Il buon senso e la follia

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Su «Topolino» n. 1638 del 19 aprile 1987 apparve per la prima volta la storia Topolino e l’Atlantide continente perduto, scritta da Giorgio Pezzin e disegnata da Massimo De Vita. Il professor Zapotec, antropologo di fama mondiale (apparso per la prima volta nella storia che ha esordito in Topolino e l’enigma di Mu, scritta e disegnata da De Vita, e pubblicata su «Topolino» nn. 1238-39 nell’agosto del 1979), annuncia a Topolino e Pippo una straordinaria scoperta. Gli uomini di una «base scientifica antartica», incaricati di trovare «campioni di terreno sotto la calotta polare», hanno rinvenuto in uno strato di roccia, «sepolto sotto 3500 metri di ghiaccio», una moneta di «enorme valore scientifico». Infatti, prosegue Zapotec, «siamo certi che il ghiaccio più profondo si è formato in quella zona almeno 10.000 anni fa». Alle incalzanti domande degli attoniti amici Zapotec risponde: «10.000 anni fa, la terra era in pieno periodo wurmiano, caratterizzato da una estensione dei ghiacci molto superiore a quella di oggi; e tuttavia l’Antartide era coperta da rigogliose foreste e godeva di un clima accogliente e temperato». «E come può essersi congelato tutto?», chiede un sempre più meravigliato, ma incuriosito Topolino. La spiegazione di Zapotec è che «10.000 anni fa il polo sud fosse da tutt’altra parte». «La posizione dei poli», proseguiva Zapotec, «si è spostata molte volte nel corso dei millenni», probabilmente a causa di «lentissimi movimenti del magma che riempie l’interno della Terra». Tuttavia, nel caso dell’Antartide, c’era qualcosa che non tornava: «l’ultima glaciazione è arrivata improvvisamente, provocando effetti drammatici e misteriosi». Per scoprire quello che era successo, non restava altro che utilizzare la macchina del tempo inventata da Zapotec.

Giunti nel passato, Topolino e Pippo scoprono che l’antica moneta proveniva dalla città di Atlantide, di cui incontrano gli abitanti. Il re di Atlantis (un sosia di Pippo) mette al corrente gli amici dell’imminente avverarsi della «profezia di Utnapishtim»; un asteroide, infatti, come rilevato dall’osservatorio astronomico, sta per abbattersi sul continente: «e Istha-Ra, stanco della malvagità degli uomini, mandò la palla di fuoco. Si aprirono le cateratte del cielo e piovve, piovve finché le acque coprirono la terra intera, e dove era la terra fu ghiaccio, e viceversa». Dopo aver assistito, ed essere scampati, alla fine di Atlantide, Topolino e Pippo sono finalmente in grado di dare una spiegazione alle questioni poste loro da Zapotec: «l’asteroide è stato la causa di tutto. Il suo urto è stato così violento da provocare lo spostamento dell’asse terrestre», riassumeva Topolino, «cosicché l’Antartide, che si trovava in zona temperata, si è spostata molto più a sud, per effetto della rotazione dovuta all’impatto». Conseguentemente, adesso risultavano visibili «stelle che appartenevano all’altro emisfero, mentre il freddo e il vento gelido» erano dovuti «alla nuova latitudine e alle polveri sollevate dall’esplosione, che hanno oscurato il Sole». Rientrati, grazie alla macchina del tempo, nel 1987, Topolino e Pippo raccontano la loro straordinaria avventura al professor Zapotec. «Dove saranno andati a finire?», chiede Pippo. «In ogni parte del mondo», afferma con sicurezza Zapotec, «nel Messico, a fondare la civiltà Maya, sulle Ande a costruire l’impero Inca, e sulle sponde del Mediterraneo, dove hanno posto le fondamenta della civiltà egizia e di quella mesopotamica». Infatti, «solo così si spiega come miti e leggende del Diluvio e del continente scomparso siano rimasti nella memoria di tutti i popoli, giungendo fino a noi».

