Indagine sulla vita eterna; Io penso che domani; Illusioni, afrodiasiaci e cure miracolose; Machina mundi; UFO



Indagine sulla vita eterna

Massimo Polidoro, Marco Vannini

Mondadori, 2014

pp. 248, 
€ 18,00

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Recensione di Anna Rita Longo

Lunga barba bianca (le fattezze sono quelle di Leonardo da Vinci) e dito puntato al cielo, Platone richiama il mondo delle Idee e le realtà metafisiche. Gli sta di fronte Aristotele che, con il palmo della mano rivolto verso il basso, parallelo al suolo, sembra invitare a tornare con i piedi per terra, evitando pericolosi voli di Icaro. Da subito la lettura di Indagine sulla vita eterna di Massimo Polidoro e Marco Vannini mi ha riportato alla mente la scena centrale dell’affresco della “Scuola di Atene” di Raffaello, con i due grandi filosofi che si fronteggiano partendo da posizioni diametralmente opposte. Eppure dialogano.

Nello spirito di una simile apertura al confronto Polidoro e Vannini si propongono, con questo libro, una sfida ambiziosa: indagare il destino dell’uomo al di là della morte. Considerata per secoli “la” domanda cui tutti sono chiamati a rispondere per decidere quale indirizzo dare alla propria vita, conserva il suo fascino anche per chi oggi ritiene la fisica altrettanto e più interessante della metafisica. Ma quali possibilità di indagine vi sono nei confronti di una materia che per definizione è sottratta alla diretta esperienza dell’uomo? Come soppesare l’imponderabile per giungere a conclusioni che possano avere una parvenza di verosimiglianza? La risposta dei due autori sembra prendere le mosse da criteri contrapposti. Marco Vannini, studioso di spiritualità cristiana e non cristiana, procede “per accumulazione”. In ogni tradizione culturale e cultuale si possono ravvisare elementi che fanno luce su specifici aspetti delle realtà ultime: un esame accurato delle diverse tradizioni consentirà di ricomporre gradatamente il mosaico delle rivelazioni escatologiche. Naturalmente si tratta di uno sforzo titanico che non vedrà mai la fine, ma la ricerca, il confronto, l’approfondimento e l’apertura alla cultura “altra” consentiranno di approssimarsi sempre più alla verità. Massimo Polidoro, psicologo e studioso dei presunti fenomeni paranormali, preferisce un procedimento “a tòrre”, che mira a far piazza pulita di tutte le affermazioni affascinanti ma indimostrabili o delle deduzioni frutto di forzature metodologiche. Nessun rischio di gettare il bambino con l’acqua sporca: la scienza non consente di abbandonarsi alla seduzione di dottrine che non hanno salde radici nel metodo sperimentale. Naturalmente l’opinione frutto di addizione non potrà corrispondere a quella messa insieme con il criterio sottrattivo, ma l’assenza di un giudizio finale consente al lettore di trarre le proprie conclusioni parteggiando per l’una o per l’altra.

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Che si avverta o no la questione del “dopo la vita” come centrale, il libro si rivelerà denso di stimoli per tutti, perché “aggredisce” la vexata quaestio da ogni possibile punto di vista. Innanzitutto chiarisce come parlare di vita eterna non significhi ipso facto far riferimento alla morte e alla realtà temporale collocata dopo questo confine, così netto da apparire invalicabile. Ed è in questo che Vannini dà il meglio di sé: senza anticiparne le conclusioni, rovinando, di conseguenza, il piacere della lettura, diremo che l’autore dà prova di padroneggiare il pensiero laterale, che è un utile strumento dell’analisi critica.

Lo sviluppo del discorso tocca temi fondamentali del patrimonio culturale occidentale e orientale: la tradizione greco-latina, metempsicosi e religioni darmiche, i grandi monoteismi... Punto d’arrivo del dibattito sono le cosiddette “prove scientifiche” della vita eterna, tra le quali spiccano gli studi sulle vite precedenti, sulle Near Death Experiences e sulla comunicazione con l’aldilà. È qui che il contributo di Massimo Polidoro si fa particolarmente prezioso, per stemperare entusiasmi ingiustificati e mettere in rilievo come nessuna delle affermazioni eccezionali riferite resti in piedi se si esaminano le condizioni nelle quali le vicende o gli esperimenti citati si sono svolti.

