Quello scettico di Lovecraft

A volte si cercano misteri a tutti i costi. Ad esempio, quando ci si occupa delle fonti di ispirazione dell'opera di Howard Phillips Lovecraft, il grande maestro della letteratura dell'orrore e del soprannaturale. Prendiamo spunto, ancora una volta, dall'Atlante dei misteri, a cura di Roberto Giacobbo, nel quale il fatto che Lovecraft abbia a più riprese dichiarato che le sue creazioni erano solo il frutto della sua fantasia non viene ritenuto particolarmente credibile. Si preferisce così affermare che «forse non sapremo mai da dove prese l'ispirazione». E invece lo sappiamo, eccome. Basta svolgere una seria ricerca storica e documentarsi sulle fonti, partendo in primo luogo dall'epistolario dello scrittore.
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H. P. Lovecraft

In una lettera del 9 ottobre 1925 a Clark Ashton Smith, Lovecraft esprime in maniera molto chiara la sua posizione nei confronti dell'occulto e del soprannaturale: «Non ho mai approfondito lo studio dell'occultismo formale, perché ho sempre pensato che la narrativa fantastica sia più efficace quando evita le superstizioni più trite e le formule dei culti popolari. Sono, in effetti, un materialista assoluto per quanto riguarda le credenze vere e proprie e non ho un briciolo di fede in alcuna forma del soprannaturale: religione, spiritismo, trascendentalismo, metempsicosi o immortalità». Perché allora tanto interesse nei confronti di queste tematiche, che certo Lovecraft non giudicava in maniera benevola? La risposta è nel passo successivo: «Può darsi, tuttavia, che dalle attuali tendenze di quel manipolo di fissati che si occupa dell'occulto io riesca a ricavare una buona idea, e ho spesso pensato di acquistare un po' della robaccia venduta in una libreria specializzata della Quarantaseiesima strada. Il guaio è che costa troppo, viste le mie attuali condizioni».
Riferendosi al racconto The Horror at Red Hook, Lovecraft confessava di essersi basato unicamente sulla «voce 'magia' contenuta nella nona edizione dell'Enciclopedia Britannica», a causa della scarsa conoscenza della letteratura in materia. Da qui la sua richiesta a Smith: «Lei ha idea di quali opere sulla magia e l'occulto possano fornire spunti e incantesimi di questo genere? (...) Le sarò immensamente grato se prima o poi vorrà inviarmi un elenco più o meno breve di libri sulla magia – soprattutto antica e medievale – in inglese o in traduzione inglese».

