Di Bella la scienza e la maggioranza

Umberto Eco aveva scritto questo articolo ai tempi della prima sperimentazione della terapia Di Bella che, come molti ricorderanno, aveva avuto una risonanza estremamente alta nei media. A fronte dei recenti sviluppi, in particolare il dibattito sulla ripresa della sperimentazione da parte della regione Lazio, l'articolo di Eco ritorna di attualità.

 

Siccome non sono un cancerologo, per quel che ne so la cura Di Bella potrebbe essere o giusta o sbagliata. Mi pare ragionevole che, di fronte alla pressione dell'opinione pubblica e di tante persone sofferenti, le autorità competenti invitino gli scienziati a fare una seria sperimentazione che possa risolvere il quesito, perchè su cose di tanta gravità vale anche la pena di rimeditare su giudizi eventualmente già pronunciati. Tutti possono sbagliarsi e pensarci su due volte non guasta mai. Una delle ragioni per cui ci fidiamo della scienza è che gli scienziati seri non solo ci pensano sempre due volte, ma infinite volte. Lo scienziato serio tiene sempre aperta la possibilità che quello che credeva vero non lo sia.

Se si scoprirà che Di Bella aveva almeno in parte ragione, la comunità scientifica dovrà ammettere che non l'aveva considerato con sufficiente attenzione, e dovrà fare ammenda di questa leggerezza. Se si scoprirà che Di Bella aveva torto, grande sarà il dolore e atroce la delusione di chi aveva nutrito troppe speranze, ma dal punto di vista del bene comune non sarà stato tempo perso. Forse la gente non ci pensa molto, ma il lavoro scientifico è utile non solo quando si apre una nuova strada, ma anche quando si lavora magari per anni solo per dimostrare che quella strada è impercorribile.

Tutto regolare, dunque? No, quello che sta avvenendo fa affiorare anche alcune tendenze tipiche di questa nostra epoca New Age, tesa alla ricerca di rivelazioni esoteriche, e il problema rimarrebbe anche se Di Bella alla fine dimostrasse di avere avuto ragione.

Infatti, da un lato, la gente che ansiosamente assedia la casa di Di Bella, e passa le Alpi per cercare a ogni prezzo il farmaco miracoloso, non lo fa perchè "sa" che Di Bella ha ragione: lo crede, lo spera, si fida di cose che ha sentito dire. D'altro lato gli stessi media sono pervasi da una sorta di eccitazione come se la pressione dell'opinione pubblica risultasse vincente contro alcune cosche scientifiche. Ora il fatto che le cosche scientifiche possano esistere è una cosa, e un'altra è ritenere che la scienza sia democratica e che una sana maggioranza possa delegittimare una cosca, come con Tangentopoli o con la mafia.

La scienza non è democratica, almeno non nel senso politico del termine. Nella scienza non vale il giudizio della maggioranza. Galileo poteva avere tutti contro, ma aveva ragione lui. Era la maggioranza dei medici che ha trattato da matto il dottor Semmelweiss perchè voleva che gli ostetrici si lavassero le mani per non far morire le partorienti, ma era questa maggioranza ad avere torto. La folla potrebbe cambiare di umore e assediare domani la casa di Di Bella per condurlo al rogo, ma questo non proverebbe che la sua cura sia sbagliata.

La scienza è però democratica nel lungo periodo: nel senso che alla fine quello che prevale è il giudizio della Comunità scientifica, che si stabilizza nel corso degli anni, talora dei secoli, e costituisce quelli che noi riteniamo Manuali Attendibili. E sono attendibili perchè sono il risultato di una discussione collettiva, di prove su prove.

Potrebbe darsi che su cinque miliardi di abitanti del pianeta ce ne fossero (in remotissimi paesi sovrappopolati) tre miliardi che ancora credono che la terra stia ferma e giri il sole, e tuttavia anche nelle scuole elementari di quei paesi si userebbero i Manuali in cui si dà ragione a Galileo. Questo consenso, che si forma nei modi più disparati, in fin dei conti "tiene", e non dipende dalle maggioranze, anche se esprime appunto qualcosa che tutti (sino a prova contraria) dovrebbero considerare come vero.

Parrà strano, ma la vicenda Di Bella mi sembra in qualche modo simile al dibattito sulla liberalizzazione dei negozi. Vi ricordate le grida di sdegno e di dolore dei commercianti quando si parlava di creare le prime zone pedonalizzate? Il ragionamento era che, non potendo arrivare in auto, i clienti avrebbero disertato i negozi. Ora sappiamo che le zone pedonalizzate sono invece quelle dove s'infittisce il commercio. Magari ciò ha costretto un gommista a lasciare il centro per spostarsi dove c'è transito automobilistico, ha messo in imbarazzo certi esercizi favorendone altri, ma statisticamente (e quindi scientificamente, avendolo provato sul lungo periodo) sappiamo ora che la maggioranza dei commercianti aveva torto. Caso mai accade il contrario, che un eccesso di negozi rovini la bellezza di certe zone storiche.

Capisco che i due problemi non sono commensurabili, ma entrambi ci dicono che, su questioni in cui gioca una lenta vicenda di ipotesi, prove e controprove, non sempre l'opinione pubblica è un'autorità attendibile, perchè spesso pensa troppo in fretta.

Umberto Eco

Ordinario di semiotica

Università di Bologna

 

Da: "La bustina di Minerva" (l'Espresso)
Per gentile concessione dell'autore.

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