Chi si aspetta di leggere in questo libro una risposta definitiva potrà forse restare deluso, ma non lo sarà certamente chi, invece, va in libreria per trovarvi un invito a pensare.

Io penso che domani
Margherita Hack
(con Serena Gradari e Fabio Pagan)
Scienza Express, 2013
pp. 134, € 15,00

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Recensione di Anna Rita Longo

Ho preso in mano questo libro con non poco scetticismo. Per quanto avessi avuto abbondanti prove della capacità di Margherita Hack di stupire il suo pubblico, mi lasciava perplessa la quantità spropositata di scritti che l’avevano preceduto, diligentemente elencati in appendice. Quasi scontato pensare che non vi fosse più nulla da aggiungere. Mi sono accorta che mi sbagliavo non appena mi sono immersa nella lettura, dalla quale non sono stata in grado di staccarmi fino a quando ho voltato la quarta di copertina. Con la mente satura del caleidoscopio di parole e immagini appena lette, ho capito che Margherita aveva beffato la morte, avendo ancora voglia di dire la propria nel suo stile disarmante. Questo è stato possibile per una precisa scelta di Fabio Pagan e Serena Gradari, i giornalisti scientifici che hanno raccolto questa testimonianza. Nella primavera del 2013, quando ha avuto inizio il lavoro preliminare per il libro, Margherita era ormai consapevole di essere vicina alla fine, ma non aveva perduto la voglia di parlare alle nuove generazioni. Per questa ragione, nonché per la profonda stima che nutriva per il caro amico Fabio Pagan, aveva accettato di buon grado di intavolare le cinque conversazioni confluite in quest’opera. A questo punto, la scelta dei due curatori è stata quella di non sovrapporre la propria voce narrante a quella della Hack, che doveva conservare tutte le specificità che hanno reso il suo stile divulgativo capace di arrivare al cuore del pubblico. Volutamente si è conservata anche la patina toscana, una parte irrinunciabile del modo di essere di Margherita, mai scalfita nonostante i tanti anni trascorsi a Trieste. Lo stile ha mantenuto l’impostazione dello stream of consciousness: i diversi argomenti scivolano l’uno nell’altro, seguendo i collegamenti – a tratti un po’ pindarici – operati dall’astrofisica, nella sua ansia di consegnare ai posteri la propria testimonianza. Il lettore viene, quindi, letteralmente trascinato nella mente della grande scienziata e ne viene sedotto. La lezione più importante che l’autrice ci consegna è che l’analisi e il ricordo degli anni trascorsi devono spingerci con entusiasmo verso le sfide di un domani che sarà così come noi lo costruiremo. Nessuna nostalgica rievocazione di un passato idealizzato in questa donna che, se avesse avuto la macchina del tempo, non avrebbe avuto dubbi su dove andare: «Nel futuro, nel futuro! Il passato lo conosciamo a sufficienza. È il futuro che mi affascina...» (p. 126).

Oltre alla già citata bibliografia – che mette un po’ di ordine nella sterminata produzione della scienziata, aiutando il lettore desideroso di approfondire qualche aspetto a non smarrirsi – chiudono il libro due splendide chicche. Sono stati raccolti e riproposti ai lettori alcuni degli articoli divulgativi, risalenti agli anni Settanta-Ottanta, che la Hack scrisse per “Il Piccolo” e “Aliens”, altrimenti destinati all’oblio. Trova spazio anche il ricordo di Margherita scritto dall’amico di tanti anni Fabio Pagan, che ci restituisce una Hack viva e concreta, difetti e naïveté compresi, senza quella veste da santino della scienza che le era stata cucita addosso. Ma che dà voce anche all’altro protagonista di questa storia, il marito della scienziata, Aldo. Profondamente diverso – per formazione, idee, temperamento – dalla compagna della sua vita, era stato il regista dell’immagine pubblica della moglie e aveva anche collaborato fattivamente ai suoi scritti, preferendo, però, restare sempre nell’ombra. Il lettore prende, così, consapevolezza dell’importante ruolo di quest’uomo di raffinata cultura e dal carattere umbratile, al quale dobbiamo essere grati per aver spronato Margherita a dare il meglio di sé e a offrirlo al pubblico.

