Corpi, scheletri e delitti; L'infinita curiosità; La scienza impossibile; Marie Curie; Se tutte le stelle venissero giù

__
image

Corpi, scheletri e delitti
di Cristina Cattaneo
Raffaello Cortina Editore, 2019
pp. 248, € 16,00


Recensione di Simone Raho

Quante volte lo abbiamo visto in TV, forse perché appassionati della nostra serie poliziesca preferita, magari una di quelle dall’ambientazione un po’ dark o noir? Un delitto efferato, una scena del crimine dai risvolti ambigui, uno scheletro ritrovato dopo anni di oblio. E puntualmente vediamo spuntare un medico legale pronto a fornire il suo prezioso contributo per la risoluzione del caso. Ma quanto sono aderenti al vero queste fiction televisive?

Come spesso avviene, la realtà ha dei contorni più complessi e delle tempistiche differenti da quelle a cui ci ha abituato il palcoscenico televisivo. Nulla di nuovo sotto al sole, sia chiaro. D’altronde, gli obiettivi del piccolo schermo sono ben diversi da quelli forensi e delle indagini giudiziarie; l’importante è saperlo e conoscere le due prospettive.

L’ultimo libro di Cristina Cattaneo contribuisce a fare un po’ di chiarezza sull’argomento.

Medica legale e antropologa forense, oltre che docente universitaria, non è la prima volta che l’autrice ci parla del suo lavoro. Già in Naufraghi senza volto ci aveva raccontato del suo ruolo nel ridare un’identità, e al tempo stesso una dignità, alle vittime del Mediterraneo. In quest’ultimo libro torna a parlarci di medicina legale e antropologia, attraverso il racconto delle attività del LABANOF (il Laboratorio di Antropologia e Odontologia Forense), istituto dell’Università degli Studi di Milano che dirige, proprio nel periodo in cui si celebrano i suoi venticinque anni di attività.

E le storie che emergono dalla sua scrittura appassionata sono intense e vive, a dispetto del titolo del libro e degli argomenti trattati. Sono storie di medici, biologi, archeologi e di tutte le figure che hanno collaborato alla risoluzione di casi, a tutelare dei diritti, a far emergere in qualche maniera la verità. Ma non sono solo le vicende dei professionisti della medicina legale a venir fuori dalle pagine del libro: attori protagonisti sono anche, loro malgrado, le vittime, i resti scheletrici. Ebbene sì, perché soprattutto loro hanno delle storie da raccontare. Non possono farlo direttamente, ma ci hanno lasciato la maniera di scoprire ciò che hanno da dire: il metodo scientifico, in questo caso applicato alle indagini forensi. E la Cattaneo ce lo espone in modo semplice e chiaro, appassionante anche più della nostra fiction preferita.

Ed è così che nel libro trovano posto alcune delle indagini che nel corso di questi anni hanno segnato l’attività del LABANOF: sopralluoghi, autopsie, vittime di violenze più o meno nascoste. Ma oltre ai successi, alla risoluzione di casi complessi, dalle parole della Cattaneo possiamo anche scorgere i dubbi dell’autrice per un’analisi, per la prosecuzione di un caso, e anche i fallimenti. Sì, certo, anche i fallimenti. Perché, al contrario della nostra fiction preferita, non sempre va tutto come dovrebbe andare, non sempre le indagini si concludono favorevolmente. La vita reale non è una fiction.

A scanso di equivoci, non si pensi che il volume sia un’asettica e fredda descrizione di casi forensi, un truce elenco conciso di episodi processuali. Tutt’altro: la lettura è appassionante, mai noiosa, poiché traspare tutto l’amore e la passione della Cattaneo per il suo lavoro. E inoltre non pensiate che l’attività del LABANOF si limiti esclusivamente a quanto sopra detto: nel corso del libro il lettore potrà apprezzare un’intera sezione dedicata alla ricostruzione e allo studio, attraverso il recupero di scheletri di alcune necropoli, di resti umani di epoche antiche. E se, nel caso delle indagini forensi odierne, i resti cadaverici spesso tratteggiano storie o eventi drammatici, nel caso di eventi avvenuti centinaia se non migliaia di anni fa, un fatto ineluttabile come la morte diventa “meno angosciante”, comunque vissuto da una prospettiva completamente differente.

