Giovanna d’Arco alla prova della scienza

A oltre sei secoli dalla sua scomparsa, l’eroina di Francia è ancora una figura avvolta nel mistero. E ora una ricerca rivela che...

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  • 08-11-2007
  • di Andrea Albini
Fare diagnosi mediche su pazienti deceduti in un’altra epoca può sembrare una perdita di tempo. Considerate però il caso in cui i defunti siano stati uomini e donne con una vita fuori dal comune. Spesso la loro biografia si mescola con speculazioni, aneddoti e racconti sulla vita pubblica e privata che sarebbe bello poter confrontare con qualcosa di solido e concreto, come veri resti o reliquie.
Giovanna d’Arco sembra una candidata perfetta sia per la sua fama che per l’eccezionalità della sua vicenda storica: nata da un’umile famiglia, iniziò fin da bambina a udire "voci" misteriose - successivamente identificate con quelle di santi a lei noti - che la incitavano a intervenire nella Guerra dei Cent’anni. Spinta da esse, a diciassette anni, riuscì a farsi ricevere dal futuro Carlo VII - paralizzato dai dubbi sulla legittimità della sua nascita - e a convincerlo a riprendere la lotta contro gli inglesi, che occupavano parzialmente la Francia con i loro alleati borgognoni. Dopo aver partecipato alla liberazione di Orléans e presieduto all’incoronazione reale di Reims, Giovanna d’Arco si unì a una serie di imprese militari fino alla cattura e alla condanna per eresia da un tribunale ecclesiastico di Parigi patrocinato dagli inglesi. Il 30 maggio 1431 la sua vita si concluse, a diciannove anni, sul rogo a Rouen in Normandia. In seguito Carlo VII ne fece riabilitare la memoria e il mito della "pulzella d’Orléans" prese lentamente forza fino a farla diventare, tra l’altro, un simbolo dell’unità nazionale francese e, dal 1909, una santa. Nel complesso, la storia di Giovanna d’Arco ha ispirato un numero impressionante di studi, opere letterarie e film.
Basandosi su quanto ci hanno tramandato le fonti dell’epoca, si è detto e scritto tanto e si sono raggiunte le conclusioni più diverse. Ma è chiaro che, senza il sostegno delle "voci", una ragazza plebea del Medioevo non sarebbe mai riuscita ad avvicinarsi e a far prevalere la sua volontà sul futuro re di Francia. Non stupisce che - accanto al lavoro degli storici - da quasi due secoli, anche alcuni medici e scienziati si siano affannati ad affrontare la vita di Giovanna dal punto di vista clinico. Fortunatamente, l’abbondanza di documenti sulla pulzella ha permesso di formulare ipotesi sulla sua vita e diagnosi retrospettive sulla sua salute, tenendo conto della situazione storica e sociale del periodo.
Giovanna d’Arco poteva essere considerata normale alla sua epoca? Può esserlo oggi? Possiamo scorgere nei suoi comportamenti le tracce di un’incipiente patologia psichiatrica? Di una suggestionabilità fuori dal comune? Oppure di un tipo particolare di epilessia non debilitante?
Dagli studi emerge che non è assolutamente certo che Giovanna fosse "malata"; il vero mistero della sua personalità riguarda l’origine delle "voci" che la consigliavano: se accettiamo che avessero un’origine non soprannaturale dobbiamo supporle delle allucinazioni e tenere conto di tutte le fonti che parlano della ragazza descrivendola come una persona normale.