Si chiude il libro con la voglia di guardare a un futuro carico di traguardi che dobbiamo avere il coraggio di perseguire. Di questo Margherita Hack sarebbe stata contenta.

La peste
Paul Slack
Il Mulino, 2014
136 pp., € 13,00

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Recensione di Anna Rita Longo

DI CHE COSA SI PARLA:
L’autore, professore emerito di Storia sociale dell’età moderna presso l’Università di Oxford, offre al lettore una panoramica degli studi storici relativi alla peste, soffermandosi con particolare attenzione sui reciproci rapporti tra le varie narrazioni delle tre grandi pandemie di questo terribile morbo.

PERCHÉ LEGGERLO:
L’opera di Slack, dopo aver affrontato la questione dell’identificazione della malattia e del suo agente patogeno, tratta diffusamente della storiografia relativa alla pestilenza, permettendo di apprezzare il ruolo archetipico svolto dal modello di Tucidide.

Si avrà anche modo di comprendere come dall’imperativo sanitario si passi presto a quello morale, che prende spunto dalla malattia per trarne una lezione da consegnare ai posteri.

Il modo giusto di sbagliare
Harry Houdini
Add Editore, 2013
192 pp., € 14,00

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Recensione di Anna Rita Longo

DI CHE COSA SI PARLA:
Si tratta della prima traduzione italiana di un bestseller scritto da Harry Houdini nel 1906 (The Right Way To Do Wrong, un vero e proprio “trattato sulla devianza”, che rivela trucchi e inganni dei criminali), che viene qui pubblicata insieme ad alcuni articoli tratti dal Conjurers’ Monthly Magazine e ad alcuni capitoli di due opere del 1920 (Magical Rope Ties and Escapes e Miracle Mongers and Their Methods).

PERCHÉ LEGGERLO:
Perché si avrà modo di apprezzare la celebre attività parallela di Houdini, che consisteva nello smascherare gli stratagemmi adoperati da truffatori e ciarlatani. La lettura è piacevole anche sul piano della storia della prestigiazione, in quanto permette di conoscere alcuni retroscena della tecnica illusionistica del “mago dell’impossibile”.

Illusioni, afrodisiaci e cure miracolose. Le mille balle sulla salute... e non solo
Giorgio Dobrilla
Il Pensiero Scientifico Editore, 2014
pp. 200, € 15,00

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Recensione e intervista di Marco Cappadonia Mastrolorenzi

Quali e quante falsità sulla nostra salute vagano incontrastate nei vari canali deputati all’informazione e presenti in rete (e non solo)? Come Le mille bolle blu della nota canzone di Mina, non hanno un ordine stabilito, ma sono differenti per forma, grandezza, colore, leggerezza e durata. Dalle mille bolle alle mille balle il passo è davvero breve. Nel recente libro scritto da Giorgio Dobrilla e presentato da Piero Angela, Illusioni, afrodisiaci e cure miracolose. Le mille balle sulla salute... e non solo, l’autore ci parla delle balle che circolano sulla medicina allopatica e delle variazioni sul tema, tra cui le cure alternative fra omeopatia e fitoterapia, soffermandosi sulle differenze specifiche.

Tra i vari miti da sfatare vi è l’idea che tutto quanto riguardi il naturale sia sinonimo di buono e si rimane perplessi dal fatto che tale concetto venga accolto da molte persone senza alcuna resistenza e senza un approccio critico. Segno evidente e pericoloso del potere persuasivo del messaggio pubblicitario che spesso induce ad accettare quanto viene propagandato come fosse portatore di chissà quale sapienza. Eppure non pochi rappresentanti del naturale sono spesso dannosi e pericolosi per la salute. Insomma natural does not equal safe (come ci ricorda l’autore) perché naturale non equivale di per sé a sicuro. Come per l’insanabile dicotomia tra città e campagna (cattivo/buono), presente da sempre nel dibattito storico-letterario, i fautori delle cure naturali contrappongono la propria innocenza al marcio dell’industria farmaceutica, che sarebbe disposta sic et simpliciter ad introdurre i propri prodotti (anche dannosi) sul mercato per il solo interesse economico.