Tra le attività più curiose del LABANOF, merita senza alcun dubbio almeno un accenno lo studio degli scheletri di alcuni santi o supposti tali. Interessante, in tal senso, la storia dell’identificazione dei presunti resti di San Nazaro a Milano e di altri ancora. Il che introduce insoliti spunti di riflessione sull’approccio e l’avvicinamento tra scienza e fede.

In conclusione, un libro davvero intrigante e ottimamente scritto che mi sento di consigliare a chiunque abbia già apprezzato i precedenti dell’autrice: sicuramente non ne resterà deluso. Inoltre ne consiglio la lettura a chi abbia voglia di capire cosa ci sia oltre le nostre serie TV preferite. Non certo per disprezzarle, anzi, sicuramente per continuare ad amarle, ma avendo un occhio critico in più.

image

L’infinita curiosità.
Breve viaggio nella fisica contemporanea
di Vincenzo Barone e Piero Bianucci
Edizioni Dedalo, 2017
pp. 192, € 22,00


Recensione di Renato Serafini

La competenza di un fisico professionista (Barone) e il contributo di un bravo divulgatore (Bianucci), insieme a un’impostazione grafica molto gradevole, hanno prodotto questo bel libro divulgativo che costituisce un “breve viaggio nella fisica contemporanea”.

Nella prima parte del libro, gli autori ripercorrono i progressi ottenuti nel corso del tempo nello studio del microcosmo e del macrocosmo.

All’inizio del Seicento, l’universo noto è sostanzialmente quello accessibile alla vista; si potevano distinguere un granulo di polline, un capello o la punta di un ago per quanto riguarda il “molto piccolo”, mentre si conoscevano gli astri visibili in cielo (la Luna, il Sole, i pianeti e le stelle fisse) per quanto riguarda la cosmologia. L’invenzione del microscopio e del telescopio amplia il mondo conosciuto, infrangendo la barriera dell’invisibile. Nel corso del Seicento, quindi, si riesce a scandagliare il mondo microscopico fino a vedere oggetti delle dimensioni di un millesimo di millimetro, riuscendo a osservare le cellule animali, i globuli del sangue, i protozoi e i batteri. Il telescopio, nell’ambito della cosmologia, consente di effettuare stime realistiche della distanza Terra-Sole, mentre le distanze stellari sfuggono ancora a una determinazione precisa.

Nel Settecento il macrocosmo continua ad ampliarsi; nel 1781 viene scoperto Urano, il settimo pianeta del sistema solare, mentre ci si comincia a interessare all’astronomia stellare.

Nell’Ottocento la microscopia si spinge fino all’estremo limite ottico, raggiungendo la risoluzione di 2 decimillesimi di millimetro; nel 1865 l’austriaco Josef Loschmidt stima che il diametro di una generica molecola contenuta nell’aria sia di un milionesimo di millimetro (un nanometro). Sul versante astronomico, nel 1846 viene scoperto Nettuno, mentre nel 1838 viene stimata la prima distanza stellare (a parte il Sole), quella della stella 61 Cygni, pari a circa 10 anni luce (la stima più recente è di 11.41 anni luce).

Il Novecento ha rappresentato un periodo di grande svolta nella fisica. Due filoni di ricerca si sono sviluppati in modo importante. Il primo filone ha riguardato la ricerca sull’immensamente grande, con lo sviluppo della relatività speciale e generale di Einstein (che ha prodotto una descrizione della gravità profondamente diversa da quella newtoniana, risalente al Settecento) e le ricerche di Hubble, che nel 1929 demolisce la tradizionale immagine statica dell’Universo mostrando che le galassie si allontanano da noi; si tratta di studi che hanno rivoluzionato la cosmologia.

Un secondo filone, relativo allo studio dell’estremamente piccolo, ha dato luogo alla meccanica quantistica, sviluppatasi nei primi decenni del secolo scorso, col contributo di diversi fisici, e allo sviluppo del “modello standard”, che rappresenta la più fedele descrizione attualmente disponibile delle particelle elementari. I due filoni si sono sviluppati inizialmente in modo relativamente indipendente. Come spesso accade, però, la scoperta di queste nuove teorie, la relatività generale e la meccanica quantistica, ha creato un nuovo problema. Infatti abbiamo da un lato una fisica continua e deterministica (la relatività generale), dall’altro una fisica granulare (discreta) e probabilistica (la meccanica quantistica). Si tratta di due visioni del mondo sostanzialmente incompatibili tra di loro e delle quali si sta cercando di trovare una sintesi nell’ambito degli studi della cosiddetta “gravità quantistica”.