Indagare le reliquie


Nel febbraio 2006 si è saputo che i presunti resti del rogo di Giovanna d’Arco, appartenenti all’arcivescovo di Tours e conservati nel museo del castello di Chinon, sono stati consegnati ad un’equipe di ricercatori per essere esaminati con gli strumenti più sofisticati.[1] A guidarli è stato Philippe Charlier, un giovane medico legale e anatomopatologo francese che l’anno precedente aveva esaminato i resti di Agnès Sorel, la bella amante di Carlo VII di Francia nota per aver posato nei panni della Madonna in un celebre quadro di Jean Fouquet. Nel 1450, la favorita reale morì a 28 anni in circostanze sospette; a corte i nemici non mancavano ma nessuno poté determinare se era stata assassinata. Charlier scoprì che i resti contenevano livelli di mercurio fuori dall’ordinario. Forse Agnès era stata avvelenata di proposito, oppure si era intossicata con il mercurio contenuto nei cosmetici o nei farmaci che usava per curarsi dai parassiti intestinali rintracciati nei suoi resti. Incoraggiato dai risultati ottenuti con la concubina di Carlo VII, il medico si rimise al lavoro, ponendo sotto la lente scientifica i resti, veri o presunti, di colei che permise a questo re di accedere al trono: Giovanna d’Arco.
La Francia è disseminata di oggetti che ci rimandano all’eroina nazionale, come alcune lettere dettate e firmate da lei, una spada che si dice sia stata sua e altro ancora. Niente era però utile all’indagine di Charlier eccetto le reliquie di Chinon; all’epoca della beatificazione, iniziata nel 1869, la Chiesa le definì «probabili ma non certe» e - dopo un perizia del 1979 che non diede risultati - non se ne parlò più prima che il medico francese ricevesse l’autorizzazione per un’analisi più aggiornata. Dentro un vaso di vetro sono mescolati frammenti di legno, tessuti tessili, sostanze organiche, ossa umane e animali, tra cui una parte di costola umana e un femore di gatto. Quest’ultimo, secondo una leggenda, sarebbe stato scagliato nel rogo di Giovanna d’Arco per esorcizzare il demonio.
L’indagine è stata una sorta di identificazione medico-legale del materiale contenuto nell’ampolla: quasi un’autopsia postuma - effettuata con gli strumenti scientifici più avanzati - su un personaggio storico morto da oltre cinque secoli e mezzo. «Non ci sono state molte donne bruciate a Rouen nel 1431» ha dichiarato Charlier in un’intervista, augurandosi di poter trovare come ulteriore indizio di autenticità le tracce che il rogo era stato riattizzato tre volte come dicono le cronache, allo scopo di distruggere al meglio i resti ed evitare che fossero trafugati per divenire oggetto di venerazione.[2] La lunga indagine ha suscitato qualche commento pungente: senza mettere in dubbio la qualità scientifica del lavoro c’è chi ha sostenuto che essa tendeva, più che altro, a suscitare l’interesse dei media. Altri hanno posto l’accento sulla dubbia origine dei resti, comparsi improvvisamente nel 1867 nel ripostiglio di un farmacista parigino originario di Rouen, la città dove Giovanna fu arsa viva.[3] Il periodo corrisponde con la riscoperta dell’eroina da parte degli storici francesi e il revival nazionalistico. Charlier ha ribattuto ai critici dicendo che la copertura giornalistica è stata la benvenuta solo per far conoscere le ricerche in corso ma il vero obiettivo dell’indagine era di riuscire a stabilire scientificamente fatti che la ricerca storica tradizionale non riesce a districare: come l’autenticità del contenuto del "vaso di Chinon". I metodi utilizzati sono quelli della medicina legale: microscopia, radiologia, spettroscopia, batteriologia, virologia, tossicologia, parassitologia e biologia molecolare per l’analisi del DNA. Il team di ricercatori si era proposto di determinare la datazione dei presunti resti di Giovanna d’Arco con la datazione al carbonio 14, la regione geografica e il periodo dell’anno in cui avvenne il rogo con l’analisi dei pollini e il sesso della vittima con il DNA. Charlier ha anche impiegato due esperti in profumi per individuare "l’aroma caratteristico" delle reliquie.
Già i primi risultati preliminari hanno però indicato che il recipiente di Chinon contiene delle reliquie false o alterate. Interrogato dall’agenzia Associated Press al termine del 2006, quando le analisi erano ancora in corso, Charlier aveva affermato di avere relativamente poche speranze che i resti fossero quelli di Giovanna d’Arco.[4] Nel numero del 5 aprile 2007 della rivista scientifica Nature, il medico francese ha finalmente rivelato i risultati delle sue indagini: le reliquie non provengono della pulzella d’Orléans ma sono un falso creato con i resti di una mummia egiziana.[5] La materia nerastra presente sui frammenti non è il residuo di una carbonizzazione, dovuta alle fiamme del rogo, ma una mistura di resine di legno, bitume e sostanze minerali come la malachite, simile a quelle usate per le imbalsamazioni. In effetti, manca ogni traccia di bruciatura. Inoltre, il tessuto di lino trovato tra i resti è simile a quelli usati per fasciare le mummie. Da ultimo, la presenza di pollini di pino non si accorda con la vegetazione della Normandia all’epoca di Giovanna d’Arco ma con le resine di pino usate per le imbalsamazioni in Egitto. L’analisi al carbonio 14 ha rivelato che i resti risalgono all’intervallo tra il terzo e il sesto secolo avanti Cristo, mentre le misure spettrometriche hanno mostrato un profilo simile a quello delle mummie egiziane, completamente differente da quello delle ossa bruciate. Lo stesso Charlier si è dichiarato sorpreso dai risultati ottenuti, e ha aggiunto che la Chiesa è pronta ad accettare i risultati della sua indagine. Per quanto possa sembrare sorprendente, le mummie erano un componente della farmacopea medievale.[6] Forse il falsario ne ha riscoperto una parte e l’ha riciclato a fini nazionalistici.