L’autore si sofferma poi su altre questioni importanti, come il miglioramento della salute che segue all’aver effettuato una cura: è davvero una prova automatica di efficacia? Una delle mille balle blu è quella di chi sostiene che due eventi associati siano legati necessariamente da un rapporto di causalità. Un esempio può riguardare un viaggiatore che sale sul treno mentre un altro passeggero scende alla stessa stazione: entrata e uscita sono associate, ma si tratta, naturalmente, di eventi indipendenti «perché non è il passeggero che sale a causare l’uscita di quello che scende né viceversa». Qual è la differenza tra associazione e correlazione? Sono davvero efficaci le cure anti-invecchiamento e le terapie “sorprendenti” contro l’infertilità? E se la cura consistesse in un soggiorno in un locus amoenus nutriti da cibi “afrodisiaci” (ma esistono davvero?) e immersi nel poetico cinguettio degli augelli e nello stormir delle fronde?

Ma se poi ci viziamo a bere del buon caffè, siamo davvero certi che i rischi di un abuso di questa bevanda siano dovuti principalmente alla caffeina? Un espresso all’italiana contiene più o meno caffeina di un caffè all’anglosassone? Si può bere tranquillamente il decaffeinato o questo sarebbe addirittura il vero responsabile dell’aumento della pressione e del rischio di patologie cardiovascolari? Cosa si sa con certezza? La caffeina è l’alcaloide da mettere sotto processo oppure gli effetti negativi sarebbero dovuti, più che altro, al fumo e agli alcolici, vizi che coesistono spesso nei grandi consumatori di caffè? Nella parte riservata all’alimentazione si riflette sui benefici apportati dal consumo di cioccolata. Esistono studi scientifici attendibili che dimostrino che questa bevanda apporti benefici al cuore e all’intelligenza? È vero che due bicchieri di vino rosso al giorno hanno un’importante funzione cardioprotettiva? Quanto vino al giorno bisognerebbe bere per consentire all’antiossidante (il resveratrolo), presente nella buccia dell’uva rossa, di svolgere il suo effetto benefico sulla salute?

Gli ultimi due capitoli della prima parte del libro sono dedicati alle bufale circolanti nel campo della medicina tradizionale e nelle medicine cosiddette alternative. Oltre alla omeopatia e alla fitoterapia la riflessione prosegue intorno ai fiori di Bach (meglio le fughe, casomai), alla (mai dimostrata) pranoterapia e all’impiego di alcuni nastri adesivi ed elastici (elastotapes) utilizzati nel mondo dello sport. A cosa servono? Sono davvero efficaci? Vengono usati dietro consiglio medico oppure sono gli stessi calciatori che, spontaneamente, se li attaccano addosso? Nella seconda parte del libro – con il titolo “Bufale particolari raccontate da amici speciali” – l’autore lascia la parola a colleghi, farmacologi, avvocati esperti in tema di falsi invalidi e di truffe alimentari per trattare di balle particolari che continuano a circolare nel vasto campo (spesso incontrollato) dell’informazione. Tra cui l’immarcescibile “sesto senso”.

Ho incontrato e intervistato per Query Giorgio Dobrilla, autore del libro, che è primario gastroenterologo emerito all’Ospedale Regionale di Bolzano, divulgatore scientifico, autore di numerosi volumi di successo e consulente per la medicina del CICAP.

La prima parte del volume riguarda le ingenuità e le false certezze, tra tutte quelle che presenta quale ritiene la più rilevante e perché?

«L’ingenuità più vistosa è secondo me quella che ritiene “naturale” un sinonimo di “benefico”. Ho sottolineato, cosa arcinota, che naturali sono virus, batteri, funghi velenosi, piante come l’oleandro, derivati vegetali come curaro, belladonna, cicuta e via dicendo. Tra questi protagonisti “naturali”, pericolosi e persino letali, ho messo anche l’uomo, causa purtroppo di drammi senza fine. L’olocausto è un tragico esempio, doverosamente ricordato in questi ultimi tempi».