Gli approfondimenti sulla nascita dell’universo, la teoria del big bang e la scoperta dei buchi neri, hanno, poi, costretto a una sempre maggiore integrazione tra i mondi dell’estremamente piccolo e dell’estremamente grande, regno della relatività generale. Infatti un buco nero può essere così piccolo da richiedere la meccanica quantistica, ma anche così denso di materia da produrre un campo gravitazionale molto intenso che richiede la relatività generale.

Il libro ripercorre, quindi, la rotta di avvicinamento tra questi due mondi, che ha avuto, tra l’altro, negli anni recenti, due importanti verifiche sperimentali: la verifica dell’esistenza delle onde gravitazionali nel 2016, che hanno confermato una previsione fatta 100 anni prima dalla relatività generale, e la verifica dell’esistenza del bosone di Higgs nel 2012 (previsto da una teoria del 1964), che ha rappresentato una conferma importante del modello standard.

Il capitolo finale è naturalmente dedicato a una breve sintesi delle attività di ricerca sulla gravità quantistica, necessaria per comprendere ciò che è accaduto al momento del big bang, o quello che accade all’interno di un buco nero, tra le maggiori sfide aperte della fisica contemporanea.

Vincenzo Barone fa anche parte del Comitato Scientifico della Rivista “Asimmetrie” (che ha concesso l’uso di alcune figure del libro); ci piace, in conclusione, citare anche questa bella rivista dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, che esce con due numeri l’anno con articoli divulgativi di fisica e alla quale ci si può abbonare gratuitamente utilizzando il link http://www.asimmetrie.it .

image

La scienza impossibile
di Leonardo Anatrini e Marco Ciardi
Carocci editore, 2019
pp. 212, € 22,00


Recensione di Paolo Cortesi

Nel 1819 nascevano Cyprien-Théodore Tiffereau e Charles Blachford Mansfield; il primo passò la vita a tentare di convincere i chimici di aver realizzato la pietra filosofale, il secondo morì nel 1855 (proprio l’anno in cui Tiffereau pubblicò il libro che esponeva la sua teoria trasmutatoria) in seguito a un incidente di laboratorio: stava realizzando campioni di idrocarburi aromatici da portare all’Esibizione di Parigi e l’alambicco esplose ustionandolo.

Sono, ovviamente, solo coincidenze; ma servono per avvicinarci al nodo della questione che Leonardo Anatrini e Marco Ciardi esaminano nel loro ottimo libro La scienza impossibile. Percorsi dell’alchimia in Francia tra Ottocento e Novecento.

Per un periodo non breve, la scienza chimica e l’arte alchemica convissero in Francia. Era il tempo in cui Henri Bergson (1859-1941) dava all’intuizione un valore che era stato negato dal Positivismo come una pesante zavorra del pensiero. Maestro di Bergson fu Émile Boutroux (1845-1921), il quale dichiarava la sua diffidenza verso la ragione scientifica che, a suo parere, si volgeva inevitabilmente in scientismo.

Tra Otto e Novecento, l’alchimia appare in Francia con una vitalità e una ricchezza di affermazioni che non si vedevano da almeno due secoli, e rivendica con cosciente orgoglio uno status di «scienza spiritualista, perché ci permette d’intravedere Dio attraverso le tenebre della materia» (Fulcanelli, Le dimore filosofali, Roma, 1973, vol. I, pag. 70).

Ciò che per Auguste Comte (1798-1857) era una tappa intermedia e transeunte del cammino umano verso l’autentica conoscenza del reale, ciò che lui chiama “fase metafisica”, è per gli alchimisti la più alta conquista, il solo vero possesso delle verità ultime, che rimandano tutte a una dimensione trascendente: per gli alchimisti, la materia è metafora.

Anatrini e Ciardi danno un quadro chiaro e completo della situazione della chimica in Francia alla fine del XIX e agli esordi del XX secolo.

La distinzione e l’allontanamento tra alchimia e chimica avvennero con le diverse rispettive risposte alle domande fondamentali sulla materia: i corpi chimici sono compositi o semplici? Gli atomi sono un’astrazione concettuale o una realtà fisica? La trasmutazione è possibile o un mito? La materia è perfettibile?

