sono vicini: il sito del museo della creazione appena aperto negli Stati Uniti, nel quale si può passeggiare tra i dinosauri accanto ad Adamo e Eva.
  • In italiano c’è molto poco, ma alcuni dei principali documenti dell’ID sono stati tradotti da: http://progettocosmo.altervista.org .
  • Le critiche degli scienziati all’ID sono tratte da Scientists Confront Intelligent Design and Creationism, Norton 2007, e da Why Intelligent Design Fails, Rutger 2006.
  • Molto arriva dai siti Internet delle organizzazioni scientifiche e educative, in particolare da: www.talkorigins.org , un portale che contiene tutte le risposte alle affermazioni dell’ID; www.ncseweb.org , il sito del National Center for Science Education, che contiene tutto il materiale utilizzato nella battaglia americana per proibire l’insegnamento dell’ID; www.csicop.org/intelligentdesignwatch/ , la sezione dedicata all’ID del sito dello CSI (ex CSICOP); http://pandasthumb.org/ , un blog aggiornatissimo, un “pub virtuale” dove discutere di evoluzione e Intelligent Design.
  • Molti spunti arrivano dalla lettura degli articoli pubblicati sui quotidiani italiani negli ultimi anni. Sul sito di Daniele Formenti si può trovare una rassegna stampa completa: www.unipv.it/webbio/evol.htm .
  • Parlando di scienza, per avere un'idea di che cos'è la teoria dell’evoluzione consigliamo una visita al portale italiano dell’evoluzione: www.pikaia.eu/ .
  • Per conoscere la storia del pensiero evoluzionistico, Una lunga pazienza cieca di Giulio Barsanti, pubblicato da Einaudi nel 2005 e non possiamo non consigliare la lettura di un qualsiasi libro di Stephen Jay Gould, tutti pubblicati in italiano da Feltrinelli (da Il pollice del Panda, a Bravo Brontosauro, a Il sorriso del fenicottero).
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