Nel capitolo “Medici, malati, sani” lei parla dell’intervista a Henry Gadsen che trent’anni fa era a capo di una grande industria mondiale. In quell’occasione egli sosteneva che i medicinali dovevano essere visti come ogni altro prodotto di consumo e come tale essere pubblicizzato e venduto anche ai sani che, spiegava, sono assai più numerosi dei malati. Pensa che realizzare un progetto del genere sarebbero difficile?

«No, basta applicare le normali regole del marketing. Clamoroso il caso del medicinale Havidol, a base di avafynetime idrocloruro. Nomi entrambi assolutamente inventati dalla giornalista Justine Cooper che ha persino aperto un sito in rete. Havidol è stato proposto per curare una malattia del tutto inventata ed esilarante: Dysphoric Social Attention Consumption Deficit Anxiety Disorder (sic!). Conclusione: migliaia di visite sul sito, richieste di acquisto del prodotto e persino supporto economico da tre importanti istituzioni. Potenza della pubblicità».

Spesso i media, per dirla con Piero Angela, «puntano più sull’emotività che sull’intelligenza». Tanto che in alcune trasmissioni televisive si parla, non di rado, di cibi afrodisiaci o addirittura di ristoranti con cucina afrodisiaca che promettono “fuoco e fiamme”. Ma non sono forse l’ambiente, l’atmosfera, le aspettative, la suggestione a creare l’ “effetto Afrodite” più che le qualità particolari presenti nei cibi o negli alimenti?

«La sua domanda è già una risposta che condivido pienamente. Ad un giornalista che, giorni fa, dopo la presentazione del libro, mi ha posto lo stesso quesito ho risposto così: il miglior afrodisiaco è essere innamorati, desiderare la propria partner e aspettarsi il meglio dall’incontro che sta per avvenire. Se manca questa condicio sine qua non ostriche e intrugli magici non avranno certo successo».

Un errore piuttosto comune è ritenere che le cure alternative – come può essere un prodotto omeopatico – se non curano almeno non fanno male. Nel libro lei spiega bene i motivi di questo “doppio errore”. Qual è il rischio cui si va incontro?
«I rischi comuni a tutte le medicine alternative sono soprattutto indiretti e lo si deve al fatto che l’effetto placebo comporta spesso un momentaneo miglioramento dei sintomi, sempre che il paziente abbia fiducia nel proprio medico (se il rapporto medico-paziente è scadente o pessimo l’effetto placebo non ha luogo). Tale miglioramento può ritardare un doveroso approfondimento diagnostico o, peggio ancora, può ritardare l’attuazione di una cura di provata efficacia già esistente. Le conseguenze possono essere importanti e, benché raramente, anche molto gravi. Un discorso a parte merita la fitoterapia che è l’unica ad avere possibili effetti indesiderati “diretti”, in quanto prevede l’assunzione di una o più sostanze chimiche (fitocomposti) dotate di concreti effetti farmacologici. Questi possono pure interagire con farmaci eventualmente assunti in concomitanza. I preparati erboristici sono, dunque, ben diversi da quelli omeopatici ricavati da una tintura madre vegetale: in questi ultimi a partire dalla dodicesima diluizione centesimale – in base al procedimento messo in atto dall’inventore dell’omeopatia Hahnemann – nel flaconcino c’è soltanto acqua di fonte, priva di qualsiasi effetto tout court. E buona parte dei preparati commercializzati è venduta in diluizioni ben maggiori della dodicesima».

Machina mundi. L’orologio astronomico di Giovanni Dondi
Andrea Albini
Amazon media, Kindle store
pp. 140 ca. a stampa, € 4,66

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Recensione di Anna Rita Longo

Chiunque conosca l’opera storica di Andrea Albini lo sa bene: l’analisi scrupolosa delle fonti, l’infaticabile sforzo di catalogazione, la ricerca della compiutezza e della precisione sono una condicio sine qua non. Questo saggio non fa eccezione: già ad apertura di pagina se ne potrà apprezzare il rigore documentario, che non è mero sforzo erudito, ma qualcosa di più profondo: è la ricerca del posto che un’invenzione ha avuto nella storia, insieme alla ricostruzione di un’epoca attraverso gli strumenti che ne rappresentano il sostrato culturale.