L’alchimia imboccò la strada metafisica; il dialogo tra essa e la chimica fu interrotto per sempre e, del resto, non poteva che essere così, dato l’abisso ontologico tra spiritualismo e materialismo.

La Francia della Belle Époque fu percorsa da un atteggiamento conoscitivo, sotterraneo, esclusivo ma intenso, che prendeva corpo in quelle che verranno chiamate “scienze occulte”, all’interno delle quali la nuova alchimia fu necessariamente compresa, e giustificata.

Opportunamente, gli autori allargano la loro osservazione dallo spiritismo alla teosofia, quella “terra di nessuno” in cui sembravano poter dialogare lo sperimentalismo razionalista (di cui Mendeleev era esponente di spicco) e le ipotesi più nebulose che ammettevano la realtà della comunicazione con i morti e le manifestazioni paranormali (sostenute da Crookes e Flammarion).

La nuova alchimia fece sua la fede in una conoscenza originaria, superiore e purissima che era un concetto basilare delle scienze occulte, il cui vero scopo era il ritorno a quell’antichissima sorgente di sapere, che le società iniziatiche tramandavano sotto il sigillo del segreto ermetico. L’alchimia francese fra Otto e Novecento sfruttò «ogni possibile occasione per far collimare nuove teorie ed ipotesi elaborate negli ambienti della science moderne con le proprie speculazioni» (pag. 55).

Il lavoro di laboratorio divenne soprattutto la ricerca di verifiche sperimentali alle certezze della tradizione sapienziale. Il più celebre alchimista del periodo, François Jollivet-Castelot (1874-1937), «consacrò la sua vita alla promozione della hyperchimie, “iperchimica”, la perfetta sintesi occultista fra l’alchimia storicamente intesa e la ricerca chimica» (pag. 57).

Il tramonto di questa “nuova alchimia” corrisponde, e non è una semplice coincidenza, con la prima guerra mondiale. L’alchimia rientrò nel cono d’ombra, e nei paralogismi, delle società iniziatiche; la ricerca tornava a essere speculazione metafisica; il laboratorium si rifondava in oratorium e la comunicazione era elitaria, personale, simbolica.

La trattazione degli autori ricostruisce con ricchezza di dati la storia della rinascita alchemica nella Francia tra Otto e Novecento, ne illumina le origini e il contesto culturale, e fa chiarezza di argomenti troppo spesso lasciati in mano a dilettanti faziosi.

La seconda parte del volume comprende una raccolta di testi tanto importanti quanto poco noti, molti dei quali ancora inediti in Italia, preceduti da preziose note introduttive.

Il saggio di Anatrini e Ciardi è la guida migliore per addentrarsi in un periodo della storia della conoscenza che è di straordinario interesse e che fino a oggi non aveva avuto una corretta lettura. Ed è anche un libro scritto bene, documentatissimo, utile: un contributo decisivo a quel complesso lavoro di interpretazione delle pseudoscienze che, come ci suggerisce la dialettica, devono essere comprese per poter essere superate.

image

Marie Curie
di Alice Milani
Becco Giallo, 2017
215 pp. colori, brossura (albo a fumetti), € 22,00


Recensione di Gabriele Vozza

«Siamo di fronte a un fenomeno di ordine completamente diverso»

Questa frase, che Antoine Henri Bequerel si scambia con un collega riferendosi alla proprietà dell’uranio di emettere raggi spontaneamente, potrebbe essere riferita anche a Marie Skłodowska Curie, scienziata vincitrice di due premi Nobel (per la fisica nel 1903 e per la chimica nel 1911), prima donna a vincere un Nobel, figura iconica nel mondo della scienza (e un po’ anche della cultura pop nell’ultimo periodo) e protagonista di quest’ottimo graphic novel scritto e disegnato da Alice Milani ed edito da Becco Giallo.