La reliquia scomparsa


Il delicato lavoro di amplificazione del DNA umano presente nei frammenti di antichi resti autentici, attraverso la tecnica della reazione a catena della polimerasi (PCR), può rivelarsi molto utile, anche se non è esente dal rischio di alterazione e contaminazione con materiale estraneo. Il metodo è entrato tra gli strumenti di indagine in paleontologia e antropologia e sarebbe molto interessante sottoporre a questa analisi l’unica reliquia certa di Giovanna d’Arco: il capello che incorporò nel sigillo di una sua lettera indirizzata agli abitanti di Riom. Ultimo a vederlo fu l’autorevole storico francese Quicherat, quando riordinò le fonti sulla pulzella d’Orléans alla metà dell’Ottocento. A quel tempo la genetica non esisteva ancora ed è un peccato che nel frattempo il prezioso campione sia andato perduto.[7] Capire attraverso un’autopsia a lunghissimo termine se un re, uno statista o una celebrità si trovarono in una determinata condizione medica, può aiutare a spiegarne alcuni comportamenti. Nel caso di Giovanna d’Arco, però, questo sarebbe arduo e forse inutile per risolvere il mistero delle sue "voci". La scienza medica dice che le allucinazioni uditive non implicano necessariamente una patologia organica riconoscibile per via anatomica o con l’analisi del DNA; perlomeno fino a ora. Sotto un certo punto di vista la "unicità" di Giovanna d’Arco rimane imprescindibile dalla comprensione della sua psicologia all’interno dell’epoca in cui visse; una situazione che i medici dell’Ottocento - sprovvisti dei più moderni strumenti diagnostici - avevano pienamente compreso.

Andrea Albini
Autore di
Le voci di Giovanna d’Arco:
Nuove indagini sulla pulzella di Orléans,
pubblicato da
Avverbi editore, Roma.


1) Brisson I., "Les cendres de Jeanne d’Arc au crible de l’analyse ADN", Le Figaro online, 14 febbraio 2006 (www.lefigaro.fr ); Anon., "Joan of Arc ?relics’ to be tested", BBC News online, 14 febbraio 2006 (news.bbc.co.uk); Randall C., "Joan of Arc relics go under the microscope", Telegraph online, 14 febbraio 2006 (www.telegraph.co.uk ); Willsher K., "DNA test for Joan of Arc", The Guardian online, 14 febbraio 2006 (www.guardian.co.uk ); Hofstein C., "Jeanne d’Arc une nouvelle fois à la question", Figaro Magazine online, 4 marzo 2006 (www.lefigaro.fr/magazine ).
2) Anon., "Le service de médecine légale de l’UVSQ enquête sur l’authenticité des reliquies attribuées à Jeanne d’Arc", UVSQMAG, n. 12, apr. 2006.
3) Drouzy F., "Comme un poisson dans l’os", Libération, 9 dicembre 2006.
4) "Les restes présumés de Jeanne d’Arc ne sont probablement pas les siens", (AP) 16 dicembre 2006. Vedi anche Anon., "Francia, luce sui resti di Giovanna d’Arco. Reliquie false ci sono ossa di gatto", La Repubblica online, 18 dicembre 2006; "Les reliques de Jeanne d’Arc conservée a Chinon seraient fausses", RadioIntensite, 17 dicembre 2006; Bazart J., "ADN: de Christophe Colomb aux tests de paternité" (con intervista audio a Ph. Charlier) Le Biomagazine, 16 gennaio 2007 (www.cite-sciences.fr ).
5) Butler D., "Joan of Arc’s relics exposed as forgery", Nature, vol. 446, 5 aprile 2007, p. 593. Vedi anche Anon., "False le reliquie di Giovanna d’Arco. Appartengono a una mummia egizia", La Repubblica online, 4 aprile 2007.
6) Barbero P.L. (1997), Ambroise Paré. Colpi l’archibugio e polveri di mummia nel ’500 francese, Torino: CET.
7) Cardini F. (1999), Giovanna d’Arco, Milano: Mondadori, pp. 176-177.
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