I testi letti nel corso degli anni forniranno a Lovecraft innumerevoli opportunità creative e finiranno puntualmente nelle sue opere. Ciò è documentabile con estrema precisione. Il 17 giugno 1926 scrive a Clark Ashton Smith: «Ho digerito un testo di grande interesse per gli spunti e gli sfondi che può fornire, e che mi ha fatto conoscere un ciclo mitico che le sarà familiare: quello di Atlantide-Lemuria, secondo la versione dei moderni occultisti e dei ciarlatani teosofi».
Non si può certo dire che Lovecraft nutrisse una grande considerazione nei confronti della teosofia. Ma l'obiettivo è sempre lo stesso: trovare buon materiale per costruire racconti fantastici: «Alcune versioni di queste storie parlano di una 'città perduta dalle porte d'oro' e i mostri informi dell'antica Lemuria sono ricchi di suggestioni fantastiche: vorrei avere a disposizione una maggior quantità di questa roba. Il libro che ho letto è The Story of Atlantis and Lost Lemuria di W. Scott Elliott».
In una lettera del 20 novembre 1928 a Elisabeth Toldridge, Lovecraft entrerà anche nel merito di alcune delle teorie contemporanee sull'esistenza di Atlantide, mettendo in mostra tutto il suo scetticismo e la sua capacità di analisi: «Sì, ho letto l'articolo sul medaglione trovato al largo della costa francese, ma non ne farei un caso. Immagino che si tratti di un oggetto greco e fenicio, o addirittura di fabbricazione gallica sotto l'influsso della civiltà greca e fenicia. È facile immaginare 'somiglianze' con lo stile del centro America, ma per la maggior parte non reggeranno all'analisi. I teorici più bizzarri, come Lewis Spence, tentano di dimostrare che l'Europa e l'America siano state colonizzate da popoli che migravano dalla perduta Atlantide, ma dubito fortemente che si possa parlare di un continente atlantico se non in epoche molto anteriori alla comparsa dell'uomo».
Perfettamente in linea con questa documentazione è quanto Fritz Leiber riferisce in merito alla sua corrispondenza con Lovecraft e ai giudizi espressi dallo scrittore di Providence su Charles Fort, uno dei padri della letteratura relativa a fenomeni strani e oggetti singolari, che la scienza ufficiale non saprebbe spiegare: «L'acuto spirito di Lovecraft non si limitava soltanto alla letteratura. Allorché gli espressi la mia ammirazione per Charles Fort, che aveva evidenziato le lacune di molte teorie scientifiche, Lovecraft mi rispose immediatamente con una ragionata e meticolosa difesa del dogmatismo degli scienziati professionisti. I libri di Fort, mi scrisse, non erano certo da prendersi sul serio, benché fossero abbastanza piacevoli e contenessero una quantità di spunti per gli scrittori del fantastico e di fantascienza».
Alfredo Castelli, il creatore di Martin Mystère, ha spiegato chiaramente come debba essere considerato il rapporto tra un autore e la sua creazione letteraria. Com'è noto, gran parte dell'universo narrativo del celebre indagatore del mistero è basato sull'idea che Atlantide fosse una civiltà tecnologicamente evoluta, che aveva esteso la sua influenza su molte parti del mondo, e che scomparve verso la metà del IX millennio a. C., a seguito di una lunga guerra contro la civiltà che popolava il continente Mu.
Riepilogando la cronologia di questa storia, Castelli scrive: «Ripercorriamo insieme le tappe della storia del Continente Perduto secondo la “mitologia” di Martin Mystère: inutile dire che la ricostruzione del fumetto è del tutto di fantasia, e non coincide necessariamente con le reali opinioni dell’autore». In altri termini: non bisogna mai confondere la creazione letteraria con la ricostruzione storica e scientifica. Neanche nel caso di Lovecraft.
In una lettera del 14 agosto 1930 Lovecraft scriveva a Robert E. Howard (il creatore di Conan il Barbaro): «Per quanto riguarda il ciclo mitico di Cthulhu, Yog-Sothoth, R'lyeh, Nyarlathotep, Nug, Yeb, Shub-Niggurath, eccetera – a volte citato con tanta solennità – devo confessarle che si tratta di una mia sintetica invenzione, alla maniera del variegato e popoloso pantheon di Pegana, l'opera di Lord Dunsany. (...) Lo stesso vale per il Necronomicon dell'arabo pazzo Abdul Alhazred, che per possedere un'oggettiva realtà dev'essere ancora scritto. Abdul è un mio personaggio immaginario: a cinque anni mi facevo chiamare così, entusiasmato dalla traduzione delle Mille e una notte di Andrew Lang». Dunque, per il Necronomicon, non serve neanche andare a cercare fonti di ispirazione nella letteratura magica e teosofica accessibile a Lovecraft, trattandosi di un'invenzione che risale addirittura ai tempi dell'infanzia.
Così Lovecraft a Edwin Baird il 3 febbraio 1924: «Eh già! Sono uno scettico e un analizzatore di me stesso per natura, e il mio atteggiamento di cinico materialismo si è formato quando ero ancora in tenera età. Verso i due anni mi insegnarono la leggenda di Babbo Natale e quelle della Bibbia: le accettai passivamente, senza ingegnarmi a criticarle, ma senza appropriarmene con entusiasmo. Negli anni successivi il mio bagaglio fantastico si arricchì delle fiabe dei Grimm e delle Mille e una notte. Una volta mi dedicai a una collezione di oggetti d'arte e vasi orientali, proclamando di essere un fedele maomettano e inventandomi lo pseudonimo “Abdul Alhazred”, che lei conoscerà come l'autore del mitico Necronomicon da me inserito in più di un racconto”. Come ha scritto Giacomo Scarpelli, “lo spirito del bambino può restare ospite fisso del genio scientifico, così come di quello artistico».

Bibliografia


- I. Bellini, D. Grossi. 2006. Atlante dei misteri, a cura di R. Giacobbo, Giunti: Firenze, pp. 168-169.
- F. Leiber. 1987. La mia corrispondenza con H. P. Lovecraft, in S. Davis et alii, Vita privata di H. P. Lovecraft, Trento: Reverdito Editore, p. 91.
- H. P. Lovecraft. 1993. Lettere dall'altrove. Epistolario 1915-1937, a cura di G. Lippi, Milano: Mondadori, p. 75, 119-120, 131, 145, 170.
- G. Scarpelli. 2014. Ingegno creativo e spirito dell'infanzia, in M. Ciardi (a cura di), I fumetti tra scienza, storia e filosofia, Roma: Carocci, p. 110.
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