Come si può facilmente immaginare leggendo il titolo, il graphic novel di cui parliamo è una biografia di Marie Curie. Raccontata sotto forma di ricordi dalla figlia Irène a un giovane spasimante della sorella Eve, la storia, per quanto non divisa precisamente in capitoli, si articola in tre macro-sezioni e cioè: la storia d’amore tra Marie e Pierre Curie, le ricerche scientifiche di Marie sulla radioattività e lo scandalo della storia clandestina tra Marie Curie (già vedova di Pierre) e Paul Langevin (marito di Jeanne). La storia poi, presa nel suo insieme, racconta chi è Marie Curie, cosa ha fatto, perché è così famosa, il suo carattere, i suoi pensieri e i suoi amori. Sì perché, in definitiva, l’opera, che non a caso ha in copertina Marie e Pierre stretti in un abbraccio, parla di amore: l’amore per Pierre finito tragicamente, l’amore scandaloso per l’epoca per Langevin, l’amore per la famiglia, l’amore per la Polonia e l’amore per la ricerca scientifica.

Alice Milani, nello scrivere la storia, fa un minuzioso lavoro sulle fonti e si basa soprattutto (come lei stessa riporta) su Marie Curie, a Life di Susan Quinn e Madame Curie, a Biography scritta dalla figlia Eve Curie. I dialoghi e i testi, inoltre, sono spesso presi direttamente da lettere, pubblicazioni e diari che i vari scienziati che compaiono nell’opera hanno scritto. Questo modo di far “parlare gli scienziati”, secondo me, aggiunge un ulteriore piano di realismo al graphic novel. Anche la parte scientifica non manca di realismo ed è supportata da due referenti scientifici quali Anna Nobili e Andrea Milani, entrambi docenti all’università di Pisa, l’una di fisica e l’altro di matematica. L’autrice non solo racconta le ricerche di Marie Curie ma si addentra anche nella spiegazione dei procedimenti e dei metodi usati dalla scienziata, arrivando a corredare l’opera con interessanti particolari tecnici, attingendo, tra le altre fonti, alla tesi di dottorato che la Curie discusse nel 1903 alla Facoltà di Scienze di Parigi.

L’autrice, che ha studiato pittura, incisione e tecniche di stampa a Torino e a Bruxelles, per la realizzazione dei disegni ha lavorato per la maggior parte dell’opera con matite, acquerello e tempera creando delle tavole molto simili a veri e propri dipinti. La parte grafica è stata curata tanto quanto la parte dei testi, con la stessa precisione e cura dei dettagli, ed è contemporaneamente vettore per la storia e un aiuto per far immergere il lettore nei ricordi di Irène; i personaggi, in poche parole, mi hanno dato la sensazione quasi di emergere dalla memoria della figlia di Marie man mano che la storia andava avanti.

Voglio spendere qualche parola in più su come l’autrice ha voluto tradurre la scienza in disegno. Infatti, leggendo le interviste rilasciate dall’autrice, ho scoperto che Alice Milani ha deciso di utilizzare una tecnica specifica, quella del monotipo, per la rappresentazione delle reazioni chimiche e atomiche di cui parla Marie Curie durante la discussione della tesi di dottorato. E questo, tralasciando la tecnica in sé (abbastanza difficile da usare, mi è parso di capire) è fantastico, perché l’autrice riesce a tradurre in astratto e a rendere immediatamente afferrabile dal lettore qualcosa che al contrario avrebbe richiesto diverse spiegazioni e disegni tecnici. È inoltre un chiaro segno di quanta passione e attenzione ai particolari l’autrice abbia usato nella realizzazione della sua opera.

In definitiva, un bellissimo graphic novel, curato nei minimi particolari, ottimo per scoprire non solo le ricerche di Marie Curie ma anche i suoi lati più umani. Un graphic novel curato e realizzato con intelligenza per entrare in confidenza con una grande scienziata del Novecento e magari imparare ad amare la ricerca scientifica tanto quanto l’amava Marie.

image

Se tutte le stelle venissero giù
di Filippo Bonaventura, Lorenzo Colombo e Matteo Miluzio
Rizzoli editore, 2020
pp. 224, € 18,00


Recensione di Denise Trupia

«Siete seduti sul divano ma in realtà vi trovate su un pianeta che ruota su se stesso a oltre 1000 chilometri orari. [...] Ma cosa succederebbe se la Terra si fermasse improvvisamente smettendo di girare?».

Se tutte le stelle venissero giù, verso tratto dalla canzone Felicità di Lucio Dalla, è una raccolta di ventidue domande del tipo “cosa succederebbe se...?”, sul modello del libro What If?: Serious Scientific Answers to Absurd Hypothetical Questions di Randall Munroe del 2014, ma a tema astronomico.