La storia di Giovanni Dondi e del suo Astrario ha appassionato generazioni di curiosi. Una macchina che rappresenta insieme un capolavoro ingegneristico e una straordinaria sintesi delle conoscenze scientifiche del tempo; un’epoca che si andava progressivamente allontanando dallo spirito del Medioevo e cominciava a risentire dei nuovi fermenti sociali e culturali; la straordinaria figura di un intellettuale che coniugava capacità speculative e abilità tecnico-pratiche: la vicenda di Giovanni Dondi e della sua macchina è tutto questo e non è possibile parlarne adeguatamente senza dare il giusto rilievo a ciascuna di queste dimensioni. Albini ne è consapevole e per questa ragione affronta, in questo saggio, il discorso da ogni possibile angolatura.

Opera ricchissima di informazioni, il libro si apre, dopo la premessa, con un resoconto sugli orologi meccanici del XIII-XIV secolo. Prendendo le mosse dai passi del Paradiso di Dante che testimoniano la profonda impressione che il Sommo Poeta ricavò dalla perfezione di questi congegni, abbiamo modo di calarci nei panni degli uomini del tempo e di condividere la meraviglia che avrà suscitato in loro la visione di questi strumenti che si presentavano come straordinarie innovazioni rispetto ai tradizionali metodi di misurazione del tempo. Segue, quindi, la descrizione dell’orologio astronomico di Giovanni Dondi – medico, scienziato e orologiaio padovano –, costruito tra il 1365 e il 1381 e subito acquistato da Gian Galeazzo Visconti per la biblioteca del castello di Pavia. Apprendiamo, così, che questa splendida macchina – della quale conosciamo, grazie a una serie di manoscritti, i congegni interni, anche se non l’artistico involucro esterno – rappresentava con precisione il cosmo tolemaico (con i relativi moti dei corpi e delle sfere celesti e fenomeni come le eclissi), permettendo di calcolare il calendario e le relative festività.

Nella sezione successiva l’autore fornisce al lettore più approfondite informazioni su Giovanni Dondi e su suo padre Jacopo, che ne condivideva gli interessi scientifici e tecnologici, personaggi la cui storia meriterebbe di essere divulgata, in quanto essa incarna pienamente la tensione verso la conoscenza e il superamento dei limiti dell’uomo.

Il saggio prosegue con le vicissitudini subite dall’Astrario, che necessitava di grande cura e continua manutenzione, in seguito alla morte del Dondi, fino alla definitiva perdita dell’originale e alla virtuale “rinascita” nelle copie che, sulla base del Tractatus Astrarii, vennero ricavate dall’orologiaio Luigi Pippa, la prima e più famosa delle quali è custodita nel Museo della Scienza e della Tecnica di Milano e si può ammirare nella copertina del volume.

Nella prima delle appendici il lettore avrà modo, anche attraverso chiare illustrazioni esplicative, di comprendere il sistema di funzionamento del regolatore a foliot tipico degli orologi meccanici medievali, sostituito nell’Astrario di Dondi dal bilanciere a ruota. Segue una chicca erudita e letteraria: vengono, infatti, riportati e tradotti i versi tecnici di una composizione poetica che descrive il funzionamento degli orologi meccanici, adoperati come originale metafora delle relazioni amorose: Le Paradis d’Amour di Jean Froissart (1368 circa). La terza appendice è dedicata a una summa della cosmologia tolemaica, necessario prerequisito per la comprensione dell’universo scientifico medievale (della quale si gioveranno anche gli studenti alle prese con gli studi danteschi). Chiudono il volume delle splendide immagini del manoscritto patavino del Tractatus, che permetteranno di dare un’occhiata ai disegni che hanno consentito alla magia della “macchina del mondo” di Giovanni Dondi di rinascere nelle copie oggi conservate.