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Lo scenario che fa da sfondo a questa avventura di Topolino e Pippo è particolarmente interessante ed è basato sulla teoria esposta per la prima volta nel 1974 da Flavio Barbiero, ingegnere e ufficiale della Marina Militare. Nel libro dal titolo Una civiltà sotto ghiaccio, Barbiero proponeva un’ipotesi ben precisa, sintetizzata nella prefazione al volume da Silvio Zavatti, direttore dell’Istituto Geografico Polare: «circa 12.000 anni fa (quanti cioè, sono stati indicati da Platone), la Terra fu investita da un asteroide o da una cometa, la sola potenza in grado di spostare l’asse terrestre e di determinare, quindi, i rivolgimenti climatici che si verificarono sul nostro pianeta». Risultava evidente, infatti, che «in quell’epoca il clima terrestre era profondamente diverso e che su molte regioni dove oggi impera il ghiaccio o almeno una temperatura bassissima (per esempio l’Antartide e la Siberia), c’era un clima eternamente primaverile e dei biosistemi ben diversi dagli attuali». Tenendo presente questi presupposti, l’Antartide rispondeva perfettamente ai requisiti richiesti per l’individuazione di Atlantide sulla base delle informazioni di Platone. Dopo l’esposizione della sua teoria, Barbiero pensò di organizzare delle spedizioni esplorative in Antartide alla ricerca delle prove, in grado di confermare la sua teoria. Di ciò dava notizia, ad esempio, l’articolo pubblicato su «Il Settimanale» del 10 marzo 1976: «Sono convinti di aver trovato una prova decisiva. I componenti della spedizione italiana in Antartide hanno accertato l’esistenza di una foresta pietrificata. Flavio Barbiero, comandante in seconda e ispiratore dell’iniziativa scientifica, è entusiasta: “Abbiamo la conferma che una volta l’Antartide era un continente a clima temperato”, dice. “Probabilmente fu ricoperto dai ghiacci in seguito a una catastrofe che spostò i poli di parecchie centinaia di chilometri”». In realtà, questa ipotesi non è mai stata confermata da nessuno studio successivo. Anzi, la maggior parte delle argomentazioni fornite da Barbiero è stata smentita dalle acquisizioni della ricerca scientifica. Per chi fosse interessato a entrare nel dettaglio di queste confutazioni, rimandiamo al libro di Massimo Polidoro, Enigmi e misteri della storia, contenente un capitolo interamente dedicato a tali aspetti. Quello che qui a noi interessa è invece un altro punto: l’inconsistenza della teoria di Barbiero rende meno appassionante e affascinante la storia pubblicata su Topolino? Assolutamente no. L’importante è tenere ben distinti i due piani, quello dell’immaginazione letteraria e quello relativo al modo in cui le prove vengono convalidate all’interno della comunità scientifica. Di questo fu ben consapevole uno dei più grandi autori della letteratura del mistero e del sovrannaturale, Howard Philipps Lovecraft, il quale, nonostante ciò, era un razionalista e uno scettico incallito, tanto da scagliare delle invettive terribili contro la pseudoscienza, la magia e l’esoterismo (cfr. Query n. 19). Così scriveva ad August Derleth il 10 dicembre 1931: « «anche se mi piacerebbe vivere in un universo pullulante dei miei diletti Cthulhu, Yog-Sothoth, Tsathoggua e simili, mi vedo costretto a condividere l’opinione di uomini come Russell, Santayana, Einstein, Eddington, Haeckel e così via. La prosa è meno attraente della poesia, ma quando si tratta di scegliere fra ciò che è probabile e ciò che è semplicemente stravagante, devo fare in modo che sia il buon senso a guidarmi». Tra l’altro, è stato proprio Lovecraft a legare in qualche modo il mito di Atlantide all’Antartide, nel celebre romanzo Le montagne della follia, scritto tra il febbraio ed il marzo del 1931 e poi pubblicato cinque anni dopo su «Astounding Stories», ispirando numerossissimi altri autori. Non è escluso che la sua influenza si sia estesa oltre la letteratura, il cinema e i fumetti. Se così fosse, sarebbe utile che gli ideatori di ardite ipotesi tenessero sempre ben presente la capacità di Lovecraft di distinguere tra scienza e letteratura, tra scienza e pseudoscienza.

Riferimenti bibliografici

  • F. Barbiero. 1974. Una civiltà sotto ghiaccio, Milano: Editrice Nord.
  • M. Ciardi. 2014. Galileo e Harry Potter. La magia può aiutare la scienza?, Roma: Carocci.
  • J. Colavito, 2005. The Cult of Alien Gods: H. P. Lovecraft and Extraterrestrial Pop Culture, Amherst, NY: Prometheus.
  • H. P. Lovecraft. 1993. Lettere dall'altrove. Epistolario 1915-1937, a cura di G. Lippi, Milano: Mondadori, p. 129.
  • M. Polidoro. 2013. Enigmi e misteri della storia, Milano: Piemme, pp. 65-77.
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