Per gli autori Matteo Miluzio, Filippo Bonaventura e Lorenzo Colombo è la prima esperienza sulla carta stampata ma non nel mondo della divulgazione scientifica: i tre astrofisici gestiscono la seguitissima pagina Facebook Chi ha paura del buio? e abbiamo potuto apprezzare i loro interventi nell’omonimo programma televisivo. Talvolta, i contenuti che costituiscono il libro prendono spunto da interrogativi in cui il trio si è imbattuto proprio sulla sua pagina.

Il comune denominatore di questi 22 capitoli è la distruzione della vita umana. Come affermano gli autori stessi, un titolo alternativo sarebbe potuto essere I 1001 modi per morire molto rapidamente.

Il libro esordisce sottolineando come ciò che distingue l’essere umano da tutto ciò che lo circonda sia la sua curiosità e consapevolezza del proprio posto nell’Universo.

Caratteristica peculiare del testo è quella di partire da situazioni familiari al lettore come un tramonto, un abbraccio, una giornata di sole o un evento storico per poi introdurre delle modifiche alla nostra realtà. Affiancate a questi scenari, si presentano delle vere e proprie pillole di astronomia: dalle leggi di Keplero alla classificazione stellare, dalla gravitazione universale alla formazione del nostro sistema solare. Non mancano nozioni di geometria, di biologia, di chimica, di geologia e di scienze dell’atmosfera.

Fondamentale nella trattazione l’utilizzo di pubblicazioni scientifiche, le quali rendono l’esposizione degli argomenti accurata in ogni suo aspetto.

Nonostante il rigore scientifico, il libro è indirizzato a una vasta fetta di pubblico, che va dai più giovani ai nonni, attirando l’attenzione dei curiosi ma anche dei più esperti. A tal fine, è presente nel testo una sezione di approfondimento che, capitolo dopo capitolo, rimanda a riferimenti da cui il lettore può trarre informazioni sui vari argomenti affrontati.

Il libro ci accompagna in un percorso che parte dalla Terra, attraversa il nostro sistema solare e ci porta fino al centro della Via Lattea, per poi far concludere il nostro viaggio nell’immensità dell’universo.

E, a proposito di viaggi, che ne pensate di fare un tuffo su Saturno? Spoiler: non è una buona idea. La vista è mozzafiato, letteralmente, ma a meno che non abbiate una tuta che vi impedisca di morire liquefatti, fritti, corrosi o dilaniati, non vale la pena trascorrerci una vacanza.

“La luce di mille soli” è il titolo del primo capitolo trattato nel libro e narra dell’evento di Carrington del 1859: la più grande tempesta geomagnetica mai osservata prima. Questo argomento è di fondamentale importanza per gli autori poiché, simbolicamente, sancisce l’inizio della loro carriera nella divulgazione, essendo tra i primi affrontati sulla loro pagina.

Scopriremo anche come, modificando il tipo stellare del Sole o cambiando il tipo di orbita del nostro pianeta, comprometteremmo l’esistenza della vita sulla Terra, fino ad annientarla.

Il Sole resta il protagonista indiscusso per la maggior parte della trattazione (è letteralmente la star del libro).

Dal testo traspare in maniera evidente quanto la nostra stella sia fondamentale per mantenere gli oggetti del nostro sistema solare in orbita, ma soprattutto per la vita sulla Terra. Ma se di Soli ne avessimo due? È di sicuro una domanda che si saranno posti molti fan di Star Wars alla vista del pianeta Tatooine.

Durante la lettura di questi capitoli, ci rendiamo conto di come un perfetto equilibrio e una serie di eventi fortuiti ci abbiano portato qui dove siamo. La serie di catastrofici eventi ai quali saremmo sottoposti se qualcosa mutasse in questo sistema perfetto ci fa riflettere su quanto poco basti per rompere un tale equilibrio, su quanto siamo insignificanti e allo stesso tempo speciali: il nostro pianeta è una biglia blu nell’immensità dell’universo.

Di certo questo testo contribuirà a combattere l’analfabetismo scientifico in Italia: ancor oggi un italiano su 3 è convinto che il Sole sia un pianeta e non una stella.

Se vi sentite pronti a fare un giro nella “tana del Bianconiglio” dove la velocità della luce è infinita, questo è il libro che fa per voi.
accessToken: '2206040148.1677ed0.0fda6df7e8ad4d22abe321c59edeb25f',