Per la varietà delle sollecitazioni culturali che il saggio offre, si tratta di una lettura che potrà interessare al cultore della storia come a quello dell’astronomia, all’ingegnere come al letterato e, in generale, al semplice curioso. Lasciamoci affascinare dalla storia di una macchina che racchiude in sé anche quella di un’intera epoca.

UFO: percezioni, credenze, stereotipi. Gli aspetti psico-sociali del fenomeno
Chiara Russotto
UPIAR, 2013
pp. 98, € 12,50

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Recensione di Anna Rita Longo

Come si spiegano i continui avvistamenti di Unidentified Flying Object – in breve di UFO – che si verificano ogni giorno ai quattro angoli del pianeta e che sembrano avvalorare l’ipotesi che civiltà aliene e più evolute stiano provando a mettersi in contatto con noi, con intenzioni pacifiche o ostili? È davvero esclusa l’esistenza di altre più semplici spiegazioni, che soddisfino il principio del rasoio di Ockham, o è forse questo il caso in cui anche il buon Guglielmo avrebbe acconsentito a “multiplicare entia”?

Una risposta convincente ci viene da questo saggio di Chiara Russotto, giovane dottoressa in Scienze e tecniche psicologiche presso l’ateneo palermitano, che sceglie di vagliare l’attendibilità della cosiddetta ipotesi psico-sociale. In breve: vediamo astronavi aliene perché gli extraterrestri hanno deciso di venirci a trovare, oppure vi sono ragioni legate al nostro modo di percepire, rielaborare e ricordare gli stimoli, oltre che elementi culturali e sociologici, che possano spiegare gli avvistamenti senza dover per forza scomodare E. T.?

Nella sua rapida ma esaustiva trattazione, ancorata su una bibliografia ampia e rigorosa, la Russotto prende in esame la nascita del fenomeno UFO (che ha meno di settant’anni) e le relative ipotesi di spiegazione, dalle più fantasiose e complottiste a quelle basate su studi di fisiologia e psicologia.

Il discorso prosegue attraverso l’esame approfondito dell’ipotesi psico-sociale, secondo la quale ogni avvistamento o presunto caso di abduction è spiegabile attraverso ragioni psicologiche, sociologiche e culturali. Le prime sono fondate sulla psicologia della percezione e della memoria; gli elementi culturali e psico-sociali concorrono alla formazione di miti e stereotipi fortemente radicati. Alla base di tutto vi è il desiderio di credere nel trascendente, che è uno dei modi che consentono di fronteggiare l’ansia che deriva dalla mancanza di ordine e coerenza. Anche i casi più eclatanti di presunti rapimenti alieni non si sottraggono a una spiegazione razionale, che mette in campo fenomeni come le illusioni percettive, le allucinazioni (non esclusive degli stati patologici), la sleep paralysis etc.

Unico appunto possibile è sulla definizione negativa del termine debunker che viene data a p. 23, che sembra ricalcare quella dei siti complottisti, anche se non è chiaro fino a che punto rispecchi il pensiero dell’autrice. Si tratta, in ogni caso, di un particolare secondario, che non inficia la qualità dello studio, decisamente consigliato per un approccio razionale al fenomeno UFO.

Contro la modernità
Elio Cadelo e Luciano Pellicani
Rubbettino, 2013
172 pp., € 12,00

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Recensione di Anna Rita Longo

DI CHE COSA SI PARLA:
Gli autori si soffermano ad esaminare le origini del diffuso analfabetismo scientifico italiano, affrontando il discorso in prospettiva storica e sociologica, con riferimenti all’attualità.

PERCHÉ LEGGERLO:
Che si condivida o no la ricostruzione operata dai due autori, il libro offre sicuramente alcuni interessanti spunti di riflessione, perché induce a interrogarsi sulle conseguenze della difficile relazione con la scienza, un fenomeno molto rilevante in Italia. Dal momento che la scienza è direttamente collegata con lo sviluppo, si tratta di interrogativi ai quali sarà necessario trovare una risposta, per poter uscire dalla crisi economica